L’Africa occidentale va verso l’unione monetaria: opportunità e sfide di un progetto dal sentimento anti-coloniale
Africa

L’Africa occidentale va verso l’unione monetaria: opportunità e sfide di un progetto dal sentimento anti-coloniale

By Sara Nicoletti
07.31.2019

I 15 Paesi membri della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Economic Community of West African States – ECOWAS) si sono accordati, dopo 30 anni di negoziazioni e tentativi falliti, sull’introduzione, entro il 2020, di una moneta unica dal nome di “Eco”. La nuova moneta avrà un tasso di cambio flessibile e avrà tra gli obiettivi chiave quello di tenere sotto controllo il tasso di inflazione nei Paesi dell’Africa Occidentale.

Alcune forme di cooperazione economica regionale sono già presenti sul territorio: 8 dei 15 Paesi dell’ECOWAS sono riuniti nell’Unione Economica e Monetaria dell’Africa Occidentale (West African Economic and Monetary Union – WAEMU) e già adottano una valuta unica, il Franco CFA (CFA: Communauté Financière Africaine), una moneta introdotta dalla Francia durante il periodo coloniale. Gli altri 7, invece, hanno ciascuno la propria valuta, non liberamente convertibile. L’adozione dell’Eco innanzitutto si propone di unificare la moneta per questi ultimi 7 Paesi, per poi includere nell’Unione anche i Paesi della WAEMU.

Il progetto di una valuta unica per i Paesi dell’ECOWAS era già stato avviato nel 2000 e avrebbe dovuto realizzarsi entro il 2004. Tuttavia, il mancato raggiungimento dei criteri di convergenza aveva portato a rimandare più volte l’entrata in vigore della valuta, e il progetto era stato accantonato nel 2014. Adesso, anche alla luce del successo dell’accordo di Niamey che sancisce la creazione di un’area di libero scambio panafricana (African Continental Free Trade Area – AfCFTA), una nuova ondata di ottimismo circa lo sviluppo economico del continente ha permesso la ripresa del progetto.

L’unione monetaria come espressione di uno sviluppo africano indipendente dall’Occidente è guidata soprattutto dal criticismo dei Paesi WAEMU nei confronti del sopracitato Franco CFA. Esso, infatti, è una moneta utilizzata in tali Paesi dai tempi della colonizzazione francese ed è tuttora stampato in Francia, nonostante le quantità da stampare siano decise dalla Banca Centrale della WAEMU e dalla Banca Centrale dell’altra zona africana che utilizza questa valuta, la Comunità Economica e Monetaria dell’Africa Centrale (Central African Economic and Monetary Community – CAEMC). Il Franco CFA era ancorato al Franco francese, mentre dal 1999 è ancorato all’Euro e garantito dalla Banca Centrale Europea (BCE) e dal Ministero del Tesoro francese. L’uso del Franco CFA è volontario, ma in cambio del suo utilizzo i Paesi africani coinvolti devono versare il 50% delle loro riserve di valuta estera al Tesoro francese e intrattengono degli scambi commerciali privilegiati con l’ex potenza coloniale. Infatti, i Paesi dell’area del Franco CFA esportano le loro materie prime (petrolio, uranio, fosfato, cacao, caffè…) principalmente in Francia, dalla quale importano la maggior parte dei prodotti industriali e dei servizi.

Da una prospettiva prettamente relativa alla performance economica, non ci sono riscontri empirici che il Franco CFA sia responsabile della stagnazione economica dei Paesi della WAEMU e della CAEMC, come sostengono i suoi oppositori. Al contrario, sembra essere un buono strumento per tenere sotto controllo l’inflazione grazie al tasso di cambio fisso con l’euro, che impedisce grosse fluttuazioni di prezzo. Inoltre, il fatto che la moneta sia garantita dalla Francia e, de facto, dall’Unione Europea, la rende più stabile rispetto ad altre valute africane che attirano meno investitori dall’estero.

Tuttavia, il Franco CFA genera malcontento nell’opinione pubblica principalmente a causa di due fattori: in primis, sebbene decidano le quantità di moneta da stampare, i Paesi della WAEMU rinunciano alla sovranità sulle politiche monetarie dal momento che esse dipendono da quelle dell’Eurozona (ad esempio, non possono adoperare una svalutazione competitiva in caso di crisi); in secondo luogo, lo sfruttamento francese delle risorse africane ostacola il commercio di tale area con altri Paesi del mondo, che preferiscono rivolgere le loro attenzioni alla costa orientale nella convinzione, più o meno fondata, che il mercato africano occidentale sia monopolizzato dalla Francia.

Vista l’assenza di una correlazione comprovata tra l’adozione del Franco CFA e le scarse performances economiche dei Paesi che lo adottano, la transizione a una moneta unica stampata in Africa e non ancorata ad alcuna valuta estera rappresenta una dichiarazione politica piuttosto che una strategia economica, poiché esprime la volontà di affrancarsi non solo dall’Europa, ma anche da una classe politica africana compiacente con le élites occidentali in cambio di una stabilizzazione della propria posizione politica.

Dal canto suo, la Francia non si è espressa fermamente sulla sostituzione del Franco CFA con una moneta autoctona, ribadendo durante la presidenza Macron che è una decisione che spetta esclusivamente ai leader africani. Nessun governo dell’area ha risposto pubblicamente a tale affermazione, confermando la discordanza tra l’opinione della popolazione africana e quella delle sue élites politiche.

Nonostante il tacito supporto della classe governativa dei Paesi WAEMU al Franco CFA, questi stessi Paesi sono stati ugualmente coinvolti nella creazione dell’unione monetaria. Per accedervi sono stati sviluppati dei criteri di convergenza: un deficit di bilancio inferiore al 3%; un tasso di inflazione medio annuo inferiore al 10%; un finanziamento del deficit di bilancio da parte della Banca Centrale inferiore al 10% del gettito fiscale dell’anno precedente; delle riserve lorde di valuta estera che coprano almeno 3 mesi di importazioni.

L’obiettivo principale dell’unione monetaria è quello di incentivare il commercio interno all’area grazie alla diminuzione dei costi di transazione e all’eliminazione del rischio di cambio, oltre a costituire un blocco unico per fronteggiare le ripercussioni degli shock finanziari che avvengono altrove nel mondo. I Paesi di quest’area infatti tendono a subire maggiormente tali shock a causa della loro dipendenza da valute estere, come dimostrato nuovamente dal Franco CFA. Infatti esso, essendo ancorato all’euro, è influenzato dall’andamento dell’economia nell’Eurozona. Inoltre, molti Paesi dell’Africa occidentale commerciano con l’estero in una valuta terza più forte, solitamente l’euro o il dollaro. Un’unione monetaria che nasca e si sviluppi in Africa rappresenterebbe un’emancipazione dalle valute estere a cui questi Paesi si sono dovuti necessariamente appoggiare fino ad ora.

L’affrancamento dalle valute estere non è solo una questione di conquista della sovranità economica, ma è percepito dall’opinione pubblica anche come la conquista di una maggiore sovranità politica. Poter stampare la propria moneta e avere completo controllo sulle proprie politiche monetarie e fiscali viene inteso come l’ultimo tassello per liberarsi del colonialismo occidentale, che restituisce all’Africa la gestione della sua economia. La speranza ultima è che l’aumento dei rapporti commerciali tra i Paesi della zona, supportato anche dalla recente approvazione dell’area di libero scambio, porti a un’intensificazione e a un miglioramento dei rapporti politici e diplomatici in un’area come quella dell’Africa occidentale e, in particolare, del Sahel, attraversata da scontri, tensioni etniche e religiose e confini statali porosi e pericolosi.

Se da un lato è stato dimostrato dal precedente dell’Unione Europea che una maggiore cooperazione economica può portare a forme più elevate di integrazione politica, bisogna anche considerare come sia necessario partire da una condizione minima di assenza di conflitto. Sembra piuttosto difficile pensare a un’unione economica e poi politica degli Stati dell’Africa occidentale in un momento in cui esistono delle forti ostilità tra di loro. Inoltre, è altamente improbabile che l’obiettivo del 2020 venga raggiunto, dal momento che solo la Liberia rispetta tutti i criteri economici e non c’è nemmeno un criterio rispettato da tutti i 15 Paesi. Questo sottolinea non solo come, in generale, i Paesi dell’area abbiano delle economie ancora troppo immature, ma anche quanto esse siano diverse tra loro.

Le preoccupazioni maggiori in questa direzione sono rivolte alla Nigeria. Essa è infatti la maggiore economia in termini di PIL nominale non solo dell’area sotto osservazione, ma dell’intero continente africano. Pertanto, esiste il timore che essa possa assumere una posizione eccessivamente dominante all’interno dell’unione, molto più forte di quella che ha per esempio la Germania nell’UE, poiché c’è un divario molto più ampio tra la Nigeria e gli altri Paesi dell’ECOWAS (la Nigeria costituisce i 2/3 del PIL totale della zona) che tra la Germania e gli altri Paesi europei. Tuttavia, nonostante le preoccupazioni che questo divario possa aumentare nel caso di un’unione monetaria trainata dalla Nigeria, il risvolto potenzialmente positivo è che una leadership nigeriana potrebbe permettere l’esportazione agli altri Paesi ECOWAS del modello economico che le ha permesso di crescere così tanto internamente.

Quello che emerge è che, aldilà delle scadenze utopistiche e delle considerazioni tecniche, affinché l’unione monetaria possa essere efficace è prima necessario intervenire su aspetti alle fondamenta delle società dell’Africa occidentale, soprattutto una maggiore fiducia politica tra gli Stati dell’area e un rafforzamento delle loro istituzioni, senza cui una cooperazione economica non ha i prerequisiti per funzionare.

La ratifica dell’AfCFTA potrebbe stimolare un maggiore contatto tra le diverse aree del continente e rafforzare il progetto monetario dell’ECOWAS tramite uno stimolo al commercio interno. Tuttavia, anche per implementare efficacemente l’AfCFTA è necessaria prima la facilitazione dello scambio di beni tra i Paesi tramite un miglioramento delle infrastrutture e uno snellimento della burocrazia, e una diversificazione dei mercati nazionali che incentivi il commercio inter-statale tra Paesi africani.

In conclusione, perché un’unione monetaria possa presentare dei benefici superiori ai suoi rischi essa dovrebbe essere l’ultimo tassello di un più ampio progetto di integrazione economica e politica. I Paesi dell’ECOWAS sembrano invece voler creare una moneta unica come primo passo verso l’integrazione. Questo è un progetto sicuramente ambizioso, ma con un altissimo potenziale di rischio per una regione già di per sé fragile, dove se anche una minima percentuale della popolazione, quella costituita da grandi imprenditori e uomini d’affari, potrebbe beneficiare di una liberalizzazione dell’economia (necessariamente portata dalla moneta unica), la maggioranza che vive invece sotto la soglia di povertà rischia di non avere gli strumenti per fronteggiare le nuove dinamiche economiche e di vedere esacerbate le proprie condizioni, in un divario sempre più ampio tra ricchi e poveri.

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