La Tunisia e la transizione democratica in bilico
Middle East & North Africa

La Tunisia e la transizione democratica in bilico

By Federica Sandy Curcio
03.01.2023

Giornalisti, imprenditori, politici di spicco, magistrati e sindacalisti: nel corso degli ultimi due mesi si è assistito ad un’ondata di repressione ed arresti che rischia di condurre la parabola democratica della Tunisia verso una deriva sempre più autocratica. Azioni, quelle del Presidente Kais Saied, accompagnate dal contenimento forzato delle migrazioni clandestine, in particolare in seguito alle dichiarazioni xenofobe contro i migranti subsahariani che hanno scatenato violente proteste in tutto il Paese ed hanno attirato le critiche dell’Unione Africana.

La situazione socio-politica del Paese è allo stremo e rischia di entrare definitivamente in crisi a partire dall’incolmabile distanza tra popolazione ed istituzioni. Il distacco da parte del pubblico nei confronti della politica è stato ampiamente testimoniato in occasione delle recenti elezioni per l’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo, quando le urne hanno restituito dati sull’affluenza ai minimi storici: solo il 9% degli elettori ha preso parte al primo turno elettorale tenutosi a dicembre, con un ballottaggio il 29 gennaio che ha fatto restituito un dato simile (11,2%). La bassa affluenza è contemporaneamente sintomo e conseguenza del boicottaggio e degli appelli all’astensione da parte dei principali attori politici tunisini, ma anche della contestazione di giuristi, sindacati e organizzazioni della società civile contro lo stesso Presidente Saied che, dal 2021, ha cambiato le sorti del sistema costituzionale tunisino accentrando gran parte dei poteri esecutivi e legislativi nella sua figura.

Un passaggio istituzionale delicato avvenuto in un contesto economico di affanno, aggravato da fattori esterni come la guerra in Ucraina, e la conseguente crisi alimentare, e gli strascichi della pandemia da Covid-19 sugli scambi globali. Sebbene l’economia tunisina abbia visto una lieve ripresa negli ultimi tempi, oggi la popolazione è decisamente più povera, costretta a fare i conti con l’inflazione al 10,2% e la disoccupazione in crescita – soprattutto quella giovanile che nel 2022 è salita al 38%. La stabilità finanziaria, inoltre, è messa a dura prova dall’elevato debito pubblico del Paese che alla fine del 2022 rappresentava l’86% del PIL. In questo quadro un segnale preoccupante è arrivato dall’agenzia Fitch che ha declassato il rating di default della Tunisia da “CCC” a “CCC+” privo di outlook a causa della sua gravità. Tale declassamento va letto anche nell’ottica dell’accordo raggiunto dal governo tunisino con il Fondo Monetario Internazionale per un prestito da 2 miliardi di dollari, oggi bloccato per l’impossibilità di attuare le riforme necessarie in un contesto macroeconomico che non lascia libertà d’azione.

Molteplici sono anche le pressioni economiche e diplomatiche esterne su Tunisi, soprattutto da parte dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, che hanno criticato ed espresso preoccupazione per le azioni del Presidente e che potrebbero tradursi in un taglio dei finanziamenti verso il Paese. Non mancano, in ultima analisi, le spinte dei player regionali la cui competizione si cela anche dietro la crisi dello scenario tunisino. Saied gode del pieno appoggio di Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, i quali non hanno esitato ad offrire garanzie di finanziamenti e di investimenti per risollevare l’economia della Repubblica. Allo stesso tempo, non sono mancati gli scontri verbali e diplomatici tra Tunisi ed Ankara che, da forte sostenitrice della Fratellanza Musulmana e quindi del partito tunisino di opposizione Ennhada, ha aspramente criticato la presa di potere di Saied.

Questa crisi dalle molteplici sfaccettature è pericolosa e lascia numerosi interrogativi sulla sua evoluzione. Il prezzo della svolta autoritaria potrebbe essere l’isolamento politico in casa e - in parte - all’estero, oltre al peggioramento definitivo della situazione economico-finanziaria tunisina. La repressione contro gli oppositori, gli arresti immotivati e le conseguenti proteste sempre più intense segnalano un quadro di destabilizzazione che sembra destinato a precipitare.

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