La milizia di Abu Shabab: un temporaneo alleato israeliano contro Hamas?
Negli ultimi mesi, l’indebolimento del controllo di Hamas sulla Striscia di Gaza ha favorito l’emergere di nuovi attori locali, tra cui milizie con agende autonome. Le Forze Popolari guidate da Yasser Abu Shabab rappresentano un caso particolarmente rilevante per comprendere le dinamiche recenti di Gaza e l’evoluzione delle strategie israeliane di contenimento di Hamas, con possibili ricadute sugli equilibri futuri e sugli scenari di stabilizzazione postbellica.
La milizia guidata da Abu Shabab opera principalmente nell’area di Rafah, nel settore meridionale della Striscia di Gaza. Si autodefinisce un gruppo di orientamento nazionalista, i cui membri provengono prevalentemente dal clan della tribù beduina dei Tarabin, nota per la propria estesa rete commerciale nel Sinai e nelle aree desertiche circostanti. Secondo le stime, la milizia conterebbe circa 300 combattenti, con la finalità dichiarata di garantire la sicurezza dei convogli umanitari in transito. Tuttavia, fonti diverse forniscono una narrazione contrastante: Hamas accusa le Forze Popolari di essersi rese responsabili di rapine ai danni dei veicoli che trasportavano aiuti umanitari. Anche il capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari nei Territori Palestinesi Occupati ha attribuito i saccheggi a bande criminali locali, operanti prevalentemente nei pressi del valico di Kerem Shalom, sotto la supervisione delle forze israeliane. L’area operativa delle Forze Popolari, stando alle analisi satellitari disponibili, coinciderebbe con la zona meridionale di Gaza, soggetta al controllo dell’Israeli Defence Forces (IDF). Le immagini diffuse tramite la loro pagina Facebook mostrano uomini armati impegnati nell’organizzazione del passaggio di camion carichi di aiuti attraverso il valico di Kerem Shalom, circostanza che sembrerebbe corroborare le ipotesi di un loro coinvolgimento diretto nella gestione dei flussi umanitari. Nel giugno 2025, il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha reso noto, attraverso un videomessaggio pubblicato sui social media, di aver attivato alcuni clan palestinesi a Gaza su consiglio dei servizi di sicurezza, affermando che l’operazione avrebbe contribuito a salvaguardare vite di soldati israeliani. Secondo fonti locali, a questi gruppi sarebbero state fornite armi leggere, tra cui fucili d’assalto Kalashnikov e pistole, di provenienza israeliana. Nonostante alcune figure politiche, come l’ex ministro della Difesa Avigdor Lieberman (attuale leader del partito d’opposizione Yisrael Beiteinu), abbiano accusato la milizia di legami con lo Stato Islamico/ISIS (Daesh), non emergono evidenze concrete di un’affiliazione organica tra le Forze Popolari e l’ISIS. È tuttavia documentato che singoli membri della tribù Tarabin abbiano collaborato in passato con miliziani affiliati allo Stato Islamico nel Sinai: si citano, in particolare, Issam al-Nabahin, che aderì all’ISIS del Sinai intorno al 2010, e Ghassan al-Dahini, precedentemente arruolato come ufficiale dell’Esercito Islamico, una formazione palestinese alleata con la branca locale dello Stato Islamico. Non si registrano invece connessioni tra le Forze Popolari e l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). La milizia, sui propri canali social, diffonde infatti contenuti apertamente ostili verso la leadership dell’ANP, la quale a sua volta ha smentito qualsiasi interlocuzione con Abu Shabab e i suoi uomini.
Il ruolo assunto da questa milizia palestinese appare cruciale per interpretare le attuali dinamiche in evoluzione e il futuro stesso di Hamas, in particolare nel contesto postbellico. La possibilità di una tregua è attualmente al centro del dibattito, sebbene permangano posizioni strutturalmente inconciliabili tra le parti: Israele, da un lato, insiste sullo smantellamento integrale di Hamas, fino a perseguirne la completa sconfitta politica e militare, escludendone qualsiasi ruolo nel futuro assetto di governo della Striscia di Gaza; Hamas, dall’altro, condiziona qualsiasi negoziato alla cessazione definitiva delle ostilità israeliane. Secondo alcune fonti, Hamas potrebbe valutare un cessate il fuoco limitato, nell’ordine di alcuni mesi, al fine di contrastare l’espansione delle tribù locali, in un momento in cui il movimento appare significativamente indebolito: carente di comandanti sul terreno, privato in larga parte della propria infrastruttura di tunnel sotterranei, e con un supporto iraniano la cui solidità resta incerta. In tale quadro, il sostegno israeliano a milizie palestinesi come le Forze Popolari si configura come una strategia di breve periodo, finalizzata a logorare ulteriormente Hamas. Sfruttando le reti tribali e le conoscenze locali, questi gruppi consentono a Israele di esercitare un controllo indiretto sull’area, riducendo al contempo i costi politici, reputazionali e operativi che deriverebbero da una rioccupazione diretta della Striscia. L’obiettivo immediato di Israele in questa fase del conflitto sembra essere quello di limitare le proprie perdite, infliggendo a Hamas un indebolimento progressivo tramite operazioni mirate contro le infrastrutture e favorendo parallelamente l’ascesa di attori locali come le Forze Popolari.
La milizia guidata da Abu Shabab possiede la capacità di destabilizzare Hamas dall’interno in maniera significativa, costringendo quest’ultima a redistribuire le proprie risorse operative e a sostenere un conflitto su più fronti contemporaneamente. Questa dinamica, oltre a contribuire al progressivo logoramento di Hamas, ne rivela anche la fragilità strutturale, dal momento che il movimento islamista si trova a dover affrontare una minaccia emergente proveniente dallo stesso contesto culturale e sociale che tradizionalmente ne ha costituito la base di legittimazione.
Nonostante ciò, appare improbabile che le Forze Popolari possano assumere un ruolo strategicamente rilevante nel medio-lungo periodo. La limitata consistenza numerica del gruppo, unita a una reputazione estremamente debole presso la popolazione palestinese, ne riduce drasticamente le prospettive di affermazione. La milizia, infatti, è prevalentemente percepita come un’organizzazione di matrice criminale, sostanzialmente priva di legittimità politica, e non risulta in grado di presentarsi come un soggetto credibile o strutturato per influenzare il futuro assetto postbellico della Striscia di Gaza. Il suo impatto appare, quindi, allo stato attuale, confinato a una funzione destabilizzatrice limitata e di breve periodo.
In prospettiva, il sostegno israeliano a milizie di questo tipo solleva rilevanti interrogativi di natura strategica. L’esperienza storica dimostra, infatti, che il ricorso a gruppi locali può favorire la nascita di attori difficilmente controllabili, in grado di sviluppare traiettorie autonome e di divergere dagli obiettivi inizialmente previsti. Al momento, non si rilevano indicatori concreti che facciano ipotizzare un rischio significativo associato a questa specifica formazione, la quale risulta priva sia delle capacità operative sia del riconoscimento politico necessari per esercitare un’influenza sostanziale sull’assetto futuro della Striscia di Gaza. Tuttavia, tale strategia conserva intrinsecamente margini di ambiguità e potrebbe produrre, nel medio-lungo periodo, effetti collaterali o dinamiche inattese difficilmente gestibili.