Il dilemma della fine del Trattato New START: possibili scenari a confronto
Defence & Security

Il dilemma della fine del Trattato New START: possibili scenari a confronto

By Ludovica Castelli
10.19.2020

All’indomani dell’ultimo giro di colloqui last-minute fra l’inviato speciale per gli Stati Uniti per il controllo degli armamenti, Marshall Billingslea, ed il Viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov, le prospettive di un’estensione del Trattato New START, ultimo pilastro dell’architettura internazionale di non-proliferazione, si fanno sempre più remote. A soli quattro mesi dalla scadenza naturale dell’accordo decennale, previsto per il 5 febbraio 2021, l’impasse sullo status negoziale del Trattato sembra permanere. Infatti, le dichiarazioni dei funzionari di ambo le parti, emerse dall’ultimo incontro di lunedì 12 ottobre, continuano a ricalcare narrative antitetiche, erodendo seriamente le possibilità di un potenziale rinnovo.  Al centro di ormai quattro round di colloqui fra le delegazioni delle due potenze nucleari, c’è molto più di un semplice Trattato. Il New START è, ad oggi, l’unico accordo legalmente vincolante atto a limitare gli arsenali nucleari strategici di Stati Uniti e Russia, pietra miliare della ormai cinquantennale politica di non-proliferazione degli armamenti nucleari.

Firmato nell’aprile 2010 dai presidenti Dmitri Medvedev e Barack Obama, ed entrato in vigore il 5 febbraio 2011, il New START ha come obiettivo la riduzione e il controllo degli armamenti strategici di ambo le parti. Questi ultimi, infatti, avendo una gittata sufficiente per colpire obiettivi sensibli all’interno del territorio avversario, rappresentano una minaccia esistenziale per la sicurezza non solo nazionale, ma anche globale. Alla categoria di armi strategiche appartengono i missili balistici intercontinentali (ICBM) e i missili balistici lanciabili da sommergibili (SLBM) o da bombardieri pesanti. I limiti imposti dal trattato New START prevedono che ciascun Paese firmatario possa possedere fino ad un massimo di 1550 testate nucleari e 800 vettori strategici, di cui un massimo di 700 operativi. Inoltre, caratteristica centrale del trattato è la presenza un rigido sistema di controllo volto a garantire la conformità delle parti alle disposizioni vigenti. A riguardo, nonostante le ispezioni sono state sospese a causa della pandemia, tra la fine di marzo e l’inizio di ottobre le due parti si sono scambiate approssimativamente 1.096 notifiche, per un totale di almeno 20.911 registrate negli ultimi dieci anni. Lo scambio di informazioni sensibili, accanto alle limitazioni quantitative alla base dell’accordo, costituisce un valore aggiunto fondamentale, contribuendo ad una comprensione più ampia e trasparente dello status corrente dei reciproci arsenali.

Generalmente, i trattati atti a limitare le forze nucleari provvisti di meccanismi di monitoraggio contribuiscono a rafforzare la sicurezza nazionale in due modi. In primis, evitano dispendiose corse agli armamenti, imponendo un limite quantitativo all’acquisizione di capacità nucleari, minimizzando contemporaneamente i costi individuali di raccolta informazioni e di monitoraggio dello sviluppo delle capacità avversarie. In secondo luogo, e principalmente, questo tipo di trattati agisce direttamente sulla riduzione del rischio di escalation, eventualmente nucleare. Limitando significativamente le capacità offensive, trattati come il New START svolgono un ruolo cruciale nel garantire sicurezza e stabilità strategica a livello globale. In caso di escalation, infatti, una eventualità remota e complessa dove l’elemento psicologico gioca un ruolo estremamente incisivo sui processi decisionali, l’assenza di restrizioni numeriche e controlli sui rispettivi arsenali contriuirebbe ad amplificare la percezione della minaccia, dunque il rischio di miscalculation.

Il dilemma del New START riguarda la sua possibile estensione. Prevista dall’articolo XIV del Trattato stesso, questa è infatti ammissibile per un periodo non superiore ai 5 anni, previo mutuo consenso fra le parti. Mentre la Russia manifesta da tempo una ferma inclinazione ad estendere il trattato, il governo statunitense si è tendenzialmente mostrato disinteressato a rinnovare l’accordo, denunciandone il carattere ‘anacronistico’. Le motivazioni che supportano l’ostilità statunitense si ritrovano su diversi fronti. Il principale è il carattere bilaterale dell’accordo, che di conseguenza esclude a priori le capacità nucleari cinesi. Washington pone la partecipazione della Cina al nuovo quadro come condizione essenziale per una possibile estensione. Dal canto suo, la Cina ha espresso chiaramente il rifiuto a partecipare ad un trattato trilaterale, denunciando l’enorme asimmetria quantitativa tra gli arsenali delle due potenze nucleari e quello cinese. Infatti, i numeri di quest’ultima si fermano ad un totale di 300 testate, fra strategiche e tattiche, mentre quelli dei due ‘pesi massimi’ del settore toccano rispettivamente le 6800 e 6200 testate. Essendo il nucleo del trattato la parità strategica a 1550 testate, l’adesione cinese sarebbe essenzialmente incongrua.

Il secondo punto critico riguarda lo sviluppo di alcune nuove armi strategiche russe: il vettore ICBM Sarmat, il missile balistico aviolanciato ipersonico Kinzhal, il motoaliante ipersonico Avangard, il missile cruise superficie-superficie a propulsione nucleare Novator 9M730 Burevestnik ed infine il nuovo battello sommergibile senza pilota (UUV) armato di testata nucleare (100 megatoni al cobalto-60). Se da una parte la Russia sembra aver accettato l’applicabilità del New START al veicolo Avangard, in quanto trasportato da ICBM, le restanti armi a potenziale dotazione nucleare rimangono tagliate fuori dal quadro, in quanto non assimilabili, secondo Mosca, alla categoria di armi contemplate nell’accordo.

La terza criticità riguarda le armi russe non strategiche (o tattiche), e dunque con gittata minore di 5.500 km, escluse dal trattato. Affianco alla superiorità numerica russa (sono 2.000 le testate tattiche possedute da Mosca, comparate alle 500 di Washington) c’è una significativa differenza dottrinale; la Russia ha infatti inserito l’uso delle armi tattiche nucleari nella Review della sua dottrina militare del 2014, elemento che ricalca un evidente trend di modernizzazione e acquisizione. Inoltre, l’insistenza di Washington nell’includere nel New START le armi a breve-medio raggio si pone come una sorta di rimedio all’aver abbandonato il trattato INF (Intermediate Range Nuclear Forces), che ne vietava lo schieramento dal 1987.

È importante sottolineare che tutte le criticità sollevate dall’amministrazione statunitense sono questioni rilevanti per la stabilità e sicurezza globale, ma non necessariamente per l’immediato rinnovo del New START. L’estensione last-minute del Trattato nella sua forma attuale, infatti, non è il punto d’arrivo, ma un relativo vantaggio temporale allo scopo di ricucire il dialogo fra le parti e trattare le questioni emergenti all’interno di un nuovo quadro di lavoro, mantenendo le limitazioni in essere. Storicamente, i negoziati per il controllo degli armamenti nucleari tra Stati Uniti e Russia hanno richiesto tempistiche importanti. I colloqui per il Strategic Arms Limitations Talks (SALT), ad esempio, si sono svolti dal novembre 1969 al maggio 1972, quelli per il SALT II dal settembre 1972 al giugno 1979. Se il New START dovesse scadere, senza alcun accordo raggiunto, sarebbe la prima volta dal 1972 in cui gli arsenali nucleari si troverebbero senza alcun limite quantitativo.

Stando ad alcune analisi tecniche, il processo di estensione completo, dalla stesura del documento all’adempimento delle procedure interne necessarie richiederebbe almeno 45 giorni dal momento in cui il Presidente americano annunci la decisione. Proiettando tali tempistiche sulla realtà politica negli Stati Uniti alla vigilia delle presidenziali, gli scenari possibili sono tre. Il primo è il mancato rinnovo e la conseguente scadenza del Trattato, traducibile nel definitivo crollo del tradizionale regime di controllo degli armamenti. Il secondo ipotizza l’accettazione dell’amministrazione Trump di estendere il Trattato prima delle elezioni. In tal caso, se annunciato prima di novembre, le parti avrebbero margine sufficiente per concordare il testo del documento, firmarlo e completare le reciproche procedure entro il 5 febbraio 2021. Se invece, la decisione dovesse esser presa ex post, ipotesi più verosimile, le sorti del Trattato assumerebbero caratteristiche diametralmente opposte. Con la rielezione di Trump, la decisione di estendere, presa non oltre la prima settimana di dicembre, lascerebbe ampio respiro per le procedure richieste; in caso di ritardi, una clausola di applicazione provvisoria potrebbe essere inclusa nel testo. D’altra parte, se Biden dovesse vincere le elezioni, entrerebbe in carica non prima del 20 gennaio 2021, e dunque 16 giorni prima della scadenza del Trattato. A quel punto, l’unica opzione sarebbe una proroga congiuntamente approvata, che contenga una disposizione di applicazione temporanea.

Attualmente le condizioni proposte da Washington, un’estensione ridotta e il congelamento degli arsenali nucleari (sia strategici che tattici), sembrano scongiurare la possibilità di un’intesa prima delle elezioni. Se da un lato per Mosca la proposta statunitense è oggettivamente impari, dall’altro convenire su di essa e consegnare un ultimo successo all’amministrazione Trump la rende ancora più inaccettabile. Affinché un ‘congelamento provvisorio’ possa essere valutato come opzione valida dalla Russia, è necessario che questo venga considerato in funzione di negoziati mirati alla costruzione di un nuovo accordo. La limitazione alle testate nucleari a scapito dell’intero complesso che regge gli equilibri della stabilità strategica sarebbe disfunzionale alla natura del Trattato stesso.

Quale sia l’oggetto del congelamento, le relative tempistiche e le condizioni poste da Mosca sono tutti fattori al centro del tavolo. Da qui, la flessibilità dell’amministrazione statunitense sarà centrale affinché il New START non si inscriva in un percorso che ha già visto crollare altri trattati come l’INF, l’ABM e l’Open Skies. L’ultimo scambio di opinioni fra i funzionari russi e statunitensi, non fa che palesare la sintomatologia di come problemi di incomunicabilità e disfunzionalità dell’apparato diplomatico dominino la scena fra i vertici. Poichè, tuttavia, gli arsenali nucleari continueranno ad esistere ed evolversi, l’imperativo di costruire equilibri e meccanismi di sicurezza durevoli, almeno lungo un orizzonte di vari decenni, rimane la costante.

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