La riforma della legge sulla cittadinanza divide l’India di Modi
Asia & Pacific

La riforma della legge sulla cittadinanza divide l’India di Modi

By Veronica Conti
02.26.2020

Nel corso dell’ultima settimana, violenti scontri tra la comunità musulmana e la comunità induista a Nuova Delhi hanno causato la morte di circa trenta persone. Le violenze sono iniziate domenica 23 febbraio, quando un gruppo di nazionalisti induisti aveva aggredito i manifestanti scesi in piazza per manifestare contro  la riforma della legge sulla cittadinanza, il Citizenship Amendment Act (CAA). Questo disegno di legge, promosso dal Premier Narendra Modi e dal Partito popolare (Bharatiya Janata Party – BJP) e approvato lo scorso 11 dicembre dal Parlamento, ha modificato il testo originale del 1955 ed è considerato un provvedimento anti-musulmano. Infatti, le nuove disposizioni agevolano i profughi di religione non islamica provenienti da Afghanistan, Bangladesh e Pakistan, che siano presenti anche in modo irregolare sul territorio indiano da almeno 5 anni, nel richiedere la cittadinanza.

Gli scontri dei giorni scorsi sono la degenerazione violenta di una serie di proteste scoppiate negli scorsi mesi in tutta l’India a seguito dell’approvazione del testo di legge. In particolare, gli scontri hanno avuto inizio nell’università Jamia Millia Islamia di Nuova Delhi, dove gli studenti si sono espressi in maniera molto critica nei confronti dell’iniziativa. Dalla capitale, man mano le proteste si sono diffuse in tutto il Paese, tanto da dividere l’opinione pubblica nazionale. Il motivo delle manifestazioni è il carattere discriminatorio del testo che andrebbe a colpire alcune minoranze religiose, tra le quali quella musulmana. Secondo l’ufficio per i diritti umani dell’Onu, il fatto che possano accedere a questa “scorciatoia” giuridica solo alcune categorie (nel testo di legge sono indicate espressamente le seguenti: induisti, sikh, buddisti, giainisti, parsi e cristiani) rappresenta una lesione dei diritti di chi professa fedi diverse. Secondo i giovani che stanno prendendo parte alle iniziative di piazza, questa legge mette in discussione la laicità della Costituzione e rappresenta un tentativo di appiattimento del multiculturalismo. Quest’ultimo costituisce uno dei tratti caratteristici della Repubblica indiana e la sua messa in discussione potrebbe comportare delle gravissime ripercussioni sociali. Non è un caso, infatti, che il bacino dei partecipanti si stia via via ampliando e che si stiano esasperando anche i torni del dibattito pubblico. A rendere ancora più difficile il consenso al Citizenship Amendment Act si aggiunge il National Register of Citizens (NRC, il Registro Nazionale dei Cittadini). Tale strumento, già contemplato nella riforma del 2003 della legge sulla cittadinanza del 1955, è stato adottato nel 2013 nell’Assam, regione orientale della Repubblica, a seguito delle massicce migrazioni dal Bangladesh, per censire gli indiani autoctoni. Sebbene il governo abbia manifestato l’intenzione di estendere il Registro a tutta la cittadinanza entro il 2021, ad oggi il suo utilizzo per  individuare i migranti irregolari lo rende agli occhi della popolazione un ulteriore atto di ostilità nei confronti delle minoranze musulmana, non citata nell’emendamento approvato a fine 2019.

Le scelte attuate dal Primo Ministro Modi dopo la conferma ricevuta alle elezioni dello scorso maggio sembrano  procedere verso la realizzazione del progetto di rendere l’India un Paese sempre più induista attraverso un’omogeneizzazione religiosa della società. Il leitmotiv della politica del BJP risiede nell’Hindutva, ideologia che identifica la purezza dell’identità culturale, religiosa e nazionale indiana con i principi dell’induismo, e che si sta traducendo sul piano politico in una forma radicale di nazionalismo di radice induista. Un primo segnale di questa tendenza si era registrato con i provvedimenti presi nei confronti della regione del Kashmir la scorsa estate. Ad agosto, il governo aveva approvato la modifica dell’Articolo 370 della Costituzione e conseguentemente dello status speciale fino a quel momento garantito allo Stato del Jammu e Kashmir (il territorio nordoccidentale che confina con Pakistan e Cina) che era così diventato a tutti gli effetti un Territorio dell’unione, L’intenzione di Modi è di separare il territorio di Ladakh (a maggioranza buddista, parte est della regione) da quello del Kashmir (a maggioranza musulmana, parte ovest), lasciando la gestione di quest’ultimo nelle mani del governo federale,.

Modi durante la campagna elettorale aveva puntato molto sulla riforma del diritto di cittadinanza e sulla soluzione all’annoso problema del Kashmir per guadagnare consensi. Tuttavia, nonostante l’ampio sostegno elettorale registrato all’ultima tornata di maggio, questi ultimi sei mesi di governo sembrano aver aperto una stagione di maggior  polarizzazione politica della società, che potrebbe avere forti ripercussioni sulle condizioni di stabilità interna. A fronte della formazione di un fronte sempre più esteso di opposizione, infatti, il governo BJP ha trovato il supporto di una estesa la compagine di gruppi politici, para-politici e associativi che hanno nella destra nazionalista il proprio punto di riferimento. Tra questi, l’l’associazione studentesca di estrema destra Akhil Bharatiya Vidyarthi Parishad (Abvp), che è la componente universitaria della Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), movimento paramilitare volontario nazionalista indù. I rapporti tra Rashtriya Swayamsevak Sangh e Partito popolare indiano sono molto forti (basti pensare che lo stesso Modi da giovane ha fatto parte di queste milizie) anche se l’organizzazione non si può considerare ufficialmente la formazione giovanile del partito.

La polarizzazione del dibattito pubblico è stata particolarmente evidente in occasione degli scontri violenti scoppiati nelle principali università del Paese, in particolare dell’università Jawaharlal Nehru di Nuova Delhi, durante i quali rappresentanti del ABPV hanno fatto irruzione nei dormitori per soffocare le manifestazioni anti-governative promosse dagli studenti. Questa situazione, per ora circoscritta alla capitale e ai principali centri urbani, potrebbe diffondersi però a macchia di leopardo nel Paese. Non sono mancate iniziative dalle singole regioni della Repubblica a seguito della diffusione delle proteste, che via via stanno superando i confini della capitale. Sebbene l’India sia è uno Stato federale, in cui i singoli territori riconosciuti come Stati federati godono di una certa autonomia amministrativa e politica rispetto all’autorità centrale, la riforma della cittadinanza è di competenza del governo centrale, ha riscosso il sostegno di alcuni rappresentanti politici regionali. A fine dicembre, il governatore dell’Uttar Pradesh (Stato nordorientale, il più grande dell’India per densità demografica), Yogi Adityanath, ha disposto la sospensione della connessione internet per ridurre la capacità organizzativa dei manifestanti. La misura è stata anche la conseguenza degli importanti scontri che hanno avuto luogo nella regione e hanno portato alla morte di numerosi contestatori.

In un momento in cui la classe politica sembra orientata a voler delegittimare le proteste e ad isolare le opposizioni (lo stesso Modi avrebbe definito i manifestanti “naxiliti di città”, epiteto che fa riferimento al gruppo terrorista maoista che dal 2009 viene tendenzialmente isolato dall’opinione pubblica) più che a prendere in considerazione le rivendicazioni avanzate dalle piazze, questa polarizzazione potrebbe dar origine a vere e proprie fratture all’interno della società indiana. La messa in discussione del multiculturalismo, a sempre principale collante del variegato tessuto sociale indiano, infatti, potrebbe portare non solo all’acuirsi degli scontri tra gruppi nazionalisti e oppositori del CAA, ma soprattutto ad progressivo risentimento delle minoranze, in particolar modo della comunità musulmana (la più grande del Kashmir e la seconda di tutta l’India), contribuendo a dividere il Paese lungo faglie religiose, dai pericolosi effetti per la futura stabilità del Paese.

Nel corso dell’ultima settimana, violenti scontri tra la comunità musulmana e la comunità induista a Nuova Delhi hanno causato la morte di circa trenta persone. Le violenze sono iniziate domenica 23 febbraio, quando un gruppo di nazionalisti induisti aveva aggredito i manifestanti scesi in piazza per manifestare contro  la riforma della legge sulla cittadinanza, il Citizenship Amendment Act (CAA). Questo disegno di legge, promosso dal Premier Narendra Modi e dal Partito popolare (Bharatiya Janata Party – BJP) e approvato lo scorso 11 dicembre dal Parlamento, ha modificato il testo originale del 1955 ed è considerato un provvedimento anti-musulmano. Infatti, le nuove disposizioni agevolano i profughi di religione non islamica provenienti da Afghanistan, Bangladesh e Pakistan, che siano presenti anche in modo irregolare sul territorio indiano da almeno 5 anni, nel richiedere la cittadinanza.

Gli scontri dei giorni scorsi sono la degenerazione violenta di una serie di proteste scoppiate negli scorsi mesi in tutta l’India a seguito dell’approvazione del testo di legge. In particolare, gli scontri hanno avuto inizio nell’università Jamia Millia Islamia di Nuova Delhi, dove gli studenti si sono espressi in maniera molto critica nei confronti dell’iniziativa. Dalla capitale, man mano le proteste si sono diffuse in tutto il Paese, tanto da dividere l’opinione pubblica nazionale. Il motivo delle manifestazioni è il carattere discriminatorio del testo che andrebbe a colpire alcune minoranze religiose, tra le quali quella musulmana. Secondo l’ufficio per i diritti umani dell’Onu, il fatto che possano accedere a questa “scorciatoia” giuridica solo alcune categorie (nel testo di legge sono indicate espressamente le seguenti: induisti, sikh, buddisti, giainisti, parsi e cristiani) rappresenta una lesione dei diritti di chi professa fedi diverse. Secondo i giovani che stanno prendendo parte alle iniziative di piazza, questa legge mette in discussione la laicità della Costituzione e rappresenta un tentativo di appiattimento del multiculturalismo. Quest’ultimo costituisce uno dei tratti caratteristici della Repubblica indiana e la sua messa in discussione potrebbe comportare delle gravissime ripercussioni sociali. Non è un caso, infatti, che il bacino dei partecipanti si stia via via ampliando e che si stiano esasperando anche i torni del dibattito pubblico. A rendere ancora più difficile il consenso al Citizenship Amendment Act si aggiunge il National Register of Citizens (NRC, il Registro Nazionale dei Cittadini). Tale strumento, già contemplato nella riforma del 2003 della legge sulla cittadinanza del 1955, è stato adottato nel 2013 nell’Assam, regione orientale della Repubblica, a seguito delle massicce migrazioni dal Bangladesh, per censire gli indiani autoctoni. Sebbene il governo abbia manifestato l’intenzione di estendere il Registro a tutta la cittadinanza entro il 2021, ad oggi il suo utilizzo per  individuare i migranti irregolari lo rende agli occhi della popolazione un ulteriore atto di ostilità nei confronti delle minoranze musulmana, non citata nell’emendamento approvato a fine 2019.

Le scelte attuate dal Primo Ministro Modi dopo la conferma ricevuta alle elezioni dello scorso maggio sembrano  procedere verso la realizzazione del progetto di rendere l’India un Paese sempre più induista attraverso un’omogeneizzazione religiosa della società. Il leitmotiv della politica del BJP risiede nell’Hindutva, ideologia che identifica la purezza dell’identità culturale, religiosa e nazionale indiana con i principi dell’induismo, e che si sta traducendo sul piano politico in una forma radicale di nazionalismo di radice induista. Un primo segnale di questa tendenza si era registrato con i provvedimenti presi nei confronti della regione del Kashmir la scorsa estate. Ad agosto, il governo aveva approvato la modifica dell’Articolo 370 della Costituzione e conseguentemente dello status speciale fino a quel momento garantito allo Stato del Jammu e Kashmir (il territorio nordoccidentale che confina con Pakistan e Cina) che era così diventato a tutti gli effetti un Territorio dell’unione, L’intenzione di Modi è di separare il territorio di Ladakh (a maggioranza buddista, parte est della regione) da quello del Kashmir (a maggioranza musulmana, parte ovest), lasciando la gestione di quest’ultimo nelle mani del governo federale,.

Modi durante la campagna elettorale aveva puntato molto sulla riforma del diritto di cittadinanza e sulla soluzione all’annoso problema del Kashmir per guadagnare consensi. Tuttavia, nonostante l’ampio sostegno elettorale registrato all’ultima tornata di maggio, questi ultimi sei mesi di governo sembrano aver aperto una stagione di maggior  polarizzazione politica della società, che potrebbe avere forti ripercussioni sulle condizioni di stabilità interna. A fronte della formazione di un fronte sempre più esteso di opposizione, infatti, il governo BJP ha trovato il supporto di una estesa la compagine di gruppi politici, para-politici e associativi che hanno nella destra nazionalista il proprio punto di riferimento. Tra questi, l’l’associazione studentesca di estrema destra Akhil Bharatiya Vidyarthi Parishad (Abvp), che è la componente universitaria della Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), movimento paramilitare volontario nazionalista indù. I rapporti tra Rashtriya Swayamsevak Sangh e Partito popolare indiano sono molto forti (basti pensare che lo stesso Modi da giovane ha fatto parte di queste milizie) anche se l’organizzazione non si può considerare ufficialmente la formazione giovanile del partito.

La polarizzazione del dibattito pubblico è stata particolarmente evidente in occasione degli scontri violenti scoppiati nelle principali università del Paese, in particolare dell’università Jawaharlal Nehru di Nuova Delhi, durante i quali rappresentanti del ABPV hanno fatto irruzione nei dormitori per soffocare le manifestazioni anti-governative promosse dagli studenti. Questa situazione, per ora circoscritta alla capitale e ai principali centri urbani, potrebbe diffondersi però a macchia di leopardo nel Paese. Non sono mancate iniziative dalle singole regioni della Repubblica a seguito della diffusione delle proteste, che via via stanno superando i confini della capitale. Sebbene l’India sia è uno Stato federale, in cui i singoli territori riconosciuti come Stati federati godono di una certa autonomia amministrativa e politica rispetto all’autorità centrale, la riforma della cittadinanza è di competenza del governo centrale, ha riscosso il sostegno di alcuni rappresentanti politici regionali. A fine dicembre, il governatore dell’Uttar Pradesh (Stato nordorientale, il più grande dell’India per densità demografica), Yogi Adityanath, ha disposto la sospensione della connessione internet per ridurre la capacità organizzativa dei manifestanti. La misura è stata anche la conseguenza degli importanti scontri che hanno avuto luogo nella regione e hanno portato alla morte di numerosi contestatori.

In un momento in cui la classe politica sembra orientata a voler delegittimare le proteste e ad isolare le opposizioni (lo stesso Modi avrebbe definito i manifestanti “naxiliti di città”, epiteto che fa riferimento al gruppo terrorista maoista che dal 2009 viene tendenzialmente isolato dall’opinione pubblica) più che a prendere in considerazione le rivendicazioni avanzate dalle piazze, questa polarizzazione potrebbe dar origine a vere e proprie fratture all’interno della società indiana. La messa in discussione del multiculturalismo, a sempre principale collante del variegato tessuto sociale indiano, infatti, potrebbe portare non solo all’acuirsi degli scontri tra gruppi nazionalisti e oppositori del CAA, ma soprattutto ad progressivo risentimento delle minoranze, in particolar modo della comunità musulmana (la più grande del Kashmir e la seconda di tutta l’India), contribuendo a dividere il Paese lungo faglie religiose, dai pericolosi effetti per la futura stabilità del Paese.

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