Il “nuovo” Myanmar e rivalità sino-indiana
Asia & Pacific

Il “nuovo” Myanmar e rivalità sino-indiana

By Laura Borzi
09.29.2011

Nel nord del Myanmar, vicino al confine con la Cina, alla metà di giugno truppe dell’esercito birmano erano state coinvolte in scontri con il KIA (Kachin Indipendence Army), l’esercito dei ribelli separatisti Kachin. La violenza era dilagata dopo  che questi ultimi si sono  rifiutati  di ritirarsi da un’area in cui la Cina sta costruendo una centrale idroelettrica. I sanguinosi combattimenti avevano costituito  un rilevante episodio nella tregua firmata dalle parti 17 anni fa e  rotta lo scorso anno  quando, in concomitanza con le prime  elezioni  democratiche in due  decadi, il governo centrale aveva proposto alle milizie un cessate il fuoco,  a patto che disarmassero e entrassero a far parte delle guardie di frontiera. Il rifiuto dei ribelli aveva così segnato la fine della tregua.

Questa zona montuosa e remota del paese asiatico, ricca di minerali e legno, è attraversata dai traffici di droga e controllata da un insieme disordinato di milizie etniche. Pechino, che con il Myanmar condivide un confine di 2,000 km, e che, per i suoi progetti economici- e non solo- ha particolarmente a cuore la stabilità della zona, ha suggerito ad entrambe le parti di risolvere le loro divergenze seguendo la strada del negoziato. In relazione ai suoi rilevanti interessi, è per Pechino fondamentale garantire la stabilità politica del Myanmar sopratutto lungo il confine comune per evitare il degradamento delle relazioni commerciali con il blocco del corridoio energetico  tra i due Paesi.

La situazione è rimasta  fluida per mesi. Inizialmente centinaia di tecnici cinesi impegnati nella costruzione di una diga sono stati evacuati oltre il confine così come  circa 2,000 civili. Proprio in questi giorni, il 30 settembre, in una  lettera al Parlamento, il Presidente Thein Sein, ha annunciato di aver sospeso la costruzione  della diga di Mytsone  dichiarando il progetto contrario ai desideri  del popolo. In questi mesi in effetti si è avuta una mobilitazione significativa dell’opinione pubblica. Il coinvolgimento nella campagna anti –diga  dell’ ex premio nobel per la pace,  Aung San Suu Kyi ha fornito alla causa una  visibilità maggiore.

Il timore degli  effetti  sulle relazioni esterne  di tale questione devono avere indotto il”nuovo” governo della necessità di mostrare attenzione ai desiderata del popolo. La mossa è  di carattere strumentale. Si tratta in realtà della ricerca di   una legittimità internazionale utilizzando una questione di carattere politico e sociale interno. La sorte della diga  di Mytsone  si presta bene allo scopo. Sono qui in gioco i rapporti con il vicino cinese  grande fruitore del progetto congiunto, ma anche quelli ( futuri) con il resto della comunità internazionale attenta osservatrice delle modalità con cui sono affrontate questioni interne, tra cui il rispetto delle minoranze Il nord del  Myanmar è una delle zone maggiormente instabili dell’Asia del sud, con i ribelli delle numerose minoranze etniche sempre in fermento nei confronti delle discriminazioni subite dal governo centrale.

La politica dello Stato, oltre naturalmente alla “questione democratica”, è condizionata profondamente dai conflitti storicamente radicati tra il governo centrale, associato alla maggioranza birmana, e le aspirazioni di autodeterminazione delle varie comunità etniche che costituiscono circa il 30% della popolazione. Una dozzina di questi gruppi hanno firmato il cessate il fuoco, ma  Naypydaw, la nuova capitale  ha cercato comunque di consolidare il suo controllo in tutto il paese. La forza dei ribelli del Kachin è stimata in circa 7,000 uomini. Si tratta certamente una entità irrisoria  rispetto all’esercito birmano, uno dei più consistenti dell’area forte di 406,000 effettivi e 107,250 paramilitari, ma i miliziani che ben conoscono il territorio sono  motivati ed abituati alla guerriglia nella giungla fin dai  tempi della seconda guerra mondiale contro i giapponesi.

Il confronto armato, che ha ripreso un certo vigore agli inizi del mese di giugno, costituisce un’importante prova per il nuovo governo, nominalmente civile, insediatosi lo scorso febbraio e incaricato di mantenere la facciata della transizione democratica mentre la Giunta militare continua ad avere saldamente in mano le leve del potere. In effetti, nonostante alcuni cambiamenti nella forma, il nuovo Parlamento continua ad essere nella sostanza, espressione della Giunta militare che, dal golpe del 1962, succede a se stessa. Pechino, principale fornitore di armi del regime autoritario di Naypydaw, non cessa di mostrare l’importanza che attribuisce a questo paese incuneato a triangolo tra il proprio territorio e quello del  rivale indiano.  Sul piano economico e strategico il Myanmar è uno Stato  chiave  per la Cina.

Un anno fa, in occasione della sua visita nella capitale, il Primo Ministro cinese,  Wen Jiabao, ha inaugurato due importanti progetti sino-birmani, un oleodotto e un gasdotto. Il primo  verso Kunming, la capitale della provincia cinese  dello Yunnan, il secondo verso le province meridionali di  Guizhou e di Guangxi. Si tratta per Pechino di una strategia volta a diminuire la quota delle importazioni energetiche che attraversano lo stretto di Malacca. In questa formula rientra la costruzione di un terminal petrolifero nello stato birmano di Arakan sul golfo del Bengala dove il numero uno cinese degli idrocarburi, CNPC ( China National Petroleum Corporation) , sfrutta giacimenti offshore.

Il valore del Myanmar per la Cina si spiega anche per la sua posizione geo-strategica. Pechino utilizza il suo vicino meridionale come uno degli elementi cardine della politica di “accerchiamento” dell’India , la strategia del filo di perle. Dal Pakistan al Myanmar passando per  il Bangladesh e lo Sri Lanka, la Cina finanzia la costruzione di porti che la Marina dell’”Impero di Mezzo” potrebbe un giorno utilizzare come basi navali a protezione dei propri interessi commerciali e in caso di conflitto regionale. Partecipando alla  modernizzazione  dei porti birmani di Sittwe, Merguei e Dawei, la Cina accede all’oceano indiano. Il Myanmar ha evidentemente  una  relazione fortemente asimmetrica con Pechino. É considerato uno “Stato pariah”, soggetto agli effetti delle sanzioni ONU e bilaterali (USA, UE) nonostante la pur limitatissima svolta verso la democrazia.  Pur essendo un Paese che dispone di abbondanti  materie prime come gas naturale, minerali e legname ha necessità di apporto massiccio di investimenti esteri e tecnologie moderne. L’assistenza economica e gli investimenti cinesi vertono sopratutto sulle strutture di trasporto e sullo sfruttamento delle risorse energetiche nazionali. Pechino può inoltre influire sulle misure internazionali contro Naypyidaw con il diritto di veto in sede ONU. La relazione, sebbene sbilanciata è reciprocamente conveniente, perché per il Myanmar fondamentale è il sostegno economico (e politico) di Pechino.  Tuttavia l’espansionismo cinese, che  rafforza i già stretti legami  etnici  e culturali tra lo Yunnan e lo stato birmano dello Shan fa temere che, almeno nella regione transfrontaliera, il dominio economico diventi l’anticamera di un’influenza  totalizzante.

In questo senso, a bilanciamento del dominio cinese  e pur con i limitati margini di manovra che può avere  il  Myanmar,  va letta l’apertura all’India anch’essa interessata  al contenimento degli appetiti cinesi nell’area oltre che a “manovre” economiche  importanti.  Nel luglio 2010 il generale Than Shwe, capo del regime dittatoriale birmano, si era recato a New Delhi ottenendo investimenti indiani nel settore dello sfruttamento di giacimenti di gas e nella costruzione di un gasdotto indo-birmano per 1,3 miliardi di dollari.

l mantenimento di elevati livelli di crescita economica  porta ad un costante aumento della domanda di energia di Cina ed India che hanno anche per questo nel Paese un ulteriore motivo della loro competizione per il dominio regionale. Non ci sono dubbi su chi sia l’attore predominante: gli investimenti di Pechino nel solo 2010 ammontavano a 8,1 miliardi di dollari.  Le mosse  dell’India  possono solo in parte limitare l’avanzata cinese, ma il pericolo del dominio incontrastato di Pechino nell’area deve essere fortemente avvertito per “derogare” all’immagine che la più grande democrazia del mondo possa intrattenere rapporti con uno Stato che rimane espressione di un regime autoritario. In questo quadro è difficile che il Myanmar possa giocare la Cina contro l’India.

Una  progressiva evoluzione democratica potrebbe far si  che  la  nuova generazione di militari comprenda i vantaggi  dello scrollarsi di dosso lo scomodo marchio di “pariah”, ma la palese transizione “di facciata” ad un potere solo nominalmente civile, non fa ben sperare.
Detto questo,  anche se rimarrà sempre difficile muoversi tra due giganti, la geografia è destino, ed in questo senso, è proprio giocando sulla rivalità sino-indiana che la Giunta Militare da anni beffa tutti i pronostici circa la sua imminente e rovinosa caduta.

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