Information warfare: l’altro fronte della guerra in Ucraina
Russia & Caucasus

Information warfare: l’altro fronte della guerra in Ucraina

By Raimondo Lanza
03.24.2022

Dallo scoppio della guerra fra Russia ed Ucraina è apparso evidente quanto sia importante vincere, oltre allo scontro militare, anche la guerra di informazione. Ed è altrettanto evidente che la Russia questa guerra l’ha già persa, almeno sul fronte esterno. Dalle riunioni coi leader occidentali in fondo ad un tavolo chilometrico alla dichiarazione dell’”operazione militare speciale” in Ucraina con velata minaccia nucleare, l’isolamento di Putin è sempre più tangibile. Zelensky, invece, ha dato un’immagine di eroico resistente circondato dalla sua gente, anglofono quando serve, russofono quando vuole. L’ex attore ha inoltre acquisito popolarità con citazioni di grande effetto, come quella fatta a Biden, che gli offriva una possibilità di fuga: “Non mi serve un passaggio, ma delle munizioni”.

Davanti alla ferma risposta politica dell’Occidente e al fallimento della retorica sulla “denazificazione” dell’Ucraina, Mosca non è andata per il sottile: censura totale dei media indipendenti ed esteri e propaganda martellante sull’”operazione militare speciale” a protezione delle minoranze russofone in Ucraina.

Ma il vero campo di battaglia dell’informazione è Internet. Se la prima Guerra del Golfo è stata la prima guerra trasmessa alla televisione, la guerra in Ucraina è la prima guerra raccontata, rilanciata e commentata quotidianamente sui social media. Ed è qui che si combatte il grosso della guerra mediatica fra Mosca e Kiev. Il mondo di Internet, per definizione anarchico, non ha un potere centrale. Si tratta una sorta di medioevo tecnologico, fatto di Stati, milizie e avventurieri. Come nelle vere guerre, diversi attori si contendono la scena: il governi russo e ucraino con le loro dichiarazioni, i “civili” che imbracciano le armi degli hashtag e dei post per influenzare la comunità digitale e le milizie di hackers al servizio di questa o quella parte.

Nei primi tre giorni di conflitto, la società di sicurezza informatica Check Point Software ha rilevato un aumento degli attacchi hacker contro l’Ucraina pari al 196%. In risposta, il 26 febbraio, il vice Primo Ministro ucraino Michaylo Fedorov ha annunciato la nascita di IT Army of Ukraine, un esercito di 300.000 “cyber-soldati” volontari. Fra le grandi milizie del web, dalla parte di Kiev si è schierato il collettivo “Anonymous”, che ha lanciato varie offensive per discreditare la narrativa di Mosca. La più eclatante è stata un’infiltrazione di qualche minuto nei canali della televisione russa per diffondere immagini dei bombardamenti in corso in Ucraina. Il collettivo di hackers suggerisce anche come aggirare la censura utilizzando per esempio le recensioni di Google per raccontare gli eventi in corso. “Andate su Google Maps, Andate sulla Russia. Cercate un ristorante o un business qualsiasi e scrivete una recensione di quello che sta succedendo in Ucraina”, si legge sull’account Twitter di Anonymous. La milizia GhostSec, per lo più dedita ad azioni contro gruppi terroristici, è riuscita a portare a termine il furto e la pubblicazione di un database contenente i dati personali di oltre 120.000 membri dell’esercito russo, inclusi numeri di telefono e indirizzi. Secondo un articolo apparso sul Sole 24 Ore, gli attori coinvolti nel cyber warfare sono circa cinquanta, di cui soltanto quindici sostengono il Cremlino: fra questi vanno citati il “Gruppo Conti”, che compie atti di pirataggio e furto di dati, Free Civilian, Coming Project, Sandwarm e Ghostwriter. Se nel mondo dei media tradizionali la censura funziona mettendo a tacere le voci scomode, nel mondo dei social media la censura funziona invece attraverso la moltiplicazione delle informazioni. L’utente, sommerso da quantità sempre maggiori di dati, fa fatica a distinguere le informazioni reali dalle “fake news.” A questo scopo, chi sostiene Mosca inonda il web di immagini e materiale video di propaganda, dove si parla di azioni mirate per “denazificare” l’Ucraina e dove appaiono immagini di soldati ucraini con la svastica sull’elmo. Chi sostiene Kiev invece, utilizza video di soldati russi demoralizzati e impauriti, poco più che adolescenti, che dichiarano di essere stati portati in guerra con l’inganno, sotto il pretesto di un’esercitazione militare. La “propaganda” ucraina è inoltre capace di incursioni di grande effetto nei media europei. Non da ultimo, un video del 12 marzo, nel quale si vede Parigi sotto le bombe: “E se questo stesse accadendo ad un’altra capitale Europea?” è la domanda retorica che accompagna le immagini, seguita dalla richiesta, finora negata dalla NATO, di imporre una no-fly zone sull’Ucraina. L’information warfare interessa anche l’Italia dove le voci a sostegno di Mosca sono più deboli di quelle a sostegno di Kiev, sia a livello politico che mediatico. Dallo scoppio della guerra, l’Unione Europea ha vietato la diffusione dei contenuti di Russia Today e Sputnik, due voci forti del Cremlino. La battaglia continua sui social: i sostenitori di Putin utilizzano i due hashtag #grazieputin e #iostoconputin.

Quest’ultimo avrebbe generato, secondo alcune fonti, quasi 4000 contenuti con 2000 utenti solo nella prima settimana di guerra. La maggior parte di questi post provengono da utenti di matrice populista come i no-vax, no green pass e quelli che lottano “contro il governo dei banchieri e dei corrotti”. Putin viene dipinto come un baluardo contro “la finanza mondiale”. Ma anche qui la macchina sembra inceppata. Molti utenti utilizzano l’hashtag in maniera ironica: “52 euro per 23 litri di diesel, il benzinaio mi ha chiesto la dichiarazione dei redditi #grazieputin.” Ci sono poi numerosi utenti che condannano la guerra con gli hashtag #nowar e #noallaguerra ma si inseriscono in un più ampio discorso pacifista, dove vengono anche criticati Zelensky e i politici occidentali che non fanno abbastanza per fermare il conflitto. Esplicitamente contro Putin ci sono invece hashtag come #Putinwarcriminal, #StopPutin e #Putinhitler, molto popolari ad inizio marzo. Ricordiamo da ultimo che Facebook ha concesso una deroga alla propria policy di controllo dello hate speech, accordando agli ucraini la possibilità di pubblicare post che invocano “la morte all’invasore russo”. Una scelta molto forte e non priva di vulnerabilità sostanziali.

La Russia, consapevole di stare perdendo la guerra dell’informazione a livello internazionale, ripiega ora sul fronte interno: con la chiusura ufficiale di Facebook e Instagram il 14 marzo, si è ristretto ulteriormente il numero dei social utilizzabili dai cittadini russi, che preparano la resistenza, scambiandosi consigli su Twitter, per il momento ancora funzionante seppur con limitazioni. C’è chi suggerisce di installare Psiphon, un software open source che grazie ad un proprio browser consente l’accesso ai siti bloccati, chi consiglia di acquistare un VPN a pagamento, chi propone di scaricare TOR, un software che consente di restare anonimi nella navigazione. Sobol Liubov, avvocato e sostenitrice di Aleksey Navalny, racconta sul suo profilo Twitter la nascita di un nuovo business: “Facciamo risorgere Instagram - Installazione di VPN sul vostro Smartphone” dicono alcune insegne per le strade di Mosca. Di fronte a questa inaspettata resitenza, Mosca starebbe pensando ad una soluzione drastica: uscire da Internet.

Sarik Darbinyan, giurista e fondatore dell’organizzazione per i diritti informatici Roskomsvoboda, sostiene che dall’inizio della guerra in Ucraina il rischio di trovarsi in un Internet di Stato è sempre più forte: “ La Russia sta elaborando un sistema nel quale tutta l’infrastruttura dello spazio digitale sarebbe controllata, a patire dal nome dei domini e degli indirizzi IP fino ai contenuti che vengono pubblicati. Una piccola copia dell’Internet globale che funziona solo all’interno della Russia ed è inaccessibile a tutti i server esterni”. Questo significherebbe un isolamento totale del Paese.

Ma c’è chi ha già pensato ad una soluzione. Ai tempi dell’Unione Sovietica le onde radio internazionali riuscivano a bucare la cortina di ferro grazie ad un sistema di frequenze corte. La BBC ha annunciato su Twitter la settimana scorsa che tornerà ad utilizzare la stessa tecnologia: i suoi contenuti saranno accessibili in Russia su frequenze precise. Per informarsi basterà a quel punto una semplice radiolina.

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