Sputnik V e la “diplomazia del vaccino” di Mosca
Russia & Caucasus

Sputnik V e la “diplomazia del vaccino” di Mosca

By Maria Carmina Cantone
02.11.2021

Quando l’11 agosto dell’anno scorso, Vladimir Putin ha annunciato l’approvazione del vaccino russo Sputnik V, la notizia ha colto di sorpresa e ha reso scettico il mondo intero. Questo, essenzialmente, per due motivi: innanzitutto perché era il primo vaccino anti covid-19 pronto per l’uso, in secondo luogo perché era stato approvato prima dell’inizio della terza fase di sperimentazione.

Proprio questa diffidenza nei confronti dello Sputnik V ha spinto il leader russo a rassicurare i suoi interlocutori. Al momento dell’annuncio, infatti, Putin ha dichiarato che il vaccino era sicuro al tal punto che anche una delle sue figlie ne aveva ricevuto la somministrazione e non aveva avuto alcun effetto collaterale.

Lo Sputnik V è stato prodotto dal Centro Nazionale di ricerca epidemiologica e microbiologica Gamaleja in collaborazione con il Fondo russo per gli investimenti diretti (RDIF) ed è una particella di adenovirus umano fuso con il peplomero di SARS-CoV-2 al fine di stimolare una risposta immunitaria. A differenza dei vaccini prodotti da Pfizer o da Moderna, che si basano su una proteina di mRNA che possiede il codice genetico della proteina Spike (è la proteina che legandosi con il recettore ACE2 permette la diffusione del virus), quello russo si basa su due tipi di adenovirus: per il primo vaccino si utilizza l’adenovirus-26, per il secondo, invece, l’adenovirus-5.

La scelta di utilizzare due vettori differenti è stata fatta per ridurre il rischio che, dopo la prima dose, l’organismo produca anticorpi contro il primo vettore, con una conseguente riduzione di efficacia della vaccinazione.

Ogni somministrazione del vaccino deve avvenire a distanza di 21 giorni e il prezzo annunciato è poco al di sotto dei 10 dollari a dose. Come accennato prima, il vaccino russo deve competere con i vaccini prodotti in altri Paesi. Attualmente i vaccini approvati e somministrati alla popolazione, oltre lo Sputnik V, sono quattro: Pfizer, Moderna, Astrazeneca e Coronavac (di produzione cinese). Mentre i primi due (prodotti negli Stati Uniti) si concentrano sulla proteina Spike, si conservano a temperature molto basse (si arriva a -70 per il Pfizer) e sono più costosi (12 dollari Pfizer e 18 dollari Moderna a dose), quello di Astrazeneca (prodotto in Gran Bretagna in collaborazione con l’Italia) è il più simile a quello russo, per diverse ragioni. Innanzitutto perché si basa anch’esso sull’adenovirus (qui troviamo, però, solamente l’adenovirus-26), inoltre come per lo Sputnik V si conserva ad una temperatura maggiore (2-8 gradi), ed il prezzo è molto basso, 1,78 euro a dose. L’efficacia di Pfizer e Moderna sembra essere di oltre il 90%, mentre quella di Astrazeneca si aggira intorno al 60%.

Bisogna fare un discorso a parte per il vaccino cinese, perché è completamente diverso dagli altri. Esso si basa sul coronavirus inattivato chimicamente per stimolare la risposta immunitaria, si può conservare in un frigorifero di casa ed è molto economico, tanto che è perfetto per i paesi in via di sviluppo che non dispongono di grande liquidità monetaria. L’efficacia sembra essere, stavolta, più bassa, quindi si rischia di avere persone vaccinate che possono contagiarsi lo stesso, ma non possedendo dati certi, non se ne ha la certezza. Parlando di efficacia, lo scorso 2 febbraio, la rivista inglese Lancet, una delle più importanti nel panorama scientifico mondiale, ha pubblicato uno studio sullo Sputnik V, riportando come il vaccino russo abbia un’efficacia del 91,6%. Lancet ha condotto uno studio su un campione di quasi 20000 volontari con un’età dai 18 anni in su, in cui ha evidenziato come il vaccino funzioni bene sia per le mutazioni del virus, sia per le persone che abbiano più di 60 anni. Questi risultati hanno una duplice valenza: se da una parte garantiscono l’efficacia di un altro vaccino nella lotta al coronavirus, dall’altra danno al vaccino russo, una sorta di rivincita contro coloro che ne avevano criticato la velocità con cui era stato prodotto. L’efficacia del vaccino dal punto di vista scientifico lo ha reso uno strumento molto ambito da diversi Paesi per la lotta al covid-19. La scelta di affidarsi allo Sputnik V ha, di fatto, cambiato la sua importanza: da strumento meramente sanitario è diventato un’arma politica, che la Russia può e vuole sfruttare a proprio vantaggio nel contesto del rafforzamento della sua postura internazionale.

Da quando è stato approvato dal Cremlino, infatti, sono molti i Paesi che hanno fatto richiesta dello Sputnik V. Attualmente sono 16 quelli che ne hanno certificato la validità ed hanno avviato le campagne vaccinali.

Una delle aree di maggiore interesse è il Sudamerica, dove il Cremlino punta a consolidare una presenza parallela a quella cinese e statunitense ed usare la diplomazia del vaccino come volano per intensificare le partnership nel settore militare, infrastrutturale e minerario. Il primo Paese sudamericano ad utilizzare e approvare il vaccino russo è stato l’Argentina. Mosca e Buenos Aires, infatti, già da tempo, intrattengono una fitta rete di relazioni economiche e politiche. Ad esempio, l’ex Presidente dell’Argentina, Cristina Kirchner, aveva criticato le sanzioni internazionali imposte alla Russia a seguito dell’annessione della Crimea nel 2014, ricevendo il plauso di Mosca), mentre il gigante del trasporto ferroviario russo Transmashholding ha investito milioni di dollari nella costruzione di impianti ferroviari in Argentina.

L’approvazione del vaccino ha reso queste relazioni ancora più fitte, consolidando l’influenza russa sul Paese. Per questo motivo, non sono mancate polemiche da parte di alcuni organi di stampa stranieri, come ad esempio “The Economist”, che ritengono il governo argentino colpevole di aver ignorato le regolari procedure di approvazione del vaccino, mettendo a rischio la vita di milioni di persone, per interessi economici. Il ministro della Sanità argentino, Ginés Gonzalez Garcìa, ha difeso l’operato dell’esecutivo, dichiarando che è stata creata una campagna di fake news e di paura al fine di screditare la campagna vaccinale e ha condannato coloro che hanno diffuso informazioni false.

Sulla scia dell’Argentina, lo scorso 30 dicembre, anche la Bolivia ha autorizzato la somministrazione dello Sputnik V. Il presidente boliviano Luis Arce, già al momento della sua elezione nel novembre dell’anno scorso, aveva annunciato che il suo Paese avrebbe intensificato le relazioni diplomatiche con la Federazione Russa. La decisione di approvare il vaccino russo la si può interpretare come il tentativo di usare l’accordo per facilitare e accelerare i protocolli di adesione all’Unione Economica Eurasiatica. Da parte russa, invece, il miglioramento dell’asse con la Bolivia rappresenta un tassello ulteriore per proiettare influenza nello scenario sudamericano.

Mentre questi due Paesi riceveranno le dosi del vaccino dalla Russia stessa, il Brasile rappresenta un caso particolare, perché ha ottenuto l’autorizzazione alla produzione dello Sputnik V su licenza. La notizia è stata data dall’azienda farmaceutica Uniao Quimica, che è partner del RDIF. Il Fondo ha, infatti, provveduto a trasferire in Brasile, ad inizio gennaio, il know-how tecnologico e biologico per la produzione del vaccino. Contemporaneamente, per velocizzare il processo di contrasto al covid-19, il Brasile si è attivato anche per ottenere una fornitura diretta dalla Russia, in questo modo può iniziare la somministrazione del vaccino per le categorie più fragili.

Sempre nell’area sudamericana, c’è da sottolineare come anche il Venezuela abbia approvato il vaccino russo. Il Paese è, infatti, uno dei partner privilegiati della Russia. Questa, all’epoca del tentativo di colpo di stato avvenuto all’indomani delle elezioni presidenziali del 2019, era stata l’unica potenza ad appoggiare il Presidente uscente Maduro, quando gli USA avevano riconosciuto il governo del suo rivale Juan Guidò. La presa di posizione russa ha origini lontane: già al tempo di Hugo Chavez, predecessore di Maduro, la Federazione Russa aveva intrapreso una fitta rete di relazioni con il Venezuela sia dal punto di vista militare, con la vendita di armi, che economico, con il prestito di 2 miliardi di dollari.

Oltre al Sudamerica, anche in Europa e Medio Oriente lo Sputnik V può diventare il grimaldello per puntellare la strategia di diversificazione diplomatica ed espansione della presenza russa. A riguardo, basta pensare al caso iraniano. Teheran, infatti, ha deciso di adottare il vaccino russo, certificando la solidità di un partnership andata sviluppandosi nel corso della guerra in Siria e costruito attorno al comune anti-americanismo.

Tuttavia, anche Arabia Saudita e Israele hanno acquistato alcuni stock di dosi di vaccino. Le quantità acquistate sono minori rispetto all’Iran, poiché i due Paesi hanno basato la propria campagna di contrasto e prevenzione al covid-19 sui vaccini Moderna, AstraZeneca e Pfizer. Tuttavia, qualora le verifiche scientifiche dovessero dare esiti positivi, Riyadh e Tel Aviv potrebbero considerare lo Sputnik V come un’opzione parallela in caso di emergenza. Inoltre, la vendita dei vaccini russi costituisce un ulteriore rafforzamento dei rapporti tra Mosca e le cancellerie saudita e israeliana in un momento in cui la situazione mediorientale appare ancora caotica, polarizzata e priva di un attore egemone in grado di stabile un nuovo ordine regionale da solo.

L’Europa, infine, nei confronti dello Sputnik V ha assunto un atteggiamento non omogeneo. Se inizialmente è stata diffidente e ha guardato con sospetto alla velocità di realizzazione del vaccino, ultimamente si è mostrata più aperta alla possibilità di usufruire dello stesso, nonostante si resti in attesa dell’Agenzia Europea del Farmaco per la valutazione dei dati forniti dalla Russia. Questo cambiamento è avvenuto per due motivi: il rallentamento delle forniture di Pfizer (decisione presa unilateralmente dall’azienda farmaceutica per la necessità di potenziare la capacità di produzione dei propri stabilimenti), che ha violato gli accordi presi in precedenza con l’UE per l’acquisto di 300 milioni di dosi, e l’annuncio della rivista Lancet, che ha dimostrato l’efficacia dello Sputnik V. Da più parti, dalla Germania alla Francia, dalla Spagna all’Italia, fino ad arrivare alla Grecia, sono stati espressi commenti favorevoli verso il vaccino russo. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha dichiarato che la Germania è pronta a stringere accordi sulla produzione e l’uso del vaccino nonostante oggi i rapporti tra Berlino e Mosca non siano dei migliori a causa del dossier ucraino e del caso Navalny. Sulla stessa falsariga si è espresso anche il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian, che ha aperto le porte della Francia se lo Sputnik V dovesse effettivamente rivelarsi affidabile.

Anche in Italia cresce il numero delle voci a favore dell’utilizzo dello Sputnik V, come testimoniato dalle prese di posizione di autorevoli personalità politiche a livello regionale.

L’unico Paese europeo che ha approvato il vaccino russo è l’Ungheria di Orban, che attivando una procedura di emergenza, ha scavalcato di fatto le procedure UE, infrangendone indirettamente le direttive. L’Ungheria, in seno all’Unione Europea, è lo Stato più vicino alla Russia di Putin, sia dal punto di vista ideologico che politico. L’accordo sullo Sputnik V può essere interpretato in molteplici direzioni. Innanzitutto, Budapest si è avvalsa della collaborazione di Mosca in materia sanitaria per dimostrare a Bruxelles di poter usufruire di partnership internazionali alternative a quelle europee e non per questo meno profittevoli. Un messaggio politico importante, che si inserisce nel solco dei conflitti tra Orban e l’Unione in materia di diritti umani, diritti politici e negoziati sulle politiche migratorie. Di contro, la Russia può dirsi soddisfatta dell’amicizia ungherese, soprattutto in virtù del fatto di potere usare questa relazione speciale per inserire un suo “cavallo di Troia” nell’Unione e minarne unità e stabilità.

In conclusione, la diplomazia sanitaria e il potenziale uso politico del vaccino da parte russa si inserisce nel contesto più ampio della cosiddetta “guerra ibrida” e della militarizzazione di strumenti economici, culturali e scientifici di politica estera. In un momento storico in cui l’ondata pandemica non è ancora finita, la possibilità di esportare il vaccino, supplendo così alle difficoltà produttive di altre industrie farmaceutiche occidentali, potrebbe garantire al Cremlino una carta negoziale da utilizzare come contrappeso in altri dossier sensibili, come la questione crimeana, la guerra delle sanzioni e l’esclusione dal G8. Porsi nel gruppo dei Paesi con la capacità tecnico-scientifica e con la volontà politica di combattere la pandemia ed aiutare gli Stati in difficoltà costituisce un fondamentale ritorno d’immagine per Mosca, in un momento in cui gli occhi del mondo appaiono molto critici sia per il suo comportamento interno (repressione del dissenso e caso Navalny) e internazionale (ingerenze nel Donbas e ambiguo ruolo in Siria e Libia).

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