Geopolitical Weekly n.333

Geopolitical Weekly n.333

By Sara Nicoletti and Stefania Montagna
07.17.2019

Sudan: Sudan: Civili e militari raggiungono l’accordo per la formazione del nuovo governo di transizione

Il 17 luglio, la coalizione politica delle Forze per la Libertà e il Cambiamento (Forces for Freedom and Change - FCC) e il Consiglio Militare di Transizione (CMT) sono giunti a un accordo che prevede la costituzione di un Consiglio Sovrano di transizione in carica per tre anni, composto da 5 civili scelti dalle FCC, 5 militari scelti dal CMT e un civile concordato da entrambi. I ministri, nominati da un Primo Ministro scelto dalle FCC, dovrebbero essere tutti civili ad esclusione di Difesa e Interni, nominati dai membri militari del Consiglio Sovrano, il quale dovrebbe essere presieduto da un Generale militare per i primi 21 mesi, e da un civile per i successivi 18. L’accordo chiude, virtualmente, un negoziato durato oltre 4 mesi ed iniziato lo scorso aprile, all’indomani della rivoluzione che ha deposto il Presidente Omar al-Bashir.

Sebbene l’accordo sia teoricamente piuttosto favorevole ai movimenti e ai partiti civili, a cui è stata attribuita la maggioranza negli organi di transizione, due Ministeri di importanza strategica, ovvero quelli responsabili delle Forze Armate e della sicurezza interna, restano in mano ai militari. Inoltre, è possibile che questi ultimi si rifiutino di cedere la presidenza del Consiglio Sovrano al termine dei 21 mesi, gettando le basi per nuovi focolai di conflittualità.

Questo accordo compromissorio sembra giungere in un momento in cui entrambi i contendenti devono affrontare notevoli pressioni politiche. Da un lato, i militari potrebbero temere le critiche  di parte della Comunità Internazionale (Stati Uniti, UE, Regno Unito) ora che sono state rese pubbliche le testimonianze del massacro (oltre 100 morti) compiuto dalle Forze di Supporto Rapido (Rapid Support Forces, meglio conosciute come milizie Jajawid) il 3 giugno scorso a  Khartoum. Dall’altro, i civili potrebbero aver accettato il compromesso avendo appurato che, nonostante le manifestazioni di biasimo statunitensi ed inglesi, i militari continuano ad avere l’appoggio di Russia, Cina, Turchia e monarchie del Golfo. Un appoggio che contribuisce a definire la loro resilienza politica ed istituzionale.

Al contempo, la stabilità interna del Paese è messa alla prova anche dall’uccisione di un peacekeeper di UNMISS (United Nation Mission in Sudan) e di 6 civili nella città di Abyei, nell’omonima regione contesa con il Sud Sudan, a opera di milizie ignote. Pertanto, le tensioni generate ancora oggi dalla tumultuosa secessione del Sud Sudan e i rischi di degenerazione dell’accordo raggiunto rendono gli equilibri che tengono insieme il Paese piuttosto precari.

Russia: proteste a Mosca in vista delle amministrative di settembre

Il 14 e il 15 luglio, Mosca è stata il teatro di due nutrite manifestazioni di protesta che hanno coinvolto, complessivamente, oltre 2500 persone. In entrambi i casi, i cortei, non autorizzati, si sono svolti nei pressi della Piazza Trubnaya e sono stati violentemente dispersi dalla polizia che ha arrestato circa 30 persone.

All’origine di questa non trascurabile mobilitazione popolare è stata la decisione, da parte della Commissione Elettorale di Mosca, di invalidare la candidatura alle elezioni amministrative per il municipio di Ilya Yashin, attivista politico, sindaco del municipio di Krasnoselsky e uno dei leader del Partito per la Libertà del Popolo (o PARNAS), formazione liberale in aperta opposizione al partito di governo Russia Unita e alla classe politica capeggiata dal Presidente Vladimir Putin.

Secondo la Commissione, Yashin, che intende candidarsi alle elezioni municipali di Mosca, avrebbe presentato delle firme non valide. Il leader di PARNAS, al contrario, afferma che le firme presentate erano conformi alla legge e che, probabilmente, sono state alternate dagli organi comunali dove sono state depositate.

Le proteste di Piazza Trubnaya rappresentano l’ennesimo episodio di mobilitazione civile contro l’establishment di potere russo dell’ultimo triennio, a testimonianza di un crescente malcontento popolare verso la classe dirigente e il suo leader Putin. Oltre a Yashin, una delle vittime della repressione statale russa è Alexey Navalny, blogger anti-corruzione frequentemente incarcerato a causa dei suoi inviti alla disobbedienza civile.

La richiesta civile di maggiore tutela dei diritti e di lotta alla corruzione al nepotismo dilaganti ha ottenuto una forte eco grazie al peggioramento delle condizioni economiche del Paese, avviatosi alla stagnazione a causa sia di problemi endemici, come la scarsa innovazione, l’obsolescenza delle strutture produttive e dei servizi e l’eccessiva dipendenza dall’indotto dell’industria idrocarburica, che a causa di sfortunate contingenze, come la diminuzione del prezzo del greggio sui mercati internazionali. Alcune decisioni sofferte del governo centrale, come l’innalzamento dell’età pensionabile e il mancato adeguamento degli stipendi, delle pensioni e dei sussidi all’inflazione, ha minato la fiducia nella classe dirigente e in Putin, determinando un vistoso crosso nel gradimento pubblico, sceso al minimo storico del 30%.

Somalia: a Chisimaio torna a colpire al-Shabaab

Il 12 luglio, un gruppo di terroristi ha effettuato un attacco suicida nell’hotel Asasey, nella città portuale di Chisimaio, capitale della regione semi-autonoma del Jubaland (in italiano “Oltregiuba”), provocando 26 vittime di varie nazionalità. L’attacco è stato rivendicato dal gruppo jihadista al-Shabaab. A dare la notizia è stato l’attuale Presidente della regione Ahmed Madobe, che concorre alle elezioni regionali che si terranno il prossimo 19 agosto ed è stato a capo del gruppo paramilitare Raskamboni, milizia che combatteva i miliziani estremisti durante la guerra civile.

Le milizie guidate da Madobe, assieme ai contingenti kenioti di Linda Nchi, a quelli etiopi e a quelli di AMISOM (African Union Mission in Somalia), avevano liberato Chisimaio  da al-Shabaab nel 2012, e da allora la città era stata relativamente tranquilla. Tuttavia, nelle aree rurali della regione il movimento jihadista ha continuato ad essere presente ed attivo, partecipando ai traffici illeciti ed usufruendo del supporto di alcuni clan grazie alle sue attività assistenzialiste e di governance.

L’analisi dell’attacco di Chisimaio può essere duplice. Da un lato, esso potrebbe essere un tentativo di al-Shabaab, indebolito negli ultimi anni dalle perdite territoriali di Mogadiscio e Chisimaio e privato degli introiti che il controllo del porto gli procurava tramite il contrabbando di carbone e qat, di ribadire la sua forza in un’area in cui Madobe si presenta come un elemento stabilizzatore, appoggiato anche da Etiopia e Kenya e recentemente avvicinatosi alle posizioni del governo centrale. Dall’altro, è possibile anche che l’attacco sia avvenuto con la compiacenza dello stesso Madobe, che punterebbe a intimidire gli oppositori e la popolazione civile in vista delle elezioni, ergendosi a unico garante della pur minima stabilità locale.

In ogni caso, l’interesse verso la stabilizzazione del Jubaland è alto soprattutto da parte del confinante Kenya, che già da diversi anni ha un contingente schierato alla frontiera per arginare sia il flusso migratorio che l’avanzata di al-Shabaab verso sud.

Questo attacco, nel mostrare la fragilità istituzionale e securitaria della Somalia, mina non solo la riuscita delle elezioni regionali di agosto, ma anche e soprattutto l’esito delle elezioni nazionali del 2020. Se a questo quadro si aggiunge la ritirata, prevista per il 2020, di AMISOM, le prospettive per una ricostruzione istituzionale, e quindi per un conseguente contenimento della minaccia terroristica, restano remote.

Taiwan: Han kuo-yu in corsa alla presidenza dell’isola

Lunedì 15 luglio, il sindaco della città taiwanese meridionale di Kaohsiung, Han Kuo-yu, ha vinto le primarie del Kuomintang (KMT), il partito nazionalista di Taiwan. Durante le primarie, Han ha battuto con ampio margine Terry Gou, il miliardario fondatore del colosso dell’elettronica Foxconn. Han sarà quindi chiamato a sfidare la presidente uscente Tsai Ing-Wen, capo del Partito Democratico Progressista (PPD), alle elezioni di gennaio 2020 per il rinnovo della presidenza dell’isola.

La popolarità di Han è cresciuta rapidamente nel 2018, a seguito della sua elezione a primo cittadino di Kaohsiung, storico baluardo del PPD ed ora in mano al partito di opposizione. Da sempre considerato populista ed estremo oppositore della politica di Tsai Ing-Wen, Han era riuscito a catalizzare l’opinione delle classi popolari di Kaohsiung con uno stile diretto e semplice, paragonabile alla retorica trumpiana. Per cui, in vista delle elezioni del 2020, il candidato del KMT potrebbe fare leva sui temi caldi del rilancio economico e dell’apertura al riallacciamento dei rapporti con Pechino per allargare la fetta di consensi su scala nazionale.

In questo contesto, l’esito delle elezioni presidenziali potrebbe ribaltare completamente la posizione di Taiwan rispetto alla Cina continentale. Finora il governo di Tsai Ing-wen ha mostrato un profondo interesse a voler stringere i rapporti con gli Stati Uniti. Di fatto, nelle ultime settimane, il Dipartimento di Stato americano ha approvato la proposta di accordo commerciale con il governo taiwanese per la vendita di prodotti bellici statunitensi, suscitando una forte reazione del governo di Pechino. Al contrario, la politica pro-Cina di Han, qualora dovesse confermarsi come nuovo presidente della Repubblica di Taiwan, potrebbe spostare il baricentro delle relazioni diplomatiche taiwanesi, producendo un conseguente avvicinamento alla “Mainland” cinese e un nuovo raffreddamento dei rapporti con gli USA.

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