Nella nebbia dell’Operazione Sindoor: scenari dello scontro India-Pakistan
Alle 9:35 ora italiana, l’01:05 ora locale, le Forze Armate indiane hanno condotto una breve operazione di bersagliamento, denominata Sindoor, contro 21 obiettivi complessivi situati principalmente al di là della linea di controllo (LoC – Line of Control) in Kashmir e nella Provincia pakistana del Punjab, oltreché in quella del Khyber Pakhtunkhwa. L’azione, di durata complessiva pari a circa 25 minuti, ha coinvolto in prevalenza l’impiego di velivoli dell’Aeronautica Militare indiana in volo entro lo spazio aereo nazionale per il lancio di vettori d’attacco stand-off di precisione a lungo raggio. Questi hanno colpito unicamente selezionate strutture riconducibili, secondo l’India, ai gruppi militanti Jaish-e-Mohammed (JeM) e Lashkar-e-Taiba (LeT), ritenuti responsabili da Nuova Dehli dell’attacco terroristico del 22 Aprile contro turisti Hindu in Kashmir. In particolare, gli apparati di sicurezza indiani hanno collegato l’azione terroristica di Pahalgam, che ha provocato 26 vittime, al The Resistence Front (TRF), sigla riconducibile al gruppo LeT, responsabile tra gli altri dell’attacco di Mumbai del 2008. Tra i luoghi bersagliati dalle Forze di Nuova Delhi si segnala, infatti, la città di Muridke, provincia del Punjab, dove l’intelligence indiana ha individuato la presenza del leader di JeM, Masood Azhar, il quale potrebbe tuttavia essere scampato all’attacco a differenza dei membri della sua famiglia.
Il carattere estremamente limitato, per durata e magnitudo, dei bombardamenti, nonostante si registrino almeno 25 vittime ed un numero pressoché doppio di feriti, nonché il mancato coinvolgimento di alcun sito militare pakistano nell’operazione, tendono ad indicare un’accurata calibrazione della stessa al fine di minimizzare i rischi immediati di esclation. Questo estremizza inoltre la densità della nebbia informativa che circonda l’attacco, con una massiva campagna reciproca di misinformazione e disinformazione condotta da ambedue le parti, con l’intento, da un lato, di sminuire le capacità militari dell’avversario e, dall’altro, di enfatizzare le proprie. In quest’ottica, alla reiterazione del ricorso a munizionamento aereo stand-off avanzato con minimi danni collaterali, combinato con non meglio definiti sistemi aerei senza pilota da parte indiana, si contrappone una progressiva espansione nel numero di velivoli di Nuova Dehli abbattuti dall’Aeronautica Militare di Islamabad nel corso dell’operazione. La probabile perdita di alcuni assetti ad ala fissa, soprattutto se non dovuta a malfunzionamenti, sarebbe avvenuta entro lo spazio aereo indiano, indicando una plausibile attività di defensive counter-air transfrontaliera con missili aria-aria da parte degli aerei pakistani.
Al netto dell’assertività nella comunicazione strategica adottata da Islamabad e degli scambi di artiglieria lungo l’intera LoC in Kashmir, i quali risultano tuttavia in linea con un mero intensificarsi dei reiterati ingaggi di posizione che hanno segnato l’intero periodo dall’attentato del 22 Aprile, una rappresaglia del Pakistan appare inderogabile, ma non imminente. La concretizzazione della stessa presenta infatti un dilemma afferente più che alle modalità, alla natura degli obiettivi selezionati, non avendo Nuova Dehli colpito infrastrutture militari e negando così i presupposti per una risposta in-kind.
Lo scenario attuale, dunque, riproduce almeno in parte alcuni elementi già emersi nel corso degli scontri piuttosto limitati, per portata e durata, avvenuti tra India e Pakistan nel 2016 e soprattutto nel 2019. In quest’ultima occasione, in particolare, i due Paesi si concentrarono sull’ottenimento di risultati utili da spendere nei rispettivi fronti interni, dinamica che potrebbe riproporsi anche in questo caso. All’epoca ciò si tradusse, da parte indiana, in uno strike dai limitati obiettivi in località Balakot, cui non seguirono scontri su ampia scala tra i due Paesi. Nel contesto attuale, l’operazione Sindoor, seppur relativamente più ampia per portata rispetto al 2019, è servita comunque all’India per confermare l’intenzione di rispondere anche militarmente ad attacchi terroristici, provando così a ristabilire la deterrenza, e confermando l’assenza della distinzione tra azioni condotte da gruppi kashmiri e operazioni convenzionali riconducibili alle Forze pakistane. Allo stesso tempo, malgrado le difficoltà sopra evidenziate, una contro-risposta del Pakistan appare prevedibile in quanto le Forze Armate del Paese, e in particolare i loro vertici, su tutti il Capo di Stato maggiore dell’Esercito, Generale Asim Munir, non appaiono in grado di gestire senza rischi un’ulteriore perdita di credibilità, soprattutto dopo le proteste popolari registrate negli anni scorsi nel quadro della campagna di repressione contro l’opposizione guidata da Imran Khan.
Fatti salvi i pericoli di un incidente, una limitazione del conflitto dipenderà anche in buona parte dalla pressione imposta dagli attori esterni, su tutti Stati Uniti, Cina, Iran e Paesi del Golfo. Nel 2019, infatti, proprio l’azione di Washington si rivelò importante al fine di mantenere lo scontro limitato. Non a caso, dopo aver fatto filtrare un velato supporto per il partner indiano, l’Amministrazione USA, attraverso il Segretario di Stato e Consigliere per la Sicurezza Nazionale ad interim, Marco Rubio, ha avviato dialoghi intensi con le parti per invitare alla moderazione. Nessuno dei gradi players globali, Cina compresa, appare interessata a uno scontro India-Pakistan in questa fase, soprattutto a causa dell’imprevedibilità di un conflitto su ampia scala tra potenze nucleari. Nel complesso, lo scontro in atto non presenta dunque elementi che lascino intendere un allargamento delle ostilità. Allo stesso tempo, però, nessuna delle due parti accetterà di uscire sconfitta dalla disputa, tanto per ragioni interne, quanto per questioni di immagine internazionale, e ciò non permette di escludere del tutto scenari di conflitto. Peraltro, i Governi dei due Paesi vogliono sottrarsi all’eventuale bersagliamento da parte dei rispettivi fronti di opposizione, nell’eventualità mostrassero debolezza.
Al netto dell’evoluzione sul piano militare, le relazioni tra India e Pakistan dopo quanto accaduto entreranno verosimilmente in una nuova fase, in cui ipotesi di dialogo e riavvicinamento appaiono impensabili. La tensione prolungata tra India e Pakistan rischia peraltro di trasformare l’Asia meridionale, più di quanto non sia già oggi, in uno dei teatri privilegiati del più ampio scontro tra Stati Uniti e Cina. Mentre i primi, infatti, potrebbero fronteggiare una crescente difficoltà nel costruire un rapporto relativamente equilibrato tra le due parti, la seconda potrebbe sfruttare le circostanze per imporre una pressione sempre crescente sul rivale indiano. Sul fronte regionale, invece, lo scontro chiama in causa l’Emirato Islamico d’Afghanistan, la cui leadership potrebbe provare ad approfittare della “distrazione” pakistana per rafforzare il supporto diretto e indiretto alla militanza attiva contro Islamabad lungo il confine condiviso. Anche la situazione di sicurezza nel Balochistan pakistano, già attualmente molto precaria, potrebbe subire un ulteriore aggravamento qualora le parti non riuscissero a sciogliere le tensioni nel breve-medio periodo, scenario questo altamente probabile.