L’evoluzione della minaccia jihadista in Mozambico
Africa

L’evoluzione della minaccia jihadista in Mozambico

By Elisa Sguaitamatti
04.17.2019

Nel corso dell’ultimo anno, il Mozambico non è stato immune da episodi di violenza politica di matrice jihadista. Infatti, le attività del gruppo locale al-Shabaab (chiamato così dalle autorità locali in ossequio al movimento terroristico attivo nel Corno d’Africa) hanno rappresentato una minaccia concreta alla sicurezza della regione settentrionale di Cabo Delgado e, in prospettiva, alla stabilità dell’intero Paese.

In particolare, nella seconda metà del 2018 si è verificata una non trascurabile crescita nel numero e nel livello di sofisticazione degli attacchi terroristici, soprattutto nei distretti di Palma, Macomia, Quissanga e Mocímboa da Praia. Nel dettaglio, il 27 maggio al-Shabaab è stato responsabile dell’uccisione a colpi di machete di 15 civili disarmati e dell’incendio di circa 50 abitazioni a Monjane (Macomia), mentre il 5 giugno i miliziani hanno razziato e incendiato 164 edifici dopo aver massacrato decine di uomini a Naudé (Macomia) e a Quissanga. Alcuni mesi più tardi, precisamente il 22 novembre, un commando ha attaccato Nagulué (Macomia), ha decapitato il capo villaggio ed ha ucciso altri 30 abitanti. Il giorno successivo, altri uomini armati hanno fatto irruzione in una base militare dell’Esercito a Mocímboa da Praia, mettendo in fuga il personale e rubando alcuni mezzi, armi da fuoco e munizioni. Successivamente, tra il 10 e il 12 dicembre, si sono registrati 3 attacchi nei villaggi id Nalyande, Malamba e Miando (Palma). Infine, il 26 dicembre, è stato razziato il villaggio di Ingoane (Macomia). Quest’ultimo assalto è avvenuto poche ore dopo l’annuncio, da parte del Ministro dell’Interno Jaime Basilio Monteiro, dell’arresto di due tanzaniani (Chafim Mussa e Adamu Nhaungwa Yangue) e di un sudafricano (Andre Mayer Hanekom, soprannominato “baba mzungo” o “white father”) in seguito all’accusa di aver offerto supporto logistico ai responsabili degli attacchi.

Nato nel 2014 come setta wahabita, al-Shabaab è conosciuto anche con il nome originario di Ahlu Sunnah Wa Jamaah (letteralmente “gli aderenti alla tradizione profetica”) e rappresenta un elemento di novità nel panorama securitario e religioso nazionale. Infatti, la sua ideologia jihadista rappresenta l’evoluzione più estrema del wahabismo importato in Mozambico nei primi anni 2000 dai laureati delle scuole religiose in Sudan e Arabia Saudita e collide con la tradizione sufi nazionale.

La trasformazione di al-Shabaab da setta ad organizzazione militante è maturata lentamente ma ha avuto nell’ultimo semestre una accelerata significativa. In questo senso, diversi sono i segnali del salto di qualità compiuto dall’organizzazione. In primo luogo, un’opera sempre più capillare di proselitismo e propaganda nelle moschee del nord del Mozambico, con progressivi inviti alla disobbedienza civile, alla lotta politica armata e all’imposizione della Sharia quale legge dello Stato. In secondo luogo, un aumento nel numero e nel livello capacitivo degli attacchi, sempre più rivolti ai cosiddetti soft target (esponenti moderati delle comunità musulmane, capi villaggio e popolazione civile) e non solo a Forze Armate e di Polizia. Inoltre, tali attacchi hanno avuto un tasso incrementale di simbolismo e spettacolarizzazione, rappresentato dalla pratica della decapitazione e dell’uccisione pubblica dei leader locali. Infine, in terzo luogo, l’ampliamento del raggio di azione in più direttrici, dai sobborghi di Mocímboa da Praia (dove sono avvenuti 3 attacchi coordinati a caserme di Polizia e avamposti militari nell’ottobre 2017), fino ai distretti di Macomia, Muidumbe e Montepuez a sud e la costa che affaccia sull’Oceano Indiano, fino alla città di Palma, a nord. Quest’ultima direttrice socia nell’area di confine con la Tanzania, dove i miliziani di al-Shabaab hanno costituito un retroterra logistico indispensabile per sfuggire ai controlli delle autorità e delle Forze Armate e di Polizia mozambicane.

La nascita e lo sviluppo della militanza locale appaiono anche strettamente connessi alle caratteristiche peculiari e alle vulnerabilità economiche, sociali ed etniche della regione di Cabo Delgado. Tra le peculiarità, la regione è stata ribattezzata “la nuova Eldorado” grazie alla fiorente industria energetica che ha attratto multinazionali straniere quali l’americana Anadarko e l’italiana ENI. Dall’altro lato, in netto contrasto all’enorme potenziale offerto dalla dotazione di risorse naturali, nella regione persistono molteplici criticità che hanno contribuito a creare un terreno fertile per la radicalizzazione jihadista. Un primo elemento di debolezza è relativo alla decisione del partito al Governo, Frente de Libertaçao de Moçambique (FRELIMO), di implementare pluridecennali politiche di centralizzazione e di redistribuzione non omogenea della ricchezza. Questa scelta politica ha fatto prosperare Maputo e il Sud ma, allo stesso tempo, ha fortemente penalizzato il Nord, mettendo un freno alla possibilità concreta di sviluppo dell’area. Di conseguenza, si è verificato un progressivo deterioramento delle condizioni socio-economiche e la popolazione è rimasta esclusa dai benefici che normalmente derivano dalla presenza di idrocarburi. Tra le ragioni che hanno fomentato ulteriormente il malcontento, vi sono un alto tasso di disoccupazione e di povertà accompagnato da un crescente senso di abbandono e di esclusione politica. La popolazione lamenta, inoltre, un’indebita espropriazione di terre senza giusto compenso e una mancanza di opportunità lavorative anche laddove ci siano importanti investimenti in infrastrutture come, ad esempio, la realizzazione della nuova rete viaria che è stata affidata quasi in toto alla forza lavoro non qualificata (ma più economica) del vicino Zimbabwe. Un ultimo aspetto riguarda le forti rivalità etniche presenti nell’area: l’etnia Mwani, la più diffusa tra i militanti di al-Shabaab, è storicamente rivale dell’etnia Makonde, ritenuta la più favorita in quanto ad essa appartiene anche il Presidente Filipe Nyusi.

Nel corso degli ultimi anni Cabo Delgado è stata caratterizzata, dunque, da un senso di frustrazione che ha reso alcuni giovani più vulnerabili e più ricettivi ai messaggi di estremismo violento. In questo, il movimento jihadista mozambicano si è dimostrato abile nel proporre un lauto supporto finanziario ai propri membri e alle loro famiglie grazie alla redistribuzione dei proventi dei traffici illeciti di narcotici, legno, avorio, rubini e carbone tra Zambia, Zimbabwe e Tanzania.

Si stima che al-Shabaab possa contare su una filiera di circa 1500 individui operanti in circa 100 cellule che vedono nella guerriglia armata un’occasione di rivalsa. Mentre aumenta la polarizzazione tra le due anime del Paese (Nord e Sud) e continuano a crescere le disparità a Cabo Delgado, per contrastare l’ascesa della minaccia jihadista finora sottovalutata, le élite di potere hanno reagito implementando per gran parte politiche repressive. Si tratta principalmente di pattugliamenti nei villaggi, centinaia di arresti di individui sospetti, chiusura di alcune moschee che veicolavano messaggi estremisti e distruzione di interi villaggi indicati come possibili roccaforti dell’organizzazione.

L’unica misura preventiva consiste nell’approvazione di una legge anti-terrorismo che condanna chiunque sia ritenuto colpevole di svolgere attività terroristiche a 40 anni di reclusione.

Tuttavia, allo stato attuale, la prevalenza di politiche repressive potrebbe favorire la propaganda e il reclutamento jihadista, aumentando il bacino potenziale di radicalizzati nelle comunità musulmane del Nord. Inoltre, non bisogna sottovalutare il rischio che l’insorgenza mozambicana cerchi di emulare gruppi jihadisti già consolidati nel Continente come Boko Haram in Nigeria o al-Shabaab in Somalia, minacciando ulteriormente la fragile stabilità di un Paese ricco di vulnerabilità economiche e politiche come il Mozambico.

In questo contesto, appare utile sottolineare come le indagini delle autorità di Maputo abbiano evidenziato pericolose connessioni tra la militanza locale e i network regionali. Innanzitutto, la leadership di al-Shabaab include un mozambicano, Nuro Adremane, e un gambiano, Musa, che hanno ottenuto formazione e addestramento in Somalia dopo aver viaggiato attraverso Tanzania e Kenya. In secondo luogo, un numero crescente di arresti ha interessato persone di nazionalità sudafricana, tanzaniana o somala coinvolte in operazioni di supporto logistico, finanziamento o vendita di armi da fuoco al gruppo.

In questo senso, non bisogna sottovalutare come, l’aumento del personale, delle aziende e degli interessi stranieri nel Paese potrebbe fungere da incentivo per nuovi e più sofisticati attacchi, aumentando il rischio securitario e danneggiando sia gli investitori che lo stesso Mozambico, che per il proprio sviluppo ha disperatamente bisogno sia del flusso finanziario derivante dall’industria idrocarburica che degli investimenti dei suoi partner europei ed asiatici.

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