Il rinnovato protagonismo dell’Egitto, tra crisi a Gaza e instabilità regionale
Middle East & North Africa

Il rinnovato protagonismo dell’Egitto, tra crisi a Gaza e instabilità regionale

By Alice Balan
11.05.2025

Il 13 ottobre, la città di Sharm el-Sheikh ha ospitato la conferenza internazionale “Sharm el-Sheikh Peace Summit”, co-presieduta dal Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e dal Presidente statunitense Donald Trump. Oltre venti Paesi hanno partecipato all’incontro, con l’obiettivo di finalizzare un accordo per porre fine alla guerra a Gaza e avviare la seconda fase del processo di pace, che prevede il disarmo di Hamas, la creazione di una Forza Internazionale di Stabilizzazione e la definizione di una governance transitoria per la Striscia. Il vertice ha confermato il ritorno dell’Egitto come protagonista regionale e simbolo di continuità diplomatica, ribadendo il suo ruolo di mediatore centrale tra Israele, Stati Uniti e mondo arabo.

L’Egitto si muove oggi lungo due direttrici: da un lato, mantiene il suo impegno di mediatore nei negoziati per il prosieguo del cessate il fuoco e la ricostruzione di Gaza; dall’altro, prepara la gestione del “giorno dopo”, promuovendo il dialogo intra-palestinese e il tentativo di una transizione politica stabile. Tuttavia, accanto al ritorno alla diplomazia multilaterale si affianca una motivazione più urgente, ovvero la difesa della propria sicurezza nazionale. L’ipotesi, più volte emersa, di un trasferimento forzato dei palestinesi verso il Sinai è da sempre percepita dal Cairo come una minaccia esistenziale. Accettare tale scenario, peraltro previsto nel “piano Riviera” di Trump (poi declinato) significherebbe spalancare la frontiera orientale all’instabilità e trasformare il Sinai in un teatro di conflitto permanente. Per questo, al-Sisi ha tracciato una linea rossa, escludendo qualsiasi ipotesi di deportazione o violazione dei confini nazionali e riaffermando la sovranità egiziana come punto non negoziabile.

Il Sinai costituisce per l’Egitto una frontiera strategica e identitaria di primaria importanza, elemento cardine dell’integrità territoriale nazionale. La penisola è teatro di persistente instabilità a causa della presenza della branca egiziana dello Stato Islamico, Wilayat Sinai (WS), che Il Cairo tenta di contenere e reprimere sin dal suo insediamento. Il gruppo ha origine da Ansar Beit al-Maqdis (ABM), organizzazione jihadista emersa nel 2011 nel vuoto di potere seguito alla caduta di Mubarak. Tra il 2011 e il 2013 ABM ha progressivamente esteso la propria influenza nel Sinai. Nel 2014, con il giuramento di fedeltà allo Stato Islamico, il gruppo ha assunto la denominazione di Wilayat Sinai, divenendo formalmente una delle province del Califfato. L’eventuale esodo della popolazione di Gaza si inserisce dunque in questo contesto, aggravandolo con il rischio di infiltrazioni jihadiste provenienti dalla Striscia o da affiliati di Hamas.

Ulteriori tensioni con Israele sono emerse con l’avanzata israeliana nel corridoio Filadelfia e la presa di controllo operativo del valico di Rafah nel maggio 2024, eventi percepiti dal Cairo come una violazione diretta degli Accordi di Camp David, che per oltre quarant’anni hanno garantito una fragile ma stabile “pace fredda”. L’episodio è stato interpretato come una sfida alla sovranità egiziana e ha riacceso la diffidenza verso Israele, la cui retorica politica ha nuovamente evocato l’idea di un “Grande Israele”. Nonostante le frizioni, l’Egitto resta un partner strategico di Tel Aviv, in particolare sul piano economico ed energetico, mantenendo una cooperazione pragmatica fondata su interessi di sicurezza condivisi.

Le relazioni economiche, infatti, hanno continuato ad approfondirsi tra i due Paesi, con un incremento del 50% nella prima metà del 2025 negli scambi bilaterali, per un totale di 159 milioni di dollari, secondo la Israel Central Bureau of Statistics. Di recente è stata inoltre estesa l’intesa per l’esportazione di gas naturale tra Israele e l’Egitto, per un valore complessivo di 35 miliardi di dollari, la più grande nella storia israeliana del settore. L’accordo, siglato con i partner del giacimento Leviathan nel Mediterraneo orientale, tra cui la multinazionale statunitense Chevron, prevede forniture fino al 2040. Di fronte allo schieramento di truppe egiziane nel Sinai e al timore di un’escalation o di sconfinamenti oltre il valico di Rafah, Netanyahu e il Ministro dell’Energia Eli Cohen hanno ventilato la possibilità di rivedere l’intesa. Tuttavia, tali dichiarazioni appaiono più come un ammonimento e un segnale di pressione politica che come un reale intento di revisione, data l’impossibilità, nel breve periodo, di costruire infrastrutture alternative per sostituire l’accordo. Esse riflettono ad ogni modo una tendenza più ampia dei vertici israeliani a mettere in discussione l’affidabilità del Cairo come partner stabile, sia sul piano economico sia su quello securitario. In questo quadro, l’Egitto appare percepito da Israele come un alleato funzionale ma condizionato, il cui sostegno può essere modulato, o persino limitato, in base all’evoluzione del contesto regionale e alla gestione egiziana della crisi di Gaza.

In questo quadro, l’Egitto ha consolidato la propria posizione di interlocutore privilegiato tra il mondo arabo e la comunità internazionale. La dichiarazione congiunta firmata con Stati Uniti, Qatar e Turchia a sostegno del cessate il fuoco a Gaza, insieme all’organizzazione della conferenza del Cairo in programma a novembre 2025 sulla ricostruzione della Striscia, evidenziano la centralità diplomatica dell’Egitto nei meccanismi di gestione della crisi. La decisione di Washington di condividere la leadership diplomatica con partner arabi e musulmani riflette la consapevolezza che la crisi richiede un approccio multilaterale fondato sulla mediazione egiziana e sulla cooperazione regionale.

Gli anni successivi al 2014 e la firma degli Accordi di Abramo avevano ridotto l’influenza egiziana a vantaggio delle monarchie del Golfo, forti di risorse finanziarie considerevoli e di rapporti privilegiati con gli Stati Uniti. L’Egitto, d’altro canto, appesantito da crisi economiche e fragilità interne, sembrava aver smarrito il suo ruolo classico di faro del mondo arabo. Negli ultimi anni, invece, Il Cairo ha saputo valorizzare la propria esperienza nei negoziati con le fazioni palestinesi e la sua posizione geografica, consolidandosi come interlocutore diplomatico imprescindibile.

Parallelamente, il Presidente al-Sisi sembra aver preso atto dei limiti della protezione americana. L’approccio di Washington, ancora centrato sulla sicurezza di Israele, ha spinto l’Egitto a perseguire una diversificazione delle alleanze, mantenendo un equilibrio tra le relazioni con gli Stati Uniti, la cooperazione con i partner arabi e un dialogo pragmatico con Ankara e Doha.

Con la Turchia, i rapporti si erano interrotti nel 2013 dopo la caduta di Mohamed Morsi, ma dal 2023, anno in cui sono state ristabilite relazioni diplomatiche complete (con scambio di ambasciatori), è in corso una graduale riconciliazione, culminata nel settembre 2025 con le prime esercitazioni navali congiunte dopo tredici anni. L’obiettivo appare duplice: ricucire i rapporti politici e rafforzare la cooperazione nel Mediterraneo orientale, anche con l’intento di bilanciare l’influenza israeliana e consolidare la proiezione regionale egiziana.

Sul fronte bilaterale con Israele, si è registrato un irrigidimento politico e retorico che riflette tanto la frustrazione per le politiche di Tel Aviv a Gaza quanto il tentativo del Cairo di riaffermare la propria leadership nel mondo arabo. Un segnale emblematico è arrivato durante la Conferenza arabo-islamica di Doha del settembre 2025, quando il Presidente al-Sisi ha definito Israele “il nemico”: un termine assente dal linguaggio diplomatico egiziano sin dagli Accordi di Camp David del 1979. Più che una rottura ideologica, la dichiarazione rappresenta una mossa di pressione diplomatica volta a intercettare il sentimento popolare e a riaffermare il ruolo dell’Egitto come voce centrale del mondo arabo in un momento di forte indignazione regionale per la guerra a Gaza. Questo inasprimento verbale di inserisce in un contesto di crescenti tensioni bilaterali, alimentate dalle accuse israeliane di violazione delle clausole di smilitarizzazione del Sinai e dal conseguente rafforzamento militare egiziano al confine. La storica “pace fredda” tra i due Paesi mostra così crepe più visibili, segnando il passaggio da una cooperazione prudente a una competizione di influenza regionale.

Si è consolidato poi il riavvicinamento tra Egitto e Qatar, dopo anni di tensioni dovute al sostegno di Doha alla Fratellanza Musulmana e alla rottura diplomatica del 2017. A partire dal 2021, la riconciliazione all’interno del Golfo ha riaperto il dialogo bilaterale, sfociato in una cooperazione pragmatica sul dossier palestinese. Pur mantenendo approcci diversi (più securitario il primo, più politico-finanziario il secondo) i due Paesi svolgono oggi ruoli complementari nel processo di pace di Sharm el-Sheikh: l’Egitto come pilastro politico e di sicurezza, il Qatar come mediatore con Hamas e fondamentale finanziatore della futura ricostruzione di Gaza.

Quanto a Teheran, dopo la normalizzazione dei rapporti nel 2024 (interrotti nel 1980 in seguito alla presa di potere degli ayatollah), la ripresa dei contatti diplomatici e il sostegno del Cairo agli sforzi dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), che hanno portato all’accordo del 9 settembre per la ripresa della cooperazione tra Iran e AIEA, rappresentano una mossa tattica volta a segnalare a Washington e Tel Aviv che l’Egitto dispone di margini di autonomia diplomatica. Il direttore generale dell’AIEA ha sottolineato che il successo dei negoziati non sarebbe stato possibile senza il peso e la credibilità internazionale del Cairo. I recenti colloqui tra i ministri degli Esteri dei due Paesi si sono concentrati sul sostegno alla sicurezza e alla stabilità regionale attraverso soluzioni pacifiche sul dossier nucleare iraniano. Più che una nuova alleanza strategica, si tratta di un messaggio politico: l’Egitto non è più vincolato a un unico asse di alleanze e può agire in coordinamento flessibile con nuovi partner regionali.

A livello regionale, tuttavia, la situazione resta altamente instabile. Il vicino Sudan è travolto da un’escalation nella guerra civile iniziata nel 2023, e la presa di potere delle Rapid Suppor Forces (RSF) in Darfur lascia prevedere un allargamento del conflitto, già tra le peggiori crisi umanitarie al mondo. In un quadro complesso, Khartum si trova al crocevia di diversi sistemi regionali (Corno d’Africa, Mar Rosso, Valle del Nilo, Sahel), ciascuno percorso da rivalità e protagonismi confliggenti. L’Egitto, da parte sua, sostiene il governo centrale sudanese in chiave anti-etiope, alla luce della costruzione della diga del GERD da parte di Addis Abeba, recentemente inaugurata e potenzialmente in grado di ridurre in modo significativo il flusso del Nilo verso Egitto (che dipende dal fiume per oltre il 90% del suo fabbisogno idrico) e Sudan. Tale dinamica si inserisce in un contesto aggravato dai cambiamenti climatici e dalla crescita demografica egiziana, che aumenta di circa un milione di persone ogni sei mesi, trasformando la questione idrica in una priorità di sicurezza nazionale. Inoltre, il conflitto sudanese rappresenta una sfida diretta per il Cairo, con il rischio di instabilità ai confini meridionali, flussi di profughi verso il territorio egiziano e pressioni aggiuntive su risorse già scarse, in particolare l’acqua, da cui dipendono anche la sicurezza alimentare e la produzione energetica nazionale.

L’Unione Europea rimane il principale investitore in Egitto, con investimenti cumulativi pari a circa 38,8 miliardi di euro, corrispondenti a quasi il 39% del totale degli investimenti diretti esteri del Paese. Alla luce del summit Egitto-UE, tenutosi a Bruxelles nell’ottobre 2025 e presieduto da al-Sisi, le parti hanno ribadito la volontà di rafforzare il partenariato strategico e di ampliare la cooperazione economica, energetica e politica su dossier regionali di interesse comune. Secondo l’Agenzia statistica egiziana, il commercio bilaterale tra l’Egitto e gli Stati membri dell’UE ha raggiunto circa 31,2 miliardi di dollari nel 2023. Questo progressivo consolidamento dei legami economici ed energetici conferma la centralità del Cairo come hub regionale per la sicurezza del Mediterraneo e la stabilità del Nord Africa. Tuttavia, la crescente interdipendenza con l’Europa rende l’Egitto un partner tanto strategico quanto vulnerabile, il cui equilibrio interno inciderà direttamente sulla capacità europea di gestire energia, migrazioni e sicurezza nel Mediterraneo allargato.

L’Egitto si trova oggi in una fase di rinnovato protagonismo, ma anche di crescente esposizione. La sua capacità di mediare nella crisi di Gaza, di dialogare con attori rivali come Israele, Qatar, Turchia e Iran e di mantenere relazioni strutturate con Stati Uniti e Unione Europea conferma il suo ruolo di pivot regionale. Tuttavia, tale centralità poggia su un equilibrio fragile, insidiato da tensioni ai confini, vulnerabilità economiche e pressioni demografiche interne.

Nei prossimi mesi, il Cairo sarà chiamato a tradurre il proprio attivismo diplomatico in risultati concreti: la conferenza sulla ricostruzione di Gaza, la tenuta degli accordi energetici e il rafforzamento del partenariato con l’Unione Europea rappresentano test decisivi per la credibilità internazionale del Paese. Parallelamente, la crisi sudanese rappresenta una sfida strategica e umanitaria per il Cairo: il conflitto minaccia la stabilità dei confini, accresce la pressione migratoria e rischia di amplificare l’instabilità dell’intera regione del Nilo.

Sul piano internazionale, l**’Egitto può consolidarsi come intermediario indispensabile tra mondo arabo e Occidente se saprà mantenere un equilibrio efficace tra sicurezza, sviluppo e cooperazione regionale**. In prospettiva, la sua capacità di trasformare vulnerabilità strutturali in leva diplomatica determinerà se il ritorno egiziano sulla scena regionale segnerà una leadership duratura o un protagonismo effimero.