La sfida della GenZ al governo in Marocco
Middle East & North Africa

La sfida della GenZ al governo in Marocco

By Alice Balan
10.22.2025

Da fine settembre 2025, il Marocco è attraversato da un’ondata di manifestazioni giovanili senza precedenti, che vede tra i principali protagonisti la cosiddetta “Generazione Z” dei nati tra il 1997 e il 2012. A partire dal 27 settembre, migliaia di giovani hanno occupato quotidianamente le piazze del Paese per chiedere riforme radicali in due settori considerati simbolici rispetto a quella che percepiscono come crisi strutturale: l’istruzione e la sanità pubblica.

Benché spontaneo, il movimento si inserisce in una dinamica transnazionale di mobilitazione giovanile, caratterizzata dall’uso dei social network e da forme di organizzazione fluide e decentralizzate, come avvenuto recentemente in altri Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, tra cui Nepal, Madagascar e Perù. Sfruttando piattaforme digitali come TikTok, Instagram e Discord, dove il gruppo “Gen Z 212” (212 è il prefisso internazionale del Marocco) conta più di 185.000 membri, i giovani hanno trasformato il malcontento in un’azione collettiva diffusa e capillare. Circa il 70% dei manifestanti sarebbe composto da minorenni, elemento che conferma la tendenza delle nuove generazioni a considerare lo spazio pubblico come un ambito legittimo di espressione e di partecipazione politica.

L’episodio che ha fatto esplodere la protesta è stata la morte di parto di otto donne, nell’arco di una sola settimana, nell’ospedale Hassan II di Agadir, grande città sulla costa meridionale del Paese. La tragedia, avvenuta proprio nella municipalità in cui il Primo ministro Aziz Akhannouch è sindaco dal 2021, ha catalizzato lo scontento popolare contro un sistema sanitario avvertito come corrotto e iniquo. L’episodio è emblematico delle contraddizioni che attraversano l’attuale leadership: un Primo ministro miliardario proveniente dal settore degli idrocarburi che aveva posto il proprio mandato sotto il segno dello Stato sociale, oggi percepito come simbolo delle disuguaglianze che intendeva ridurre.

Secondo il centro di ricerca marocchino Tafra, il ministero della salute è, dopo quello dell’istruzione, il dicastero maggiormente oggetto di interrogazioni parlamentari: circa 2000 solo tra il 2021 e il 2023. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima, inoltre, che in Marocco vi siano meno di 8 medici ogni 10.000 abitanti, contro i 25 raccomandati dalla stessa agenzia delle Nazioni Unite. Tale dato fotografa una crisi sistemica: nelle aree rurali, la carenza di personale e attrezzature costringe spesso i pazienti a pagare il carburante delle ambulanze per essere trasportati dove possono essere curati adeguatamente.

Accanto alla sanità, l’istruzione e il lavoro rappresentano gli altri pilastri della protesta. L’Agenzia nazionale di statistica riporta un tasso di disoccupazione giovanile che si attesta al 35,8%, mentre tra i laureati raggiunge il 19%. Oltre il 73% dei giovani occupati lavorerebbe poi senza contratto scritto, e più del 40% senza retribuzione. Questi dati delineano una generazione esclusa dai circuiti della crescita economica, che si sente sacrificabile all’interno di un sistema che continua a privilegiare le grandi opere e gli interessi delle élite economiche.

Le rivendicazioni dei giovani si inseriscono quindi in un contesto di forti contraddizioni strutturali. Negli ultimi vent’anni, il Marocco ha avviato un processo di modernizzazione accelerata, destinando tra il 25% e il 38% del PIL a infrastrutture strategiche come ferrovie, porti, stadi e poli turistici. Il 5 settembre, il re Mohammed VI ha inaugurato a Rabat il nuovo stadio Moulay Abdallah, mentre è attualmente in corso la progettazione dello stadio Hassan II, destinato a diventare il più grande al mondo con una capienza di 115.000 spettatori. Il governo ha stanziato circa 1,6 miliardi di dollari per la costruzione e il rinnovamento degli impianti sportivi, in vista della Coppa d’Africa di dicembre 2025 e dei Mondiali di calcio del 2030, che il Marocco ospiterà insieme a Spagna e Portogallo. Questo sforzo infrastrutturale, concepito per consolidare l’immagine di un Paese moderno e competitivo sul piano internazionale, è oggi al centro delle critiche dei protestatari, che evidenziano un paradosso: il Marocco, che accoglierà uno degli eventi sportivi più costosi al mondo, resta il Paese con il PIL pro-capite più basso tra gli organizzatori dei Mondiali dal 1990.

Questa corsa alla visibilità internazionale e alle grandi opere ha accentuato il divario interno, dando l’immagine di un Paese che prosegue a due velocità. Mentre una parte del territorio, perlopiù urbano, si espande verso l’alta tecnologia e il turismo di lusso, vaste aree rurali o periferiche rimangono totalmente escluse dai benefici di una crescita ancora limitata. Si configura così una modernizzazione diseguale, dove lo sviluppo infrastrutturale procede senza un corrispondente progresso sociale, e soprattutto senza agire sulle disparità di fondo. Le scelte economiche adottate fin dagli anni Sessanta, orientate verso l’economia di mercato e l’apertura globale, hanno generato una struttura produttiva dominata dalla rendita. Il settore privato, pur sostenuto dallo Stato attraverso sussidi e incentivi, contribuisce solo per il 25% alla creazione di valore aggiunto e rimane marginale nella produzione di occupazione e redistribuzione del reddito. Due terzi degli investimenti nazionali provengono ancora dallo Stato e dalle imprese pubbliche, perpetuando un modello di sviluppo fortemente centralizzato e dipendente dal potere politico.

Anche la riforma della sanità del 2022, voluta dal re Mohammed VI per introdurre la copertura sanitaria universale, si è rivelata ambigua nei risultati. L’obiettivo di rendere l’assistenza accessibile a tutti ha incentivato, paradossalmente, un’espansione incontrollata del settore privato già avviata in precedenza. Questa forte deregolamentazione del mercato sanitario, nonché i conseguenti risvolti sociali, sono alla base delle criticità sociali affrontare da Rabat negli ultimi tempi.

La crisi attuale ha riportato alla luce il delicato equilibrio tra la monarchia e il governo. Se il Primo ministro Akhannouch, imprenditore vicino al re e da lui sostenuto alle ultime elezioni per contenere l’ascesa dei partiti islamisti, è diventato il principale bersaglio della protesta, il sovrano resta al riparo dalle critiche dirette. **La monarchia, pur accusata di immobilismo, continua a incarnare per molti cittadini l’idea di una possibile forza di riequilibrio, in quanto unica istituzione dotata del potere di sciogliere le camere e promuovere un cambio governativo.**Nel suo intervento del 10 ottobre, in occasione dell’apertura della sessione parlamentare, Mohammed VI ha invitato al dialogo con il collettivo “Gen Z 212” e ha ribadito la necessità di conciliare grandi progetti nazionali e politiche sociali. Il discorso, tuttavia, è apparso prudente e misurato: il re ha preferito riaffermare il proprio ruolo di garante della stabilità piuttosto che prendere decisioni immediate, mantenendo una posizione di distanza strategica dal governo Akhannouch.

I manifestanti cercherebbero di rivolgersi anche al principe ereditario Hassan, che ha 22 anni e fa parte quindi della loro stessa generazione. Il processo di successione è già cominciato, anche alla luce della salute precaria del re degli ultimi tempi: in alcuni incontri recenti con capi di Stato, tra cui Xi Jinping nel novembre 2024, il principe ha fatto le veci di suo padre.

Nel frattempo, le forze islamiste tentano di capitalizzare il vuoto politico aperto dalla crisi. Il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (PJD), espressione della Fratellanza Musulmana, ha adottato una linea opportunistica: pur attribuendo all’esecutivo la responsabilità del deterioramento sociale, evita di proporre un’analisi strutturale che metterebbe in discussione il modello politico nel suo insieme. Le divisioni interne al partito rivelano una tensione crescente tra la volontà di recuperare consenso in vista delle elezioni del prossimo anno e la cautela imposta dal rischio di nuove strette statali.

Più coerente e organizzata appare la posizione di Jamaâ Al-Adl wal-Ihsane (Giustizia e Benevolenza), movimento islamista non riconosciuto ma radicato socialmente, che ha condannato la repressione statale e al tempo stesso ha preso le distanze dagli episodi di violenza. In questo modo, ha costruito una narrativa fondata sulla moralità e legittimità. Tale strategia mira invece a rafforzare la propria base e a presentarsi come alternativa politica credibile, in grado di rappresentare le aspirazioni dei giovani esclusi dal sistema.

La mancanza di una leadership chiara, che inizialmente appariva come un vantaggio tattico, si è rivelata una vulnerabilità strategica, avendo infatti aperto la strada all’influenza di attori islamisti più strutturati e trasformando la crisi sociale in un terreno di competizione per il futuro equilibrio politico del Paese.

Lo scenario rimane sostanzialmente aperto: il governo potrebbe optare per concessioni mirate in ambito sociale qualora le manifestazioni dovessero proseguire, oppure intensificare il controllo securitario. È quanto avvenne tra il 2016 e il 2017 con il movimento del Rif, nato dopo la controversa morte di un venditore ambulante e divenuto il simbolo delle richieste di sviluppo e servizi pubblici, poi represso e conclusosi con l’arresto dei leader.

**Nel breve periodo, Rabat sembra orientata verso una gestione graduale della crisi, che combina monitoraggio politico, eventuali misure sociali di emergenza e repressione mirata.**Tuttavia, al di là della contingenza, il movimento della Generazione Z sembra far emergere una nuova forma di cittadinanza partecipativa, capace di sfidare la verticalità del potere monarchico e di ridefinire le modalità del dissenso. In un contesto internazionale dove le reti sociali e i movimenti giovanili si moltiplicano, il caso marocchino mostra come la stabilità politica rischi di deragliare laddove sia percepita come disgiunta dalla giustizia sociale.

Related articles