L’impatto sulla stabilità regionale dell’Eastern Mediterranean Gas Forum
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L’impatto sulla stabilità regionale dell’Eastern Mediterranean Gas Forum

By Gloria Piedinovi
07.28.2019

Lo scorso 25 luglio, al Cairo, si è tenuta la seconda riunione dell’Eastern Mediterranean Gas Forum (EMGF). Il gruppo di lavoro, creato il 14 gennaio 2019, rappresenta un veicolo di coordinamento delle politiche energetiche nel Mediterraneo orientale per Egitto, Israele, Cipro, Italia, Grecia, Giordania e Autorità Nazionale Palestinese (ANP), a cui si potrebbe aggiungere in un secondo tempo anche la Francia. Benché appena costituito, l’EMGF punta a compiere una rapida evoluzione, passando da semplice forum a organizzazione internazionale a tutti gli effetti.

La nascita del Forum rappresenta un primo passo verso la volontà di avviare una cooperazione nel settore energetico tra i Paesi firmatari, situati, ad eccezione dell’Italia, nel bacino orientale del Mar Mediterraneo. Questa regione ricopre un ruolo centrale nel settore energetico. In particolare, grazie alla presenza (già accertata o stimata) di giacimenti di idrocarburi e di Gas Naturale Liquefatto (GNL), Cipro, Siria, Libano, Israele, Egitto e Turchia sono divenuti potenzialmente importanti esportatori di risorse energetiche, ritagliandosi altresì finestre di autonomia grazie alla capacità di provvedere, totalmente o in parte, al soddisfacimento della domanda interna.

Per quanto riguarda il GNL, vi sono diversi giacimenti al di sotto del fondale marino nel Mediterraneo orientale. La scoperta più recente risale al febbraio scorso, quando nelle acque territoriali di Cipro è stato rilevato il campo denominato Glaucus-1. Le prime perforazioni condotte dalla compagnia petrolifera statunitense ExxonMobil stimano che una portata compresa tra i 142 e i 227 miliardi di m3 di gas, dunque tra i 10 e i 16 milioni di barili di condensato.

Glaucus-1 è il quarto campo di gas naturale scoperto nel Bacino del Levante (le acque comprese tra Cipro, Siria, Libano e Israele), in cui rientrano anche i giacimenti Tamar, Leviathan e Aphrodite.

Tamar, individuato nel 2009 in acque israeliane, ha una riserva stimata di 307 miliardi di m3 di gas, circa 21 milioni di barili di condensato. Il permesso esplorativo è stato concesso alla multinazionale britannica BG Group, mentre lo sfruttamento è suddiviso tra le società israeliane Isramco, Delek Drilling, Tamar Petroleum, Dor Gas e l’americana Noble Energy. Leviathan, scoperto nel 2010 nelle acque di Israele, ha riserve stimate di 605 miliardi di m3 di gas, circa 40 milioni di barili. Il permesso per lo sfruttamento è stato concesso a Delek Drilling, Ratio Oil Exploration e Noble Energy. Infine, nel 2011 è stato scoperto Aphrodite nelle acque territoriali di Cipro, con riserve di gas stimate di 129 miliardi di m3, 9 milioni di barili. Il permesso esplorativo è stato ottenuto da Noble Energy, mentre lo sfruttamento è stato concesso a Delek Drilling, Noble Energy e British Gas.

Rientra invece nel Bacino del delta del Nilo il giacimento Zohr, scoperto nel 2015 dall’italiana Eni in acque territoriali egiziane, con portata stimata di 850 miliardi di m3 di gas (59 milioni di barili).

Nell’ottica dell’ambizione dell’Egitto di porsi come polo energetico regionale di primo piano, Zohr rappresenta una carta in più, poiché ha permesso al Paese di ridurre considerevolmente le importazioni, garantendo al sistema energetico interno maggiore stabilità. Le ambizioni egiziane di assurgere ad hub regionale del gas rispondono ad interessi anche in campo politico ed economico. Nel primo caso, la sicurezza energetica per i consumatori egiziani sarebbe favorevole anche alla stabilità politica; nel secondo caso, dal momento che il Paese ha già due importanti impianti di liquefazione, la cooperazione all’interno del Forum potrebbe portare alla concentrazione del gas proveniente dai giacimenti ciprioti ed israeliani verso i terminali egiziani, dando un considerevole impulso all’economia del Paese.

Infine, va considerato che l’Egitto si trova in posizione geografica strategica: attraverso il Canale di Suez transitano i barili di greggio diretti ai porti europei e del Nord America, e quelli di GNL provenienti dal Golfo Persico e dal Mar Rosso.

Anche la Turchia, grande esclusa dall’EMGF, persegue l’ambizione di divenire un hub dell’energia. Infatti, la sua posizione geografica le consente di presentarsi come ponte naturale tra l’Asia, il Medio Oriente e l’Europa, fungendo da snodo fondamentale per i flussi di petrolio e di GNL. Il territorio turco è attraversato da due oleodotti: il BTC (Baku/Tbilisi/Ceyhan) parte dalla capitale dell’Azerbaijan e attraversa la Georgia; il Kirkuk/Ceyhan parte invece dalla città irachena di Kirkuk. Entrambi terminano nel porto turco di Ceyhan, sul Mediterraneo, da cui poi partono le petroliere dirette nei porti europei.

Inoltre, la Turchia è attraversata da tre gasdotti: il Blue Stream si tuffa nel Mar Nero dalla città russa di Beregovaya, per riemergere in Turchia, vicino alla città di Samsun; il South Caucasus Pipeline parte dall’Azerbaijan, e segue un percorso parallelo al BTC; il Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline (TANAP) dall’Azerbaigian attraversa la Georgia e la Turchia, giungendo in Europa. Inoltre, sono in costruzione altri due gasdotti: il Southern Gas Corridor, che da Tabriz in Iran attraverserà la Turchia giungendo in Grecia, ed il Turkish Stream, che riprenderà il tracciato del South Stream per deviare verso sud nell’ultimo tratto, uscire sul Bosforo e collegarsi alla Trans Adriatic Pipeline (TAP).

L’ambizione turca di assurgere al ruolo di hub euro-mediterraneo ed euro-asiatico dell’energia si è esplicitata non solo tramite le azioni in politica estera, tese alla ricerca della collaborazione con i Paesi produttori di idrocarburi e di GNL, bensì anche con azioni talora giudicate aggressive dai paesi vicini. In questo contesto si inserisce il blocco della nave da perforazione italiana Saipem da parte della Turchia, a febbraio 2018. Saipem era in acque cipriote, per iniziare i lavori di perforazione ed esplorazione del giacimento Aphrodite, quando alcune unità della Marina Militare turca sono intervenute bloccandone la navigazione. La piattaforma è rimasta bloccata per circa due settimane, durante le quali Ankara è stata ferma nel rivendicare il diritto di sfruttamento di alcuni lotti del giacimento. Alla fine, nave Saipem ha cambiato rotta dirigendosi in Marocco.

Le tensioni hanno avuto un andamento altalenante anche nei mesi successivi, fino all’avvio di perforazioni da parte di Ankara nelle acque antistanti la costa settentrionale dell’isola di Cipro, una mossa unilaterale che ha sollevato forti critiche da parte dell’Unione Europea.

Nel complesso, le azioni della Turchia sono un segnale evidente della disponibilità del Paese ad alzare il livello dello scontro. Tuttavia, più che rispondere alla volontà di imporsi come il principale controllore dei flussi energetici dal Medio Oriente verso l’Europa, l’atteggiamento assertivo di Ankara va interpretato come un tentativo di non restare completamente tagliata fuori dalla nuova governance energetica della regione, e quindi di conservare quella voce in capitolo sul dossier che, finora, le è stata garantita dal ruolo nella questione della riunificazione di Cipro.

Ad ogni modo, se la Turchia emerge come il grande assente dal progetto, appare evidente la partecipazione di Paesi storicamente in contrasto tra loro. Il Forum può dunque essere inteso come un punto di partenza per osservare se, e in che direzione, potrebbero evolversi i rapporti tra di essi.

Da un lato, il progetto potrebbe essere l’occasione per inaugurare una stagione di nuove cooperazioni, come appare probabile nel caso di Israele ed Egitto. Tra i due Paesi, pacificati dal 1978, i rapporti sono stati costantemente positivi, limitandosi però al piano diplomatico. La firma dell’accordo a Il Cairo è il primo importante caso di cooperazione economica tra Israele ed Egitto, e potrebbe essere il preludio per l’avvio di una collaborazione estesa in più settori.

La situazione appare invece meno rosea se si guarda ai rapporti dello Stato ebraico con l’Autorità Palestinese ed il Libano.

Per quanto riguarda le relazioni tra Israele e l’ANP, al momento la situazione rimane tesa. A novembre 2018 il Premier israeliano Netanyahu ha firmato una tregua con Hamas, incontrando l’opposizione di parte del governo da lui guidato. La tregua ha condotto ad un equilibrio instabile, non adeguatamente supportato da un’intesa politica tra le autorità di Tel Aviv e della Striscia di Gaza. In più, benché Israele e ANP facciano parte entrambi del Forum sul Gas, le divisioni interne palestinesi rappresentano un ulteriore e profondo motivo di rallentamento nello sviluppo di una politica energetica per quanto possibile condivisa. L’annuncio del Piano di Pace statunitense per il Medio Oriente, reso pubblico a fine giugno scorso e imperniato su un ambiziosissimo piano di cooperazione economica regionale, non solo non sembra aver sortito gli effetti sperati, ma ha incontrato la totale opposizione delle leadership palestinesi. I soli interessi economici dunque potrebbero non essere sufficienti ad incentivare un dialogo politico che conduca alla soluzione della questione palestinese. Appare dunque poco probabile che la convergenza di Israele e ANP all’interno del Forum possa produrre significativi miglioramenti nei conflittuali rapporti tra i due Paesi.

Un analogo ragionamento si potrebbe applicare alla coesistenza, nel Forum, di Israele e Libano. I rapporti tra i due Paesi si sono stabilizzati nel 2006, in seguito al cessate il fuoco imposto dalle Nazioni Unite. Tuttavia, non vi è ancora alcun trattato di pace, dunque ufficialmente non vi sono relazioni diplomatiche. Anzi, parte della controversia tra Israele e Libano riguarda proprio il settore energetico, ed in particolare la questione relativa al controllo di un’area di mare di circa 860 km2, sotto la quale si estende parte del giacimento Tamar, e alla definizione del confine marittimo tra i due Paesi che la attraversa. L’accordo per l’istituzione del Forum potrebbe aprire uno spiraglio per creare un tavolo di dialogo utile ma, al tempo stesso, vi è il rischio che il tema della cooperazione energetica possa costituire un potenziale terreno di collisione tra Israele e Libano, in cui si possono riverberare altre tensioni regionali, a partire dal dossier iraniano e da quello degli sponsor esterni degli Hezbollah libanesi. Anche in questo caso, gli interessi economici dovrebbero essere supportati dalla volontà politica di avviare il processo di pacificazione tra i due Paesi.

In base a quanto detto finora a circa otto mesi dalla firma dell’accordo per la creazione dell’Eastern Mediterranean Gas Forum, appare ancora prematuro esprimere giudizi sul reale grado di influenza e sulla portata dell’impatto che il Forum potrà esercitare sulle relazioni tra i Paesi della regione.

Si può però considerare che, in una situazione nella quale gli attori regionali hanno interessi nel lavorare congiuntamente al rafforzamento dei reciproci legami, includere la Turchia nel Forum avrebbe significato aprire un canale di dialogo in più con un Paese che, di fatto, dal 2011 ha rapporti conflittuali con molti dei Paesi vicini, che fin dal fallito golpe del 2016 ha visto un sensibile peggioramento delle sue relazioni con i partner europei e NATO, e che ha a più riprese mostrato di non voler a nessun costo rinunciare alle proprie ambizioni nel settore energetico e ai dividendi geopolitici che ne possono conseguire.

L’Egitto è sostanzialmente portatore dei medesimi interessi e delle medesime ambizioni: la scoperta di Zohr potrebbe consentire uno sviluppo coordinato delle risorse energetiche, sfruttando le infrastrutture presenti a livello regionale per condensare ed esportare il GNL dai giacimenti di Israele, Cipro ed Egitto.

D’altro canto, Ankara potrebbe interpretare l’esclusione dal Forum come il tentativo di privarla del ruolo di passaggio obbligato dei flussi energetici.

Dunque, non si può escludere che l’assenza della Turchia dal progetto possa portare all’aumento della rivalità tra Egitto e Turchia nel settore del controllo delle risorse energetiche, impattando sulla reale efficacia della cooperazione multilaterale alla base della creazione del Forum stesso.

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