Operazione Rough Rider: una campagna di bombardamenti in Yemen pensando all’Iran
Defence & Security

Operazione Rough Rider: una campagna di bombardamenti in Yemen pensando all’Iran

By Emmanuele Panero and Sara Lucia Addeo
05.06.2025

A partire dal 15 Marzo 2025, gli Stati Uniti hanno avviato una campagna aerea ed aeronavale di bersagliamenti mirati contro obiettivi in circa metà dei 14 Governatorati dello Yemen controllati, parzialmente o completamente, dal gruppo armato Houthi. Denominata Operazione Rough Rider, l’offensiva militare si inserisce in una linea d’azione più ampia ed integrata da parte dell’Amministrazione statunitense, finalizzata non solo a ridefinire le condizioni di sicurezza nel teatro del Mar Rosso, ma soprattutto a minare alla base le capacità operative della milizia yemenita, dispiegando al contempo un risoluto segnale di deterrenza verso la Repubblica Islamica dell’Iran.

Al netto della sempre più marcata inefficacia dei tentativi di attacco degli Houthi sia contro il territorio israeliano sia contro il traffico marittimo passante per lo Stretto di Bab el-Mandeb ed il Mar Rosso, questi hanno infatti continuato a rappresentare una minaccia. Se le continuative attività di protezione ai convogli di navi civili in rotta nella regione da parte dei dispositivi aeronavali dispiegati nel contesto delle Operazioni EUNAVFOR Aspides e Prosperity Guardian, hanno limitato l’impatto nella dimensione fisica delle azioni malevole del gruppo yemenita e le operazioni di bombardamento contro obiettivi pianificati e di opportunità condotte da assetti anglo-statunitensi nel perimetro dell’Operazione Poseidon Archer e quelle effettuate in diverse occasioni dall’Israeli Air Force (IAF) hanno parzialmente disarticolato e degradato le capacità militari della milizia, questa ha dimostrato una non marginale resilienza. In particolare, la strategia di interdizione e pressione asimmetrica attuata dal gruppo armato yemenita, soprattutto mediante tattiche di saturazione intermittente con il ricorso ad una combinazione di droni d’attacco (OWA UAV – One-Way Attack Unmanned Aerial Vehicle), missili balistici (ASBM – Anti-Ship Ballistic Missile) e da crociera antinave (ASCM – Anti-Ship Cruise Missile) ha persistito nel generare significativi effetti sulla libertà di navigazione, incidendo attraverso la dimensione cognitiva sulla valutazione e valorizzazione economica dei rischi da parte delle compagnie di assicurazione e riassicurazione, nonché a cascata sugli operatori del commercio marittimo attivi nel quadrante. La temporanea e parziale sospensione delle azioni malevole del movimento yemenita dopo l’inizio della tregua nella Striscia di Gaza non ha infatti promosso un incremento rilevante dei transiti e l’annuncio, l’11 Marzo 2025, di una ripresa delle azioni ostili da parte degli Houthi, nel frattempo nuovamente designati quale organizzazione terroristica straniera da parte del Dipartimento di Stato statunitense, ha posto le condizioni per un mutamento nell’approccio militare alla minaccia.

L’Operazione Rough Rider si distingue infatti per un ritmo operativo ed un’intensità degli attacchi sensibilmente superiore ai bersagliamenti condotti in precedenza, con oltre 800 obiettivi colpiti nel corso di quasi 1.000 sortite. Queste non si sono limitate alla neutralizzazione di target di specifica natura militare, ma hanno diffusamente coinvolto infrastrutture ed installazioni diversamente riconducibili al funzionamento ed al sostegno dell’apparato bellico degli Houthi, inclusi alcune nominalmente dual use. Gli attacchi si sono concentrati non solo su centri di comando e controllo, sistemi di difesa aerea, impianti di produzione e stoccaggio di armamenti, ma anche su siti legati al finanziamento ed alla logistica delle attività del gruppo, quali i porti di Hodeida e di Salif, nonché il terminal petrolifero di Ras Isa. Le azioni cinetiche hanno inoltre massivamente perseguito la neutralizzazione di figure chiave nelle gerarchie del gruppo armato, con particolare riferimento al personale di vertice funzionale all’approvvigionamento, alla produzione, all’approntamento ed all’impiego di vettori d’attacco avanzati. Almeno una ventina di queste sono ricomprese nei quasi 700 combattenti Houthi neutralizzati negli attacchi dall’inizio dell’operazione, combinando il degradamento delle capacità e soprattutto dei non marginali arsenali militari della milizia con la sistematica disarticolazione dell’organizzazione, rimuovendo dalle fila del movimento yemenita cruciali competenze finora alla base dell’innovazione e resilienza del gruppo armato. I bersagliamenti così condotti hanno generato effetti tali da causare un abbattimento dell’85% nei lanci di missili balistici ed una riduzione di almeno il 65% negli attacchi condotti con OWA UAVs. Distinguendosi per una maggiore ampiezza e dispersione geografica negli obiettivi colpiti ed una superiore continuità delle operazioni, la campagna ha inoltre implementato regole di ingaggio (ROE – Rules of Engagement) più speditive, tra cui la delega di autorità al Comandante dello US Central Command (USCENTCOM) per la diretta approvazione dei bersagli qualora riconducibili ad un’organizzazione designata come terrorista, ossia gli Houthi stessi.

La campagna di bombardamenti è stata inizialmente condotta in prevalenza dagli assetti aeronavali del Carrier Strike Group 8 (CSG8), incentrato sulla portaerei classe Nimitz USS Harry S. Truman, con imbarcato il Carrier Air Wing 1 forte tra gli altri di uno Strike Fighter Squadron su F/A-18F Super Hornet, tre su F/A-18E Super Hornet ed un Electronic Attack Squadron su E/A-18G Growler, e comprendente l’incrociatore classe Ticonderoga USS Gettysburg ed i tre cacciatorpedinieri classe Arleigh Burke USS Stout, USS Jason Dunham e USS The Sullivans. Il dispositivo ingaggiato nell’operazione è poi stato integrato dapprima con assetti della US Air Force (USAF) schierati nell’area di responsabilità (AoR – Area of Responsibility) di USCENTCOM, tra cui F-16C Viper ed F-35A Lighting II, nonché con una Bomber Task Force composta da sei bombardieri stealth B-2 Spirit e relativi supporti dispiegati presso la base di Diego Garcia nell’Oceano Indiano. Quest’ultima componente risulta particolarmente significativa, non solo in quanto rappresenta il 30% dell’intera flotta di B-2 Spirit a disposizione della USAF, ma soprattutto per il rilevante potenziale offensivo in termini di munizionamento dispiegabile dagli stessi, con particolare riferimento a bombe per la distruzione di infrastrutture sotterranee. Nonostante non risulti siano state sinora impiegate in Yemen, il velivolo è infatti l’unico certificato per l’utilizzo della GBU-57/B Massive Ordnance Penetrator (MOP), la più avanzata e distruttiva munizione anti-bunker convenzionale esistente, cruciale, come già avvenuto il 16 Ottobre 2024, per neutralizzare i depositi sotterranei della milizia yemenita, ma soprattutto centrale nell’eventualità di un’azione contro il programma nucleare e missilistico iraniano e pertanto un considerevole deterrente. Ad un mese dall’avvio dell’operazione, il CSG1, della portaerei classe Nimitz USS Carl Vinson, con a bordo il Carrier Air Wing 2 comprendente uno Strike Fighter Squadron su F/A-18F Super Hornet, due su F/A-18E Super Hornet, uno su F-35C Lighting II ed un Electronic Attack Squadron su E/A-18G Growler, ed inclusivo dell’incrociatore classe Ticonderoga USS Princeton e dei due cacciatorpedinieri classe Arleigh Burke USS Sterett e USS William P. Lawrence, si è unito alla campagna di bombardamenti. La partecipazione degli F-35C alle attività, sia in funzione di attacco al suolo, sia di contrasto ai vettori d’attacco sporadicamente lanciati dagli Houthi contro le unità navali statunitensi rappresenta in buona parte una prima nella storia operativa del velivolo, sottolineando il significativo ritorno di esperienza prodotto dalla campagna in corso.

L’impiego di un dispositivo militare così significativo, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, è compatibile con un intento non solo di neutralizzare definitivamente la minaccia del gruppo armato yemenita e ristabilire la piena libertà di navigazione nella regione, ma anche di sperimentazione, in parte volutamente nota e visibile, degli assetti e delle tattiche, tecniche e procedure che potrebbero venire coinvolte in un’azione militare limitata contro l’Iran. Il rafforzamento della deterrenza e soprattutto della concreta credibilità della stessa, mediante un sostanziale reharsal operativo in condizioni autoimposte di elevata frequenza ed intensità delle attività, è plausibilmente un elemento tutt’altro che marginale nelle modalità con cui la campagna è stata ed è attualmente svolta. Questo presenta tuttavia dei rischi non marginali, in quanto il ricorso ad alcune tipologie di munizioni aeree, raramente o mai impiegate in precedenza, genera le condizioni nel caso di malfunzionamenti per azioni di Foreign Military Exploitaiton (FME) da parte di potenziali avversari. Il recupero da parte degli Houthi di una bomba planante GBU-53/B StormBreaker sostanzialmente intatta rappresenta in quest’ottica un significativo esempio, soprattutto se elementi di dettaglio attinenti alla stessa venissero trasferiti per lo sviluppo di specifiche contromisure a peer e near-peer competitors. Il ricorso a vettori d’attacco stand-off, come la munizione summenzionata, ed il diffuso impiego di velivoli stealth è infine compatibile anche con uno spettro di minaccia non nullo posto dalle difese aeree della milizia yemenita. Il gruppo armato ha infatti abbattuto fino a sei droni MQ-9 Reaper statunitensi dall’avvio dell’operazione, dimostrando nuovamente non secondarie capacità di innovazione ed adattamento del loro composito arsenale di sistemi missilistici superficie-aria (SAM – Surface-to-Air Missile) ed apparati di rilevazione radar ed elettronica attiva, ma soprattutto passiva, per porre a rischio i velivoli statunitensi.

L’assenza di segnali di una riduzione nel ritmo operativo ed il pieno coinvolgimento degli assetti dispiegati, in particolare i due Carrier Air Wing imbarcati sulle portaerei USS Harry S. Truman e USS Carl Vinson, nelle attività di bersagliamento, rendono improbabile una prossima cessazione degli attacchi. Le reiterate, benché inefficaci, reazioni militari degli Houthi e la loro persistente assertività nell’ambiente informativo sottolineano infatti come l’intento dell’operazione non sia ancora stato pienamente raggiunto. La campagna ha comunque sinora risolutamente consolidato la deterrenza regionale statunitense, tanto più in una fase di delicati negoziati tra Washington e Teheran. Il sensibile approfondimento nel degradamento e nella disarticolazione del gruppo armato yemenita potrebbe tuttavia generare le condizioni per l’indebolimento dell’effettivo controllo sul territorio ancora detenuto dalla milizia, con conseguenze significative su un teatro segnato da anni di guerra civile.