Le scelte di Israele in Cisgiordania dividono l’esecutivo e irritano gli USA
Middle East & North Africa

Le scelte di Israele in Cisgiordania dividono l’esecutivo e irritano gli USA

By Lavinia Pretto
11.02.2021

Venerdì 22 ottobre, il Ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha firmato un ordine militare che ha vietato a sei organizzazioni palestinesi di operare in Cisgiordania, sostenendo che queste hanno legami con il gruppo terroristico del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Secondo il Ministero della Difesa, le associazioni palestinesi sanzionate avrebbero sfruttato le sovvenzioni provenienti dall’Unione Europea e dalle Nazioni Unite per finanziare le operazioni sovversive del FPLP. L’ordine renderebbe, quindi, illegali le attività di questi gruppi permettendo alle autorità israeliane di ordinare una chiusura immediata dei loro uffici, sequestrarne i beni e arrestare i dipendenti. Le ONG, che svolgono un lavoro essenziale per la tutela dei diritti umani, hanno rigettato immediatamente le accuse, sostenendo che Israele le sta incriminando per distogliere l’attenzione dalle sue violazioni delle libertà fondamentali. Infatti, il governo nazionale continua a negare a molti palestinesi uno status legale, impedendo loro di trovare lavoro, ricevere assistenza sanitaria e spostarsi liberamente dentro e fuori la Cisgiordania.

A rendere ancor più teso il clima sociale e politico nella West Bank vi è la decisione assunta il 28 ottobre da Tel Aviv di approvare un piano di costruzione di 3000 abitazioni (o per meglio dire di ampliamento delle colonie già esistenti), di cui 1300 per i coloni residenti nelle aree di Ariel e Beit El in Cisgiordania, le quali vanno ad aggiungersi a quelle già annunciate ad agosto di quest’anno. Inoltre, la Israel Electric Corporation ha minacciato di tagliere la fornitura di energia elettrica nei Territori palestinesi a causa dei mancati pagamenti arretrati. Sono quindi previsti blackout a rotazione nelle città di Ramallah, Betlemme e in altre aree vicino a Gerusalemme per quattro ore ogni giorno, limitando il funzionamento di ospedali e altre strutture essenziali.

Queste iniziative hanno contribuito a scuotere il fragile equilibrio governativo israeliano, già frenato dalle difficoltà emerse in virtù delle differenti posizioni dei partiti in merito all’approvazione della futura legge finanziaria – in pratica mai approvata negli ultimi due anni e causa delle quattro tornate elettorali consecutive in 24 mesi. Il nuovo gabinetto insediatosi nel giugno del 2021 sembrava aver portato una ventata di cambiamento nel Paese, avendo una maggioranza eterogenea e includendo per la prima volta un partito arabo-palestinese. Tuttavia, le ultime scelte politiche in chiave domestica hanno mostrato come l’ala conservatrice abbia preso il sopravvento nell’esecutivo, agendo difatti in continuità con il governo Netanyahu, ma ha allo stesso tempo fatto riaffiorare quelle tensioni latenti tra le diverse anime dell’esecutivo. Le componenti di Bennett e Yair Lapid, a cui non era stata notificato la decisione sulle ONG, hanno fortemente criticato l’operato di Gantz, sostenendo che metteva in discussione gli stessi principi su cui si era basata la coalizione. La decisione di costruire nuove abitazioni per coloni in Cisgiordania ha ulteriormente ampliato il divario tra le parti di governo, essendo questa politica tradizionalmente ostacolata dai partiti israeliani di sinistra. Nonostante Bennett non abbia fatto alcuna dichiarazione pubblica, il piano di espansione degli insediamenti è stato percepito dai membri del suo partito come un grande risultato, evidenziando come questo sia, dopo tutto, un governo di destra.

Inevitabilmente le scelte politiche del governo Bennett hanno creato importanti attriti con l’alleato statunitense. Fin dalla sua nomina, il Presidente Joe Biden si è dichiarato favorevole alla soluzione a due Stati e contrario alla politica degli insediamenti, vista come fonte di instabilità e violenza tra palestinesi ed israeliani. Il governo Bennett aveva più volte rassicurato l’Amministrazione USA su questo punto, sostenendo che avrebbe implementato politiche volte al riavvicinamento con la controparte palestinese e all’inclusione sociale con la compagine arabo-israeliane – specie dopo le violenze di maggio 2021. Se in un primo momento si era instaurata una buona armonia tra le due Amministrazioni, le azioni unilaterali intraprese da Tel Aviv in Cisgiordania nel corso dell’ultimo mese hanno portato Washington a manifestare un certo disappunto. Gli Stati Uniti, infatti, hanno dichiarato l’operato israeliano inaccettabile, in quanto porrebbe le basi per nuove tensioni con i palestinesi. Da un punto di vista politico, meramente israeliano, Bennett vede nel braccio di ferro con gli Stati Uniti sulle questioni discusse un’opportunità per riconquistare parte del proprio elettorato conservatore, esattamente come fece alcuni anni prima l’allora Premier Benjamin Netanyahu con l’Amministrazione Obama. Al contempo, queste scelte si sono rese ancor più necessarie vista l’esiguità della maggioranza parlamentare, la presenza ingombrante (quanto meno a destra) di Netanyahu e i rischi di un possibile voto anticipato sempre dietro l’angolo.

L’espansione degli insediamenti e le pressioni realizzate sul popolo palestinese mostrano, dunque, come l’operato del governo Bennett si ponga in continuità con quello di Netanyahu, anche per questioni di opportunità. Tuttavia, le scelte politiche tatticamente intraprese dall’esecutivo nella sua eterogeneità sono espressione diretta delle necessità e delle volontà dei singoli leader di partito che fanno parte dell’attuale governo. In tutto ciò, però, Israele dovrà impegnarsi nel sanare le distanze esistenti con gli Stati Uniti ed evitare di esacerbare gli attriti per evitare contraccolpi reputazionali e di immagine troppo pesanti sul piano internazionale.

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