Medio Oriente e contrasto alla pandemia: prospettive in chiaroscuro
Middle East & North Africa

Medio Oriente e contrasto alla pandemia: prospettive in chiaroscuro

By Carlo Palleschi
12.14.2021

Malgrado i Paesi del Medio Oriente e Nord Africa non siano gli unici ad aver sperimentato le devastanti conseguenze della pandemia, questa regione ha mostrato una maggior impreparazione rispetto ad altre aree del mondo nel gestire la pandemia ed assorbire lo shock causato dal Covid-19. Secondo le stime della Banca Mondiale, il PIL della regione MENA si è ridotto del 3,8% nel 2020 e le previsioni mostrano che nel 2021 la crescita sarà del 2,8%. Il PIL pro-capite, che costituisce una misura più adeguata rispetto al dato aggregato, mostra un andamento similare. Si stima che esso crescerà solo del 1,1% nel 2021, dopo la contrazione del 5,4% registrata nel 2020. Tuttavia, il PIL reale pro-capite nel 2021 sarà comunque 4,3% inferiore rispetto al livello del 2019. Malgrado le stime di crescita, la ripresa sarà caratterizzata da un’esacerbazione delle disuguaglianze sia tra Paesi sia all’interno dei singoli Paesi. Nel 2021, secondo le stime della Banca Mondiale, il PIL per gli Stati appartenenti al Consiglio di Cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar) sarà inferiore del 2,5% rispetto ai livelli pre-pandemici. La performance economica dei Paesi importatori di petrolio dovrebbe invece superare i livelli pre-2020, cogliendo il vantaggio di non dover scontare la contrazione degli introiti derivanti dalla vendita di petrolio registrata nei mesi del lockdown e ancora in parte non assorbita. Nel secondo quadrimestre del 2021, si registra come il prezzo del petrolio sia progressivamente aumentato, mentre l’inflazione relativa ai beni alimentari, che tende a colpire le famiglie più povere, si sia ridotta. Data la differente esposizione dei Paesi MENA al mercato delle materie prime, l’impatto degli shock di prezzo impatta in modo diverso sulle economie della regione.

Come in altre aree, le difficoltà incontrate dai Paesi MENA nel rispondere alla pandemia non riflettono solamente l’impreparazione dei sistemi sanitari ad uno stress test come quello del Covid-19, ma sono altresì il frutto di problemi legati all’assenza di una leadership chiara ed autorevole, alla scarsa disponibilità di dati, e all’inadeguato utilizzo degli strumenti tecnologici al fine di favorire il tracciamento e contenere la diffusione del virus. È interessante sottolineare come le difficoltà riscontrate dai sistemi sanitari pubblici nei Paesi MENA a medio-reddito nel gestire la pandemia siano in netto contrasto con le aspettative decisamente ottimistiche delle autorità sanitarie. In altri termini, quindi, questi Paesi non solo erano impreparati, ma erano anche eccessivamente fiduciosi rispetto alla capacità di risposta dei propri sistemi sanitari. Questa valutazione erronea, che già aveva dimostrato essere in netto contrasto con la realtà sanitaria pre-pandemia, è stata principalmente causata dall’insufficienza di dati attendibili, una carenza che ha minato la capacità di analisi e dunque di pianificazione delle autorità sanitarie.

Al netto delle difficolta legate all’eccezionalità del momento e comuni a tutti i Paesi del mondo, il Covid-19 ha fatto affiorare alcune criticità e debolezze strutturali che in parte spiegano il perché i Paesi dell’area MENA si siano mostrati così vulnerabili davanti a questo shock esogeno. Un primo fattore di criticità attiene alle politiche (non) implementate negli ultimi dieci anni. Infatti, il processo di riforma dell’economia e delle istituzioni è andato a rilento ed ha sortito effetti inferiori alle aspettative, mentre la spesa pubblica è aumentata significativamente senza una chiara e strategica politica di lungo periodo, con conseguenze deleterie sui sistemi sanitari nazionali.

Prima che il malessere socio-economico esplodesse durante le Primavere Arabe del 2011, i Paesi dell’area MENA avevano intrapreso un modello di sviluppo economico inadeguato, caratterizzato da una preminenza eccessiva della spesa pubblica e da una politica fiscale miope e condizionata dalle necessità politiche di breve termine. Dal 2011 in poi, i Governi hanno intrapreso un percorso di transizione verso un’economia di mercato che si è tuttavia rivelato più difficoltoso di quanto sperato. Infatti, il ruolo dello Stato nell’economia si è mantenuto prevalente, con tutte le conseguenze che esso comporta in termini dei cosiddetti “fallimenti dello Stato”. Un segnale di questa criticità strutturale si evince plasticamente da un’analisi dell’allocazione della spesa pubblica, che ha continuato ad essere monopolizzata dalla necessità di sostenere il peso dell’enorme macchina pubblica e di generare posti di lavoro capitalizzabili politicamente. L’approccio Stato-centrico seguito dalle economie della regione post-2011 ha aumentato gli squilibri macro-economici, in particolare per quanto riguardo l’aumento del deficit e del debito pubblico, ed il peggioramento della bilancia dei pagamenti. Inoltre, il fatto che le priorità dei Governi fossero concentrate sul pubblico impiego, ha comportato che non venissero destinate risorse adeguate per gli investimenti strategici finalizzati al rafforzamento dei cosiddetti “beni pubblici”, tra cui, appunto, la costruzione di sistemi sanitari resilienti ed efficienti. Di conseguenza, alla vigilia della pandemia, i sistemi sanitari dei Paesi MENA soffrivano di una carenza cronica di fondi pubblici, nonostante la percentuale del settore pubblico in rapporto al PIL fosse aumentata, proprio a causa dell’elevato ammontare degli stipendi del settore pubblico. Il mancato compimento della transizione socio-economica che sembrava fosse stato inaugurata con le Primavere Arabe si è manifestato in tutta la sua drammaticità nel momento in cui il Covid-19 ha frantumato le certezze su cui si cullavano i Governi della regione.

L’area MENA è infatti, come riporta la Banca Mondiale, l’unica regione del mondo dove la spesa pubblica come percentuale del PIL è aumentata del 2% nel periodo 2009-2019. L’aspetto problematico relativo a questo dato non è l’aumento in sé della spesa pubblica. Infatti, una spesa pubblica in capitale fisico ed umano, tra cui istruzione, formazione, rafforzamento del sistema sanitario, infrastrutture fisiche e digitali, ed anche in assistenza sociale per la protezione delle categorie più vulnerabili, costituirebbe un elemento di forza per le economie nazionali. Al contrario, in molti Paesi dell’area MENA, la spesa pubblica viene utilizzata per sostenere l’uso sproporzionato e politicizzato del pubblico impiego come strumento per mantenere il consenso e la stabilità interna. Basti pensare che il rapporto tra la spesa per il servizio sanitario e gli stipendi del settore pubblico è superiore rispetto a quello dei Paesi con un livello di reddito analogo. Per i Governi, infatti, è molto più conveniente concentrare la spesa pubblica su delle voci di spesa che producano effetti nel breve termine, piuttosto che proiettarsi con lungimiranza verso le necessità del medio-lungo periodo.

Un altro elemento strutturale attiene alle dinamiche demografiche dei Paesi della ragione e alla mancata realizzazione del potenziale rappresentato dal dividendo demografico. L’evoluzione della distribuzione della popolazione per fasce di età è stata caratterizzata da un aumento delle fasce più giovani. Infatti, malgrado i Paesi più ricchi della regione abbiano registrato dei tassi di fecondità più bassi, in media l’area MENA presenta un tasso di fecondità maggiore rispetto a quello di altri Paesi con un similare livello di reddito. Questa dinamica si applica a quasi tutti i Paesi della regione, ad eccezione degli Emirati Arabi Uniti, Marocco, Tunisia, Libano ed Iran, i cui tassi di fecondità sono leggermente inferiori rispetto ai valori attesi. La combinazione tra gli elevati tassi di fecondità, l’aumento dell’aspettativa di vita e la progressiva riduzione della mortalità infantile ha portato ad un aumento del tasso di dipendenza, ovvero del rapporto percentuale tra popolazione in età non attiva (0-14 anni e 65 anni e più) e popolazione in età attiva (15-64 anni). Gli elevati tassi di dipendenza hanno scoraggiato gli investimenti privati, dal momento che molte risorse dei nuclei famigliari tendono ad essere allocate per soddisfare le esigenze della popolazione non attiva. Questo meccanismo impatta drasticamente sui risparmi privati che, congiuntamente con i bassi risparmi pubblici, hanno contribuito a definire un quadro macroeconomico instabile.

Tuttavia, questo cambiamento demografico potrebbe costituire nel medio-lungo termine un vantaggio significativo per le prospettive di crescita dell’area MENA, visto che il 31% della popolazione ha meno di 15 anni e circa il 5% ha invece più di 65 anni. In Egitto, il 46% della popolazione ha meno di 25 anni, in Tunisia il 35%, in Arabia Saudita il 45% ed in Giordania addirittura il 55%. Infatti, l’aumento delle fasce più giovani, generando un incremento della popolazione attiva, potrebbe costituire una risorsa per i Paesi della regione. Tuttavia, affinché questa ristrutturazione demografica si traduca in un’effettiva occasione di crescita, è necessario che vengano adottate politiche specifiche per generare il cosiddetto “dividendo demografico”, ovvero quella situazione di crescita economica sostenuta dal cambiamento strutturale del rapporto tra popolazione attiva e non attiva.

È cruciale quindi concentrarsi su un disegno strategico e combinato di riforme ed investimenti che miri a formare ed istruire i giovani, in modo da renderli i protagonisti della trasformazione socio-economica del loro Paese. Circa 3 milioni di giovani entrano nel mondo del lavoro ogni anno, rendendo questa sfida ancora più urgente da affrontare. Per compiere questo passaggio così significativo, è tuttavia necessario che i Governi escano dal vortice dell’utilizzo della politica fiscale come strumento di consenso, si sottraggano a quella miopia fiscale di cui si è parlato in precedenza e si proiettino con lungimiranza verso il futuro. Un segnale riguardo l’urgenza di investire in capitale umano proviene dall’ultimo sondaggio “Arab Youth Survey”, in cui si segnala che circa l’87% dei giovani è preoccupato della qualità dell’istruzione ricevuta, con una significativa omogeneità tra Nord Africa, Levante e Paesi del Golfo. L’inadeguata preparazione è al terzo posto nella classifica dei maggior ostacoli che i giovani incontrano, solo dopo l’aumento del costo della vita e la pandemia da Covid-19. L’ “Arab Youth Survey”, al contempo, offre anche l’immagine di una generazione pronta a svolgere un ruolo centrale nelle dinamiche economiche e politiche del proprio Paese, guardando con un certo ottimismo al futuro.

In conclusione, oltre alla drammatica situazione sanitaria, il Covid-19 ha avuto l’effetto di scoperchiare il vaso di Pandora, facendo affiorare in superficie i problemi strutturali che i Paesi della regione avevano, volenti o nolenti, trascurato. Questo stress test rappresenta al contempo un’opportunità per ripensare profondamente il modello sociale, economico e demografico che i Paesi MENA vogliono seguire. Tuttavia, riproporre meccanismi e ricette economiche che potrebbero funzionare in altri contesti nella speranza che possano risolvere i problemi specifici di questa regione è illusorio e poco efficace. Affinché le lezioni apprese dalla pandemia vengano metabolizzate e utilizzate come base per l’elaborazione di politiche efficaci, è fondamentale che il percorso socio-economico dei prossimi anni sia pensato e progettato con un approccio bottom-up, in cui gli attori locali e le nuove generazioni possano sentirsi coinvolti ed agire da veri protagonisti della stagione di ripresa post-pandemia.

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