Iraq e sicurezza: un sistema ancora lontano dalla stabilità
Middle East & North Africa

Iraq e sicurezza: un sistema ancora lontano dalla stabilità

By Angela Ziccardi
05.06.2021

Il 3 maggio, i servizi segreti iracheni hanno catturato Abu Ali al-Jumaili, considerato il cosiddetto “governatore” dello Stato Islamico a Fallujah, in un’operazione coordinata con le forze di sicurezza della regione del Kurdistan iracheno. Secondo le autorità nazionali, l’uomo è stato arrestato in città e la conferma della sua cattura è arrivata anche dalla coalizione USA presente sul suolo iracheno per sconfiggere l’ISIS. Sebbene notizie di questo tipo non costituiscano una novità nel contesto iracheno, la cattura di al-Jumaili rappresenta un importante colpo nella lotta e nel contrasto al terrorismo islamico diffuso sul territorio. ISIS è infatti ancora ben ancorato e presente in Iraq, in particolare nelle aree nord-occidentali tra la provincia di Anbar e i Monti Hamrin, e gli sforzi di addestramento ed equipaggiamento forniti dal contingente USA a partire dal 2014 ancora non sono ritenuti sufficienti per permettere all’Amministrazione Biden di ritirarsi dall’Iraq e lasciare le forze di sicurezza irachene (ISF) a gestire da sole operazioni così complesse. Timore percepito anche dalla NATO, che ha deciso di ampliare il contingente sul terreno da 400 a 4.000 unità a rinforzo del comparto militare USA.

La notizia della cattura di al-Jumaili, tuttavia, permette di far luce sulle debolezze e le faglie presenti nel sistema di sicurezza del Paese, nonostante gli sforzi del Primo Ministro Mustafa al-Kadhimi di rinforzare e riformare il comparto nel tentativo di recuperare la sovranità effettiva di Baghdad sull’intero suolo nazionale. Una minaccia acuita per lo più dal mancato contenimento degli attori non statuali che agiscono nel Paese come proxy filo-iraniani e rappresentano, al pari del terrorismo, una consistente minaccia per la sicurezza nazionale irachena.

A partire dal 2019, il governo centrale di Baghdad, ha tentato un potenziamento del sistema di sicurezza nazionale nel tentativo di ridare stabilità al Paese, attraverso un combinato processo di sradicamento della minaccia terroristica (ora portata da ISIS e/o al-Qaeda) e di ridimensionamento delle milizie sciite filo-iraniane, quest’ultime tendenzialmente svincolate dal controllo statale. Tale tendenza è stata ulteriormente rafforzata dal maggio 2020 con la nomina di al-Kadhimi a Premier, che ha fatto dei temi della sicurezza un caposaldo della propria agenda politica. Nello specifico, il Primo Ministro ha promosso un piano di ristrutturazione interna ai servizi segreti e alle forze di intelligence nazionali ed ha dispiegato un maggior numero di ISF per rafforzare la protezione e sorveglianza dei valichi di frontiera e delle attività portuali. Tali misure hanno preso come target di riferimento in primis gli attori non statuali fuori dal controllo di Baghdad, come le milizie sciite filo-iraniane, minaccia prioritaria del governo centrale in quanto legate a doppio filo alle Forze Quds iraniane e dunque utilizzate strategicamente da Teheran per diffondere la propria influenza negli apparati statati iracheni e in chiave anti-USA. Tuttavia, nonostante l’intento di Baghdad di contrastare tali attori e acquisirne autonomia, fino ad ora le azioni dell’esecutivo non sono riuscite a riportare tali soggetti sotto il controllo statale e ad impedirgli di sferrare attacchi (soprattutto attraverso droni) nei confronti della controparte americana, come testimonia il recente lancio di due razzi verso l’aeroporto di Baghdad, in prossimità di una base che ospita la coalizione a guida statunitense.

Oltre al non riuscito contenimento di queste forze parallele, anche la regione del Kurdistan iracheno costituisce un altro polo di instabilità per la sicurezza nazionale rappresentata da una pluralità di fattori amplificati dall’assertivo ruolo turco nell’area. Vista la presenza di milizie curdo-turche nelle zone montagnose dell’area, nell’ultimo trimestre la Turchia ha ripreso incursioni ed offensive dirette nelle zone comuni di confine, per scagliarsi contro le interferenze del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), organizzazione ritenuta terroristica da Ankara. Sebbene l’interventismo turco aiuti il governo di Baghdad nel contrasto al terrorismo (soprattutto nel Sinjar), l’assertività della Turchia mina la sicurezza interna irachena perché Ankara punta ad estendere il proprio peso geopolitico nell’area in chiave anti-Iran, potendo far esacerbare le tensioni già esistenti tra Teheran e Baghdad. Motivo per il quale, lo scorso 3 maggio 2021, il Ministero degli Esteri iracheno ha condannato il Ministro della Difesa Hulusi Akar per aver visitato le truppe turche stazionate nelle basi a nord dell’Iraq senza l’approvazione di Baghdad. Tuttavia, oltre a tale monito, ad oggi il governo iracheno non ha reagito ulteriormente contro le incursioni turche, lasciando ad Ankara la possibilità di muoversi liberamente e di minare lo status quo del Paese.

Di conseguenza, il consolidamento di un solido apparato di sicurezza nazionale continua a costituire una sfida strutturale nel contesto iracheno, ponendosi come ulteriore ostacolo per il governo centrale nel recuperare la propria sovranità e legittimità su scala nazionale. Difatti, oltre alla poca efficacia delle attuali misure governative nel contrasto agli attori non statuali, l’ancoraggio dello Stato Islamico continua a generare instabilità e il ritorno dell’interferenza esterna turca non permette di escludere nuove escalation di tensioni nella regione del Kurdistan. Tutti fattori che devono mettere in guardia il gabinetto di al-Khadimi, spingendolo a riformulare il proprio piano di Difesa nazionale e a rivolgere una maggiore attenzione a questi due ultimi drivers di tensione.

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