La Francia annuncia il ritiro dal Mali
Africa

La Francia annuncia il ritiro dal Mali

By Marco Di Liddo
02.17.2022

Il 16 febbraio, il Presidente Francese Macron ha ufficialmente annunciato l’avvio del ritiro delle truppe della missione Barkhane e della task force Takuba dal territorio maliano. Parallelamente, anche gli altri Paesi europei parte di Takuba, tra cui l’Italia, hanno dichiarato di voler lasciare gradualmente il Paese. Più incerto appare il destino della missione europea EUTM Mali, rispetto alla quale le autorità di Bruxelles non si sono ancora espresse.

L’annuncio del ritiro francese ed europeo dal Mali rappresenta il culmine del deterioramento dei rapporti politici tra Bamako e Parigi, iniziato con il colpo di Stato militare del 2021 e con l’insediamento della giunta guidata dal colonnello Assimi Goita. Quest’ultimo, oltre a dimostrarsi particolarmente critico ed ostile verso la Francia ed i Paesi occidentali, non ha mai rispettato i termini del processo di transizione democratica richiesti dall’Unione Europea e dall’Unione Africana e, inoltre, ha intensificato la cooperazione politico-militare con Russia, Cina e Turchia. Nel complesso, tali azioni sono state ritenute inaccettabili dalla Francia e dai suoi alleati europei impegnati nella stabilizzazione del Paese. In particolare, la decisione maliana di servirsi del Wagner Group russo per le attività di addestramento delle proprie Forze Armate e di lotta all’insorgenza e al terrorismo nelle regioni centrali e settentrionali del Paese ha rappresentato il punto di rottura nel dialogo bilaterale e multilaterale tra il Paese africano ed i suoi interlocutori europei.

Il ritiro francese apre una nuova stagione nella politica estera e di difesa di Bamako. Infatti, con la ricalibratura delle alleanze internazionali, il Mali dovrà affidarsi con maggiore intensità al supporto russo, cinese e turco per affrontare le sfide securitarie, legate alla proliferazione dell’estremismo jihadista, della criminalità organizzata e dell’insorgenza etnica, e quelle economico-sociali, connesse all’emergenza alimentare, agli investimenti nel settore minerario e, più in generale, alla crescita ed allo sviluppo. Parimenti, Pechino, Ankara e Mosca avranno la possibilità di estendere la propria influenza nel Sahel e di accedere allo sfruttamento delle ricche risorse naturali maliane, su tutte oro, uranio e (potenzialmente) terre rare. Tuttavia, non si tratterà di una sfida semplice in virtù degli alti tassi di volatilità e di insicurezza nel Paese.

Pur ritirandosi dal Mali, Francia ed Europa non lasceranno il Sahel. Infatti, Barkhane e Takuba saranno riorganizzate e ricollocate nei Paesi confinanti con il Mali (Burkina Faso e Niger), a testimonianza del perdurante impegno europeo nella regione. Tuttavia, non bisogna dimenticare che la stessa missione Barkhane è in fase di ridimensionamento e che, nei prossimi anni, dovrebbe passare da 5000 a 2500 uomini.

In ogni caso, il ritiro francese ed europeo dal Mali ed il contemporaneo avanzamento russo, cinese e turco rappresenta un segnale strategico preoccupante circa il ridimensionamento delle ambizioni, delle capacità e delle leve diplomatiche europee in Africa. Infatti, esso avviene in contemporanea ad una crisi democratica in tutto il continente, esemplificata dall’aumento dei colpi di Stato e di altri fenomeni autoritari. Il supporto politico di Cina, Russia e Turchia a tale ondata di autoritarismo coincide con un allargamento della loro sfera di influenza economica in Africa e rischia di compromettere, almeno parzialmente, gli sforzi europei degli ultimi decenni in materia di crescita democratica e di sostegno alla costruzione di sistemi di sviluppo quanto più inclusivi possibile.

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