Sudan, nuovo colpo di Stato dei militari
Africa

Sudan, nuovo colpo di Stato dei militari

By Marco Di Liddo
10.29.2021

Il 25 ottobre, le Forze Armate, guidate dal Generale Abdel Fattah al-Burhan, hanno dissolto il Consiglio Sovrano del Sudan (CSS) e arrestato il Primo Ministro Abdalla Hamdok ed altre decine di ministri ed esponenti politici e dei movimenti della società civile. I militari hanno giustificato il golpe affermando di voler impedire lo scoppio di una presunta ed imminente guerra civile nonché di neutralizzare sul nascere una pericolosa e violenta polarizzazione dello scenario sociale nazionale. In realtà, il colpo di Stato è avvenuto allo scopo di ripristinare l’egemonia politica delle Forze Armate e di scongiurare il rischio che i partiti ed i movimenti civili guadagnassero sempre più potere e consensi.

Nello specifico, i militari temevano non solo di perdere i propri privilegi e di veder ridimensionato il proprio ruolo nazionale, ma anche di dover affrontare processi nazionali e internazionali per le accuse di crimini contro l’umanità compiuti nella lunga stagione della dittatura dell’ex Presidente Omar al-Bashir (1989 – 2019). Inoltre, le Forze Armate associavano l’aumento del potere da parte dei partiti civili con il rischio concreto di perdere il controllo sulla vendita di oro, diamanti e petrolio, loro principale fonte di approvvigionamento finanziario.

Già nelle settimane precedenti le autorità sudanesi avevano dichiarato di aver sventato un colpo di Stato (16 settembre), attribuendo la cospirazione ad un non meglio precisato fronte di lealisti di al-Bashir. Da allora, nel Paese si erano moltiplicate le manifestazioni popolari a supporto tanto dei partiti civili quanto dei militari, spesso degenerate in violenti scontri. Esiste la possibilità che il fronte di sostegno alle Forze Armate sia stato creato e organizzato ad hoc proprio dai militari allo scopo di destabilizzare il panorama sociale e politico nazionale nonché di dimostrare che parte della popolazione era schierata con essi. Le crescenti tensioni tra fazioni pro-militari e fazioni pro-partiti civili hanno offerto alle Forze Armate il casus belli per intervenire, isolare e ridurre momentaneamente all’impotenza le opposizioni.

Il CSS era ufficio di Presidenza della Repubblica composto da 5 militari scelti dal Consiglio di Transizione Militare (CTM), 5 civili scelti dalle Forze per la Libertà ed il Cambiamento (FLB) e 5 membri di estrazione mista selezionati congiuntamente dal CTM e dal FLB. Il CSS era uno dei tanti organi transitori sorti all’indomani del colpo di Stato del 2019 in cui un’alleanza di movimenti di protesta e delle Forze Armate aveva deposto il Presidente al-Bashir. Nonostante gli sforzi di dialogo e di apparente conciliazione tra militari e civili, le Forze Armate avevano sempre cercato di mantenere le redini della politica nazionale, abbandonandosi a concessioni puramente simboliche. La stessa decisione di esautorare al-Bashir va interpretata in questa direzione, vale a dire come il tentativo di offrire al popolo sudanese un capro espiatorio, consegnandogli il presunto unico responsabile del malgoverno e salvaguardare la propria immagine. In realtà, quelle stesse Forze Armate che hanno supportato il golpe del 2019 ed effettuato quello dello scorso ottobre erano parte integrante del sistema di potere di al-Bashir e corresponsabili di tutte le sue azioni politiche.

A testimonianza di tale continuità tra il vecchio regime e l’attuale leadership militare sopravviene il ruolo che alcuni ufficiali dell’era al-Bashir ancora continuano ad avere nel Paese. Su tutti, il Generale Mohamed Hamdan Dagalo, comandante delle Forze di Supporto Rapido (le cosiddette “forze speciali sudanesi” nonché delle milizie jajaweed responsabili di innumerevoli massacri nella regione del Darfur, uomo di fiducia di al-Bashir e vice-Presidente del CSS. Dagalo viene considerato l’eminenza grigia del sistema di potere sudanese, colui che tesse le fila politiche dell’azione delle Forze Armate ed il “burattinaio” dietro il Generale al-Burhan.

Ad oggi, appare molto complicato prevedere quali potrebbero essere gli sviluppi della crisi sudanese. Infatti, nonostante le Forze Armate appaiano in controllo della situazione nella capitale Khartoum e nei centri urbani principali, una parte non trascurabile del popolo e della società civile sudanesi ha condannato il golpe e si è dichiarata pronta ad opporvisi anche con forme di mobilitazione violenta. Il rischio, dunque, è la radicalizzazione ulteriore del confronto tra militari ed opposizioni civili sfoci in un conflitto interno su larga scala, soprattutto nel momento in cui le ultime fossero in grado di coinvolgere in una eventuale ribellione le milizie etniche delle province rurali e delle regioni più turbolente, come il Kordofan e il Darfur, da sempre nemiche giurate del fronte militare.

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