L’accordo Arabia Saudita-Pakistan e il futuro della sicurezza del Golfo
Middle East & North Africa

L’accordo Arabia Saudita-Pakistan e il futuro della sicurezza del Golfo

By Lavinia Ansalone
10.01.2025

Il 17 settembre 2025, a Riad, il Primo ministro pakistano Shehbaz Sharif e il Principe ereditario saudita Mohammed bin Salman hanno sottoscritto lo Strategic Mutual Defence Agreement (SMDA), un patto di mutua difesa che stabilisce come un attacco contro uno dei due Stati debba essere considerato un’aggressione nei confronti di entrambi. L’accordo, nelle sue linee generali, “mira a sviluppare la cooperazione in materia di difesa e a rafforzare la deterrenza congiunta contro qualsiasi minaccia esterna”. Le clausole integrali non sono state rese pubbliche, ma il testo fa riferimento a “tutti i mezzi militari”. Da parte pakistana sono giunte rassicurazioni sull’esclusione della dimensione nucleare, ribadendo che tale capacità resta circoscritta alla deterrenza nei confronti dell’India. Tuttavia, dichiarazioni ufficiali saudite hanno sottolineato che l’intesa trascenda la sola protezione convenzionale, includendo forme di cooperazione nucleare e condivisione di intelligence.

La portata dello SMDA va ben oltre il profilo tecnico-militare. L’accordo segna l’ingresso del Pakistan nella sicurezza mediorientale e, al contempo, coinvolge l’Arabia Saudita nelle dinamiche asiatiche, delineando un nuovo spazio di interdipendenza strategica tra Golfo e Asia meridionale. Sul piano geopolitico, esso riflette la risposta delle monarchie del Golfo al progressivo disimpegno statunitense: un segnale che gli Stati Uniti dell’amministrazione Trump non appaiono più disposti a garantire la sicurezza regionale, soprattutto nel contenimento della proiezione militare israeliana. Non è privo di significato che la firma sia avvenuta a pochi giorni dall’attacco israeliano a Doha del 9 settembre. Pur essendo frutto di negoziati avviati due anni prima, l’evento conferisce all’intesa un carattere di urgenza e ne amplifica la valenza politica. L’Arabia Saudita, come le altre monarchie del Golfo, interpreta l’attacco israeliano come una dimostrazione ulteriore della progressiva ritirata americana, con l’amministrazione Trump incapace o non intenzionata a contenere la proiezione di potenza israeliana. Questo contesto riporta in primo piano la questione della sicurezza regionale e la necessità, per i Paesi del Golfo, di dotarsi di nuove garanzie in tema di deterrenza e sicurezza nazionale.

La prospettiva di una normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele, discussa prima del 7 ottobre 2023 sotto l’ombrello degli Accordi di Abramo, appare oggi congelata. Riad pone come condizioni imprescindibili la cessazione del conflitto a Gaza e il riconoscimento formale di uno Stato palestinese. Inoltre, il Regno condanna con fermezza l’offensiva terrestre israeliana in corso nella Striscia da metà settembre 2025. L’attacco a Doha, percepito come una linea di demarcazione irreversibile, ha rafforzato la consapevolezza del Golfo che Israele rappresenti una minaccia diretta alla stabilità regionale, aggravata dall’assenza di controllo, o dalla tacita tolleranza, da parte di Washington.

Questa dinamica segna un cambio di rotta per Riad. Se prima del 7 ottobre 2023 Riad valutava una convergenza con Israele nel quadro di un equilibrio pragmatico sostenuto da Washington, oggi prevale una visione opposta: Israele è visto come destabilizzatore e potenziale aggressore, da cui occorre difendersi. In questo contesto, il ricorso di Riad al sostegno di Islamabad non sorprende. La partnership tra i due Paesi affonda le sue radici in oltre ottant’anni di relazioni, rafforzatesi sin dalla nascita della Repubblica islamica pakistana. Il Trattato di Amicizia del 1952 e il sostegno saudita al programma nucleare pakistano (finanziato fin dalle origini, anche da re Faisal) hanno consolidato un legame strategico che si è ulteriormente stretto dopo la rivoluzione iraniana del 1979. Nel 1983 un contingente di truppe pakistane venne schierato in Arabia Saudita nell’ambito di un accordo bilaterale, mentre Islamabad si è sempre proposta come garante della protezione dei luoghi sacri dell’Islam, la Mecca e Medina. Parallelamente, Riad ha continuato a sostenere economicamente il programma nucleare pakistano anche durante i periodi di più dure sanzioni internazionali, confermando la centralità della cooperazione militare.

Per il Pakistan, l’accordo odierno costituisce un’opportunità quanto un rischio. Da un lato, consente a Islamabad di rafforzare la propria legittimità quale attore cardine del mondo islamico, garantendosi al contempo un sostegno economico vitale in una fase di fragilità interna. Il Paese, uno dei più poveri in Asia, affronta infatti una crisi strutturale, aggravata da debito crescente e da un conflitto latente con l’India, che dispone di un bilancio della difesa sette volte superiore. Il 2025 è stato segnato dal picco di tensioni indo-pakistane più acuto dell’ultimo decennio, circostanza che conferisce allo SMDA un significato ulteriore per la leadership di Islamabad. Dall’altro lato, però, l’intesa rischia di complicare le relazioni con Washington, alimentando i timori di proliferazione nucleare e la percezione di un Pakistan pronto a proiettare la propria capacità missilistica contro Tel Aviv. Non è escluso che questo scenario possa tradursi in nuove sanzioni internazionali, con un effetto ulteriormente destabilizzante per l’economia pakistana.

Le implicazioni dello SMDA si riflettono direttamente sui rapporti indo-sauditi. Negli ultimi anni India e Arabia Saudita avevano rafforzato la cooperazione economica e militare: esercitazioni congiunte regolari, forniture energetiche (con circa il 18% del fabbisogno indiano proveniente da Riad) e la firma, nel 2023, dell’accordo preliminare per l’IMEC (India–Middle East–Europe Corridor), progetto infrastrutturale che mira a collegare l’India con l’Europa creando un nuovo hub in Medio Oriente e concepito come alternativa alla Belt and Road Initiative (BRI) cinese. Alla luce dello SMDA, Nuova Delhi teme che Riad privilegi il rapporto con Islamabad, compromettendo la crescente partnership tra i due Paesi e l’attuazione del corridoio, considerando anche che Riad è già parte della BRI. Anche qualora l’IMEC venisse formalmente mantenuto, il livello di fiducia reciproca appare destinato a ridimensionarsi. Le rassicurazioni saudite circa la natura non antagonistica dell’accordo non cancellano infatti il valore simbolico di un’intesa che lega formalmente Riad al rivale storico dell’India. È plausibile che questa dinamica spinga l’India ad accentuare la cooperazione strategica con Israele e a consolidare ulteriormente i propri legami con Stati Uniti ed Europa.

Lo Strategic Mutual Defence Agreement tra Arabia Saudita e Pakistan segna una nuova fase per gli equilibri regionali e globali. Oltre ad essere un’intesa militare, rappresenta una svolta geopolitica che ridefinisce le geometrie del potere tra Golfo e Asia meridionale. L’intesa evidenzia la ricerca di nuove garanzie di protezione da parte delle monarchie del Golfo e il tentativo di Islamabad di accreditarsi come potenza islamica di primo piano. Il patto produce effetti a catena: complica i rapporti tra Arabia Saudita e India, rafforza ed evidenzia la percezione di Israele come minaccia da parte del Golfo e conferma il progressivo declino del ruolo statunitense quale garante della sicurezza regionale. Tuttavia, la sua portata va oltre la dimensione bilaterale. Il patto tra Riad e Islamabad apre infatti la strada a un possibile effetto domino: altre monarchie del Golfo, mosse dal medesimo timore di vulnerabilità e dall’incertezza sul futuro della protezione americana, potrebbero cercare accordi simili con potenze regionali ed extra-regionali. In prospettiva, il patto tra Riad e Islamabad potrebbe diventare il catalizzatore di un più ampio riallineamento strategico.