Tra successi e fallimenti: un primo bilancio del governo al-Sudani in Iraq
Middle East & North Africa

Tra successi e fallimenti: un primo bilancio del governo al-Sudani in Iraq

By Sara Isabella Leykin
01.19.2024

Il 27 ottobre 2023 si è celebrato il primo anniversario del governo di Mohammad Shi’a al-Sudani in Iraq. Salito al potere dopo un anno particolarmente turbolento per la vita politica del Paese, la nomina di al-Sudani nel 2022 era stata accolta positivamente sia a livello domestico, sia regionale e internazionale, intravedendo in ciò un nuovo punto di partenza per Baghdad. La speranza risiedeva nel fatto che questa nomina potesse contribuire nel riassetto politico e risolvere quelle questioni cruciali che da due decenni hanno causato instabilità e intramontabili difficoltà sociali ed economiche. Facendo una valutazione del primo anno di governo, l’operato dell’esecutivo è stato tutto sommato positivo e contrassegnato da un mix di obiettivi raggiunti (migliori misure per i cittadini e l’economia, maggiori investimenti esteri e un ruolo da mediatore sempre più affermato nelle dispute regionali), benché rimangano ancora molte le sfide incompiute da portare avanti (disfunzionamento del sistema politico, corruzione, rivalità etnico-religiose, mancanza di controllo sulle milizie). Il percorso intrapreso da al-Sudani nel suo programma di governo ha già, quindi, presentato alcuni importanti risultati, che, se le vecchie ombre del sistema politico del Paese (come la corruzione e le rivalità etnico-religiosa) non ostacoleranno, aprono uno spiraglio per una certa stabilizzazione nazionale.

Alle origini del governo al-Sudani

Il programma di governo presentato da al-Sudani al Parlamento nell’ottobre del 2022 era articolato in due parti. Nella prima, il Premier ha stilato i suoi obiettivi di governo volti a implementare la prestazione dei servizi, a migliorare le condizioni di vita dei cittadini, la creazione di posti di lavoro, lo sradicamento della povertà, la lotta alla corruzione e una riforma del sistema economico e finanziario. La seconda parte, invece, è stata composta dall’accordo politico che ha reso possibile la salita al potere di questo esecutivo. Infatti, nel 2022 l’Iraq è stato colpito da un’ennesima ma grave crisi politica, causata per lo più dalle rivalità tra l’ambiente sciita, nella fattispecie tra il Movimento Sadrista di Muqtada al-Sadr e le altre forze rivali, prima fra tutte il Quadro di Coordinamento (CF, Coordination Framework). Vinte le elezioni dell’ottobre 2021, infatti, il Movimento Sadrista si è ritrovato impossibilitato a formare un governo a causa di una decisione presa dalla Corte Suprema irachena. In risposta, i sadristi, dapprima, si erano ritirati dal Parlamento rinunciando ai seggi guadagnati, per poi occupare con la forza il palazzo presidenziale e lo stesso Parlamento, aprendo con il Quadro di Coordinamento il più violento scontro armato degli ultimi anni per le strade di Baghdad. Dopo aver sfiorato lo scoppio di una guerra civile, il CF, divenuto a quel punto il blocco di maggioranza nel Parlamento, è riuscito a formare un governo in coalizione con l’Alleanza di Sovranità Sunnita guidato dall’ex Presidente della Camera dei Rappresentanti Mohammad al-Habousi, e i due partiti curdi, il Partito Democratico Curdo e il Partito di Unione Curdo. Gli obiettivi politici del governo al-Sudani sono stati, quindi, definiti dalle richieste di ogni membro di questa coalizione, chiamata Alleanza di Gestione dello Stato (State Management Alliance), nell’accordo politico generale, senza essere integrati nel documento di governo, aspetto che potrebbe aver inficiato la capacità del premier di raggiungere i suoi obiettivi di governo tanto decantati.

Passi in avanti (ma con qualche inciampo) in economia

Il primo e più importante obiettivo che al-Sudani e il suo governo si sono posti è stato, quindi, il miglioramento dei servizi dei cittadini. Punto debole dei governi che si sono succeduti dal 2003 in poi, l’erogazione di servizi è stata colpita da diverse dinamiche endemiche irachene, come la corruzione, la frode, la presenza di istituzioni inefficienti e l’assenza di volere politico, che hanno causato negli anni il disperdere di innumerevoli fondi per più di cento progetti, parzialmente o mai completati. A differenza dei suoi predecessori, al-Sudani ha deciso di adottare un approccio pragmatico che ha portato nel marzo 2023 alla costituzione del Team di Servizio Governativo, al fine di migliorare i servizi per i cittadini di Baghdad, monitorando i lavori attraverso visite sui cantieri dei progetti in costruzione. Ancora più significativa è stata la decisione di proporre al Parlamento un budget-record triennale da 198,91 trilioni di dinari iracheni (153 miliardi di dollari) proprio per assicurare la continuazione di progetti e programmi. Secondo i sostenitori di questa proposta, il budget sarebbe stato utilizzato per l’espansione della rete di salvaguardia sociale al fine di combattere la povertà, in particolare provvedendo ad assicurare le razioni alimentari statali, stanziando al contempo una spesa significativa per le infrastrutture critiche. Infatti, al-Sudani ha cercato di espandere la rete sociale, in modo da includere anche le famiglie più povere e gli individui più bisognosi, costruendo strade, autostrade e ospedali. Questo, però, è stato accompagnato anche da decisive criticità, che hanno inficiato e contraddicono la fruibilità dei fondi: in primo luogo, mentre un terzo del budget, circa 64,34 trilioni, è deficit pubblico, i costi operativi da 133,22 trilioni di dinari (circa 102,5 miliardi di dollari) diminuiscono i fondi destinati agli investimenti per lo sviluppo a solo 49,35 trilioni di dinari (37,9 miliardi di dollari), uno squilibrio evidente della divisione del budget; allo stesso tempo, la decisione di creare 600.000 posti di lavoro statali per combattere la disoccupazione mina ancora di più la capacità di rendere fruibili i fondi per progetti infrastrutturali. Infatti, la decisione, chiaramente populista mossa dal governo per ottenere l’approvazione dei cittadini e scongiurare nuove forme di protesta, ha mirato ad abbassare il tasso di disoccupazione, di cui si può effettivamente constatare un abbassamento, essendo passato dal 16,7% del 2021 al 15,5% del 2022; ma ciò ha anche significato la necessità di destinare una parte del fondo al pagamento dei salari dei nuovi lavoratori, riducendone ancora di più la fruibilità.

Tutte queste sono, però, soluzioni che, oltre ad essere di breve termine, poco fanno per risolvere i problemi economici più profondi del Paese, come il poco contributo del settore privato al prodotto interno lordo, la forte dipendenza dagli idrocarburi e dalle importazioni, e la quasi totale dipendenza dal governo come datore di lavoro di prima istanza. A peggiorare ulteriormente il già fragile scenario economico nazionale si inserisce la debolezza del dinaro iracheno in confronto al dollaro americano: nel febbraio 2023, Baghdad ha rafforzato la moneta da 1.460 a 1.320 QI per dollaro, che, sebbene sia mantenuto stabile nel mercato, ha avuto importanti ricadute su quello parallelo, dove il dinaro è sceso a inizio ottobre a 1.560 contro un dollaro. Questo ha spinto la Banca Centrale irachena a prendere la decisione di annunciare il blocco dei prelievi di contanti in dollari dal 1° gennaio 2024, nella speranza anche di combattere il contrabbando di moneta forte come appunto il dollaro USA.

Energia e infrastrutture: una sfida di sistema

Questi aspetti, accompagnati dalla poca volontà della classe politica di agevolare una riforma economica sostenibile, sono ostacoli che al-Sudani sta cercando di superare per migliorare i risultati economici nel medio termine. Durante questo primo anno, il Primo Ministro ha lavorato energeticamente per attirare investitori stranieri, invogliando i partner a finanziare progetti infrastrutturali nel Paese, strategia che ha portato meno successi di quelli a cui il premier aspirava. La politica economica ed energetica si è così unita a quella estera, che è stata segnata dalla continuazione del percorso intrapreso dal predecessore di al-Sudani, Mustafa al-Khadim, che prevedeva il rafforzamento dei legami economici, energetici e securitari con i Paesi della regione, in particolare Giordania, Egitto e il Golfo. Un primo importante accordo è stato quello da 27 miliardi di dollari con la francese TotalEnergies per lo sviluppo dei settori petrolifero e del gas dell’Iraq, attraverso la costruzione di quattro progetti, compreso uno sulle energie rinnovabili, è stato firmato definitivamente nel luglio 2023, dopo aver ricevuto per anni obiezioni dei politici iracheni. Successivamente, anche il Qatar si è aggiunto, con l’accordo che ora prevede un investimento del 25% da parte di QatarEnergy. A luglio, poi, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti si sono impegnati a investire 3 miliardi di dollari ciascuno in Iraq, che, sebbene si tratti di investimenti ad alta intensità di capitale, servirebbero per il raggiungimento di due importanti obiettivi di al-Sudani: creare posti di lavoro nel settore privato e ridurre la dipendenza dell’Iraq dalle importazioni di carburante e gas dall’Iran. La diversificazione dell’approvvigionamento energetico (e la maggiore indipendenza energetica da Teheran) è stato anche l’obiettivo di un altro importante progetto che entrerà in funzione nel 2024: il progetto di Interconnessione Elettrica tra Iraq e i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC). Questa infrastruttura, che mira a collegare i Paesi del GCC, l’Iraq, la Giordania (con cui Baghdad ha già completato in ottobre un progetto simile) e l’Egitto, permetterà a Baghdad di ridurre la dipendenza energetica da un unico fornitore e di migliorare la sicurezza della rete energetica del Paese, oltre a dare un chiaro posto al Paese nelle dinamiche della regione, sempre più vicino al Golfo e sempre meno dipendente dall’Iran. Più ambiziosamente, durante la conferenza a Baghdad, che ha visto funzionari dai GCC, dalla Siria, dalla Giordania, dalla Turchia e dall’Iran partecipare lo scorso maggio, al-Sudani ha proposto la cosiddetta “Strada dello Sviluppo” (Development Road), un progetto di trasporto da 17 miliardi di dollari che collegherà il porto di al-Faw, nel sud dell’Iraq, con la Turchia e poi con l’Europa, generando 4 miliardi di dollari all’anno e creando migliaia di posti di lavoro. Meno interesse è stato espresso per gli altri settori del Paese, in particolare quello agricolo e industriale, causato anche dalla presenza di numerose barriere, come la burocrazia, la corruzione, un ambiente giuridico poco chiaro e l’insicurezza.

Le aspirazioni irachene di politica estera

Ad ogni modo, gli aspetti economico-energetici sono solo una parte del programma di politica estera di al-Sudani: la volontà di affermare l’Iraq come un player significativo della regione mediorientale è l’aspirazione politica dell’esecutivo, obiettivo che già i precedenti governi si erano fissati e che avevano causato diverse spaccature all’interno dell’unità degli stessi. A tal fine, Baghdad si è impegnata, da una parte, a diventare un luogo dove poter dar vita a nuove finestre di dialogo tra potenze rivali, e, dall’altra, a bilanciare le proprie relazioni con gli attori più importanti per la propria stabilità, ovvero Stati Uniti e Iran, e Iran e Paesi Arabi. Proprio quest’ultimo aspetto, accompagnato anche dal riavvicinamento con l’Arabia Saudita e gli altri Paesi del Golfo, è stato il più rischioso, in quanto poteva essere percepito come maggiormente favorevole alle istanze delle cancellerie arabe piuttosto che a quelle di Teheran dalle milizie filo-iraniane, come successo con i precedenti governi. Membri di alcuni partiti sciiti e delle Forze di Mobilitazione Popolare (Popular Mobilization Forces, PMF) vicine alla Repubblica Islamica sciita hanno destato le proprie riserve a riguardo, ma l’allentamento delle tensioni tra Riyadh e Teheran, che ha visto proprio la capitale irachena teatro dei vari incontri bilaterali tra le due potenze storicamente rivali, ha permesso ad al-Sudani di guadagnare anche il favore di queste milizie. La diffidenza però rimane, come dimostrato, per esempio, dalla protesta del movimento filo-iraniano al-Nujaba per la creazione di una pipeline con la Giordania, la Basrah-Aqaba pipeline, che ha minacciato la riuscita del progetto. Il ruolo di mediatore, a cui aspira Baghdad, ha trovato anch’esso un importantissimo successo con i sopracitati cicli di incontri tra l’Arabia Saudita e l’Iran. Il PM ha però sottolineato come il Paese non abbia l’obiettivo di posizionarsi come un mediatore, ma voglia creare delle iniziative che favoriscano il dialogo tra queste due potenze, agendo, quindi, da ponte così da evitare che il suo Paese diventi nuovamente un campo di battaglia.

La lotta infinita alla corruzione

L’altro punto fondamentale dell’agenda di al-Sudani è la lotta alla corruzione, piaga della politica irachena. Fin dai primi mesi al potere, il PM ha lanciato una campagna contro questo problema, con un piano anti-corruzione dalle molteplici sfaccettature, che comprende la riforma delle istituzioni statali responsabili della lotta alla corruzione, la conduzione di ispezioni sulle dichiarazioni finanziarie fornite da alti funzionari governativi, l’istituzione dell’Autorità Suprema Anti-corruzione e la successiva creazione di una forza di sicurezza specializzata per indagare sui casi di corruzione sotto il Ministero degli Interni. Queste iniziative sono state accompagnate da diverse condanne per corruzione, alcune probabilmente motivate da interessi politici, che hanno coinvolto ex Governatori politici, funzionari di medio livello e altri. Nonostante, quindi, le buone intenzioni, il governo di al-Sudani ha però fallito nel colpire i potenti partiti politici e gli individui che più beneficiano dalla corruzione del sistema, con l’impunità che ha raggiunto proporzioni epiche: l’esempio più eclatante di quest’anno a conferma di ciò è quello che è stato chiamato “la rapina del secolo”, che ha visto 2,5 miliardi di dollari sottratti dalle casse delle autorità fiscali irachene da tre persone di alto livello (un imprenditore, un ex membro del Parlamento e un funzionario della banca di Stato Rafidain), che dopo aver ammesso la loro colpa sono stati rilasciati. Dato il fatto che difficilmente questo caso è avvenuto senza la partecipazione di influenti esponenti dei partiti politici, l’impunità e il fallimento del governo di arrivare alle origini della corruzione nel Paese hanno inficiato l’opinione dell’operato dell’esecutivo nella popolazione. Se, quindi, la corruzione è una criticità endemica del Paese che si collega anche a elementi molto complessi come la muhasasa (il sistema politico iracheno che vede una divisione etnico-religiosa delle posizioni di potere) e che la rendono difficilissima da combattere, la lotta anticorruzione di al-Sudani è stata invalidata anche dalla composizione stessa del suo governo, rendendo impensabile per il Primo Ministro andare contro quei partiti che hanno permesso la sua salita al potere.

Una situazione politica sempre più tesa e frammentata

Quest’ultima riflessione apre, quindi, un interrogativo sull’effettiva capacità del Premier di riuscire a proseguire la sua agenda liberamente. Nel suo primo anno di mandato, al-Sudani non è stato in grado di rispondere alle richieste fatte nell’accordo politico dai suoi alleati di coalizione, ovvero i partiti curdi e i sunniti. Alla richiesta dei primi di risolvere l’annosa questione della negoziazione e dell’approvazione della legge sul gas e sul petrolio del Kurdistan nei primi sei mesi, l’esecutivo è stato incapace di dare risposta, con la legge ancora in stallo e le dispute tra Erbil e Baghdad ancora in atto. Per quanto riguarda invece i sunniti, la richiesta di permettere agli sfollati interni di ritornare alle proprie case entro i primi sei mesi del governo non ha trovato ancora esecuzione, e la Legge sull’Amnistia generale è stata ostacolata dai gruppi sciiti. Sebbene il Primo Ministro abbia cercato di mantenere l’equilibrio tra le varie componenti del governo per perseguire la sua agenda, il suo operato è senza dubbio stato ostacolato dalle divisioni politiche e dalle volontà di ciascun partito, in particolare dalle azioni dei partiti del Quadro di Coordinamento, che hanno cercato di aumentare il loro peso politico ai danni dei segmenti curdi e sunniti. Da una parte, questi hanno istigato una campagna contro Mohammad al-Habousi, Presidente della Camera dei Rappresentanti e, quindi, sunnita e con cui il Quadro di Coordinamento non aveva buoni rapporti dal 2021, che ha portato alle sue dimissioni il 15 novembre 2023; dall’altra, ha sostenuto due decisioni della Corte Suprema di Baghdad che hanno di fatto chiuso il settore petrolifero del Governo Regionale del Kurdistan e le entrate curde.

Le milizie e il ruolo dello Stato

Infine, al-Sudani ha mancato di adempire anche all’obiettivo di prendere il controllo sulle milizie, non ridispiegandole al di fuori delle aree urbane e non di limitandone le attività alla difesa nazionale sotto la sua autorità di comandante in capo delle forze armate, come previsto dall’accordo. Con lo scoppio, dopo il 7 ottobre, della guerra tra Hamas e Israele, questo aspetto è arrivato al culmine, ma ha anche mostrato un diverso approccio verso queste: le milizie armate della Resistenza Islamica in Iraq (al-Muqawama al-Islamiyah fi al-Iraq) e appartenenti all’Asse della Resistenza guidata da Teheran, come la sopracitata Harak al-Nujaba, Kataib Hezbollah e altre, hanno deciso di dare il loro totale sostegno ad Hamas, e dal 17 ottobre in poi hanno iniziato a lanciare ripetuti attacchi i droni e razzi contro le basi americane presenti in Iraq. Da parte loro, gli Stati Uniti hanno risposto a questi attacchi con diverse modalità, fino ad arrivare, il 4 gennaio 2024, a colpire e uccidere il leader di Harakat al-Nujaba, Mushtaq Jawad Kazim al Jawari, nella parte orientale di Baghdad. Quest’azione, che al-Sudani ha commentato come “un’aggressione palese e pericolosa” e “un attacco ingiustificato a un’entità di sicurezza irachena che sta operando nell’ambito dei poteri autorizzati dal Comandante in Capo delle Forze Armate”, ha portato il Primo Ministro ad annunciare la fine della presenza della coalizione a guida statunitense presente nel Paese dal 2014 per combattere lo Stato Islamico. Se in precedenza al-Sudani ha sempre supportato la presenza di queste truppe, dicendo che erano state invitate dal governo iracheno, la guerra a Gaza, le sue ripercussioni e quest’ultimo attacco hanno modificato il fragile equilibrio domestico dell’Iraq, dove cresce sempre di più la volontà di estromettere le forze statunitensi. Già da fine ottobre, infatti, diverse forze sciite, sia nel Quadro di Coordinamento che nel Movimento Sadrista, hanno chiesto la chiusura dell’ambasciata americana per il totale sostegno ad Israele e così al-Sudani si è ritrovato ad avere ancora maggiore pressione domestica. Se è difficile che gli Stati Uniti lascino definitivamente il Paese, sicuramente al-Sudani dovrà continuare a cercare di mantenere la stabilità nel Paese trovando un’armonia nelle multiple e diversificate domande dei suoi alleati interni ed esterni.

Le (troppe) sfide per il 2024

In conclusione, quello che si potrebbe descrivere come l’anno di prova del governo al-Sudani può essere ritenuto più che soddisfacente: anche se ci sono state varie sconfitte, l’Iraq, grazie anche al suo nuovo leader, sembra stia uscendo dalla tremenda situazione degli ultimi 20 anni. Le elezioni provinciali, che si sono tenute dopo un decennio il 10 dicembre 2023, hanno confermato la vittoria del Quadro di Coordinamento, indicando un segnale positivo per il Primo Ministro e per il suo operato. Sebbene, quindi, la popolazione sembri apprezzare l’operato di al-Sudani, le difficoltà endemiche del Paese rimangono uno scoglio importante per un reale cambiamento della situazione interna, ed estera, dell’Iraq. La lotta alla corruzione, il disfunzionamento politico, le rivalità intestine alla coalizione di governo, la fragile economia e i settarismi, nonché gli effetti del cambiamento climatico e la questione degli sfollati, continueranno ad essere dei fattori invalidanti per il successo delle politiche che al-Sudani promuoverà nel secondo (e nei successi) anni al potere. A questa già al quanto instabile situazione si aggiunge l’imprevedibilità degli effetti che la guerra a Gaza continuerà ad avere sulla regione e sul Paese. Il secondo anno di mandato, quindi, sarà sicuramente segnato dalle sfide che conseguiranno da questi elementi, ma sarà anche distinto dalle opportunità che permetteranno ad al-Sudani di rafforzare programmi chiave in materia di economia, sviluppo e diplomazia, che solidificando la sua posizione, stabilizzando il governo e favorendo il progresso dell’Iraq.