Le ragioni dietro la nuova ondata di proteste a Hong Kong
Asia & Pacific

Le ragioni dietro la nuova ondata di proteste a Hong Kong

By Stefania Montagna
08.08.2019

Domenica 21 luglio ad Hong Kong un gruppo di uomini vestiti di bianco e armati di bastoni ha aggredito gli attivisti nella stazione ferroviaria di Yuen Long, quartiere nel nord-ovest della città, vicino al confine con la Cina. La polizia è intervenuta circa un’ora dopo dallo scoppio delle violenze, quando ormai circa 45 persone erano state gravemente ferite. Per la Regione Autonoma Speciale di Hong Kong si tratta del settimo weekend consecutivo in cui oltre 400.000 cittadini, tra studenti e attivisti per i diritti umani, hanno invaso le strade della città, dando inizio a imponenti manifestazioni che stanno sconvolgendo l’intero Paese. All’origine delle proteste vi è la legge sull’estradizione, un disegno di legge che aprirebbe all’estradizione forzata di sospetti criminali e ricercati dalla città di Hong Kong verso il territorio dello Stato richiedente, compresa la Repubblica Popolare Cinese, Macau e Taiwan. Secondo i manifestanti, l’approvazione della legge potrebbe tradursi in un rafforzamento del controllo di Pechino sulla città autonoma e una conseguente erosione delle libertà civili. Di fatto, Pechino potrebbe servirsi delle richieste di estradizione come pretesto per fermare i dissidenti politici già rifugiati sull’isola di Hong Kong per sfuggire alla censura del Partito Comunista Cinese (PCC). Per questo motivo, centinaia di dimostranti si sono riversati nelle strade della città, avviando la più grande crisi politica degli ultimi anni. A partire dal 9 giugno, studenti e attivisti per i diritti umani hanno organizzato diversi cortei pacifici per denunciare l’opposizione alla proposta di emendamento in discussione e per manifestare il proprio malcontento nei confronti del capo dell’esecutivo, Carrie Lam, più volte accusato di aver intensificato le relazioni con Pechino.

Il corteo, inizialmente pacifico, è degenerato in scontri violenti quando le Forze dell’ordine hanno usato gas lacrimogeno e proiettili di gomma per disperdere la folla, ferendo circa 80 persone. La reazione dell’amministrazione di Carrie Lam è stata immediata, annunciando di voler sospendere l’iter legislativo che avrebbe approvato e resa effettiva la normativa. L’attuale Consiglio Legislativo dell’isola, l’organo l’organo unicamerale preposto all’approvazione delle leggi vigenti nella Regione Autonoma, terminerà il suo mandato nel mese di luglio 2020 e se l’emendamento non verrà portato avanti e trasformato in legge per allora, decadrà spontaneamente. Nonostante ciò, la decisione governativa non è riuscita a fermare le proteste dei manifestanti, a causa dei persistenti dubbi sull’attendibilità delle dichiarazioni e per via delle forti preoccupazioni riguardo la possibilità che il governo possa presto rilanciare il processo della legge davanti all’Assemblea. Le proteste si sono inasprite in occasione dell’anniversario dell’Handover, ovvero il trasferimento della sovranità di Hong Kong da protettorato inglese a regione autonoma cinese, avvenuto il 1° luglio 1997. Di fatto, durante il corteo del 1° luglio, i dimostranti hanno tentato di fare irruzione nel palazzo del Consiglio Legislativo, assediandolo per l’intera giornata. Ad oggi, le proteste non sono ancora terminate poiché i manifestanti continuano a chiedere all’esecutivo ulteriori impegni e garanzie a tutela delle aperture ispiriate ad una maggior democratizzazione del sistema di cui Hong Kong ha goduto fino ad ora e che si concretizzano nella richiesta del ritiro definitivo della legge, un’indagine indipendente sulle violenze esercitate dalla polizia e le dimissioni di Carrie Lam. In definitiva, i dimostranti chiedono.

Hong Kong è una Regione Amministrativa Speciale (R.A.S.) della Repubblica Popolare Cinese, con un alto grado di autonomia assicuratole dalla Basic Law approvata sulla base della Dichiarazione Congiunta sino-britannica del 1984. Sull’isola prevale il principio “Un Paese, Due Sistemi”, che, pur sancendo l’appartenenza della Regione alla Cina, le garantisce di mantenere un proprio governo con un assetto parlamentare formalmente pluripartitico, un sistema economico liberista, un proprio sistema fiscale e doganale e una propria moneta.

Negli ultimi anni, tuttavia, la dinamica politica cittadina ha assistito a un progressivo indebolimento delle peculiarità di Hong Kong. Già nel 2014, il Movimento degli Ombrelli ha guidato le proteste per l’incompiuta evoluzione in senso pienamente democratico del sistema politico della Regione Autonoma. Per 79 giorni i manifestanti si sono battuti per la trasparenza delle procedure elettorali, ispirandosi alla rule of law britannica e ai principi democratici delle democrazie occidentali. Di fatto, la protesta è sorta per richiedere il suffragio universale in occasione dell’elezione del governatore dell’isola poiché il sistema prevedeva che i candidati alla leadership di Hong Kong fossero “preselezionati” dal Partito Comunista Cinese (PCC). Tuttavia, la riforma non è mai entrata in vigore e il sistema elettorale previgente ha portato all’elezione dell’attuale governatrice dell’isola Carrie Lam.

Negli anni successivi Le istanze di maggior democratizzazione del sistema hanno continuato a caratterizzare il dibattito pubblico e ad animare gli ambienti vicini ai movimenti di attivismo politico locale. Le proteste ad oggi in corso, infatti, sembrano essere l’apice di una consapevolezza che a partire dal 2014, si manifesta ad ondate irregolari e portate avanti da una nuova generazione non solo più consapevole dei diritti e delle libertà garantiti ad Hong Kong ma anche maggiormente orientata ad innescare un processo di evoluzione in senso democratico della regione.

La presa di consapevolezza dell’esistenza di questa nuova sensibilità tra la popolazione potrebbe essere la ragione alla base della fermezza con cui i manifestanti continuano a portare avanti le proteste e, soprattutto, delle contro-reazione che il perdurare delle manifestazioni ha innescato da parte di alcuni ambienti locali. Per la prima volta , infatti, sembra essersi innescata una risposta organizzata, finalizzata a dissuadere la popolazione dal portare avanti le proteste. Le squadre di picchiatori vestiti di bianco entrate in azione a Yuen Long, infatti, sembrerebbero essere membri, o esponenti di gruppi connessi, delle Triadi, ovvero organizzazioni criminali di stampo mafioso, nate in Cina e con forti interconnessioni internazionali. Se fosse confermato, il coinvolgimento di questi gruppi trascinerebbe le manifestazioni a un nuovo livello. La decisione delle organizzazioni di intervenire nella diatriba tra piazza e governo potrebbe rispondere a due motivazioni. Da un lato, lo stallo in cui è bloccata Hong Kong da diverse settimane e il richiamo mediatico di respiro internazionale provocato dalle proteste potrebbe aver messo a repentaglio i traffici e la sicurezza degli interessi di questi gruppi che, autonomamente, hanno deciso di fare un passo avanti per sbloccare la situazione. Dall’altro, però, il ricorso agli squadroni potrebbe essere stato attivato da ambienti governativi che, per provare a forzare la mano e disincentivare le piazze, ha attivato contatti, anche non strutturati, con il mondo delle Triadi, così da lasciare in disparte le Forze di polizia e mostrare l’esistenza di un movimento di contro protesta. Il coinvolgimento della malavita come sponda per arginare le manifestazioni, tuttavia, potrebbe polarizzare maggiormente le tensioni in corso e aprire nuovi fronti di critica e attacco contro il governo locale.

Sui fatti di Yuen Long è intervenuto anche il governo di Pechino, condannando l’assalto e sostenendo che gli scontri mettono a rischio lo stato di diritto della Regione Autonoma, minandone la stabilità interna. In realtà, Pechino ha forti interessi a mantenere stabile l’equilibrio su cui si fonda il principio “Un Paese, Due Sistemi”. Di fatto, Hong Kong ha un ruolo strategico per il governo centrale, poiché costituisce la porta che collega la Cina continentale con il resto del mondo sia commercialmente che politicamente. Ad oggi, la città ospita le più grandi comunità finanziarie dell’Asia e la Cina aspira a renderla una piattaforma internazionale privilegiata e un centro regionale off-shore per le società cinesi e straniere interessate ad esplorare nuove opportunità di business. Inoltre, Pechino sta investendo su Hong Kong per la realizzazione del progetto della “Greater Bay Area” che, secondo le intenzioni, dovrebbe legare Hong Kong, Macao e nove città della regione del Guangdong. In questo contesto, il governo centrale cercherà quindi di mantenere stabile il legame con la Regione Autonoma al fine di sfruttare al meglio la sua posizione strategica, anche nel quadro della Belt and Road Initiative.

Ciò nonostante, il malcontento per l’ingerenza di Pechino e i diffusi timori di un progressivo assorbimento all’interno del sistema di governance sino-centrico rendono sempre più vivo l’incandescente dibattito politico. Difatti, le proteste della Regione Autonoma sono il frutto di un dissenso popolare che va oltre il rifiuto della proposta di legge sull’estradizione verso la Cina continentale. Al contrario, il disagio giovanile e l’insofferenza verso l’autorità del governo centrale si inseriscono in un quadro aleatorio per il futuro della democraticità di Hong Kong: nel 2047 scadranno i termini dell’accordo sino-britannico che garantiva alla città un alto grado di autonomia dalla madrepatria cinese. Pertanto, di fronte all’incertezza per il futuro della Basic Law, resta certa la volontà dei giovani hongkonghesi di voler fare sentire la propria voce.

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