Dai gasdotti ai rigassificatori: le ambizioni dell’Italia come hub del gas mediterraneo
Middle East & North Africa

Dai gasdotti ai rigassificatori: le ambizioni dell’Italia come hub del gas mediterraneo

By Ilona Zabrytska
03.07.2023

**L’Europa punta sul GNL per diversificare dal gas russo **

In seguito all’invasione russa dell’Ucraina, la valenza strategica del gas naturale liquefatto (GNL) e la corsa ai terminali GNL sembrano essere divenuti la nuova frontiera della sicurezza energetica in Europa. Il GNL è gas naturale convertito in forma liquida (presenta un volume circa 600 volte inferiore a quello del gas a pressione standard), che risulta facilmente trasportabile su lunghe distanze in metaniere, evitando perciò la vulnerabilità delle condotte e garantendo l’accesso a un mercato di approvvigionamento più ampio. Una volta raggiunta la destinazione finale, il GNL viene rigassificato in appositi impianti e distribuito attraverso reti del gas presenti sul territorio.

Dall’Europa, al Canada e al Giappone, molti Paesi importatori di gas naturale si stanno fornendo di impianti di rigassificazione per aumentare la diversificazione dell’approvvigionamento energetico. L’Europa, in particolare, ha posto la capacità di rigassificazione dei porti europei al vertice dell’agenda per la sicurezza energetica comunitaria e diversi Paesi dell’UE hanno aumentato la loro capacità di importazione di GNL attraverso investimenti accelerati in nuovi terminali, tra questi figurano Germania, Spagna e Italia. L’Energy Intelligence Group, ente di consulenza su dati energetici, calcola che da settembre 2022 a ottobre 2023, le unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione (FSRUs – Floating Storage Regasification Units), tecnologie più flessibili e a basso costo dei rigassificatori onshore (su terraferma), forniranno all’Europa 36 milioni di tonnellate in più all’anno, l’equivalente di 50 bcm, di nuova capacità di importazione di GNL.

Tuttavia, una delle sfide per l’approvvigionamento di GNL sono gli ingenti costi di costruzione delle infrastrutture di conversione a breve termine e i rischi finanziari a lungo termine. Il Global LNG Outlook 2023-2027 dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA) mette in guardia sul fatto che la capacità totale di importazione non è un indicatore preciso della domanda di GNL a lungo termine. Infatti, la ricerca evidenzia come gli operatori del sistema di trasporto del gas (TSO) in Europa siano incentivati a costruire infrastrutture in eccesso per espandere la loro base di assets. Inoltre, nonostante le frenetiche politiche europee sull’acquisto di GNL e l’alta domanda nel breve termine per sopperire le mancate importazioni dei gasdotti dalla Russia, è probabile che le iniziative green in materia di clima ed energia e le alternative energetiche competitive dal punto di vista dei costi compromettano la crescita della domanda globale di GNL nel prossimo decennio. In tale scenario, i progetti che entreranno in servizio dopo il 2025 potrebbero creare uno squilibrio tra domanda e offerta, con prezzi più bassi del previsto e minori profitti per gli esportatori di GNL.

Se scommettere a lungo termine sul GNL potrebbe essere svantaggioso, è necessario chiedersi quanto siano realistiche le ambizioni del governo Meloni di rilanciare l’Italia come hub del gas europeo e quali siano i plausibili fornitori per realizzare questa visione strategica per la politica estera italiana, che rappresenta inoltre una volontà di ricostruzione delle relazioni con i Paesi del Mediterraneo.

**Il piano Mattei per la diversificazione passa da nuove infrastrutture **

Data la geografia dell’Italia come naturale snodo tra l’Europa centrale e l’Africa mediterranea, si è spesso auspicato che il Paese possa diventare il collettore e la via di trasporto del gas verso l’Europa, fungendo da vero e proprio hub. Una visione anche recentemente rilanciata sia dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni con il cosiddetto “Piano Mattei” sia dalle visite di Stato della Premier e dei Ministri del suo governo – in continuità con i suoi predecessori – in gran parte degli Stati rentier dell’Africa e del Mediterraneo. Essendo l’Italia uno dei maggiori consumatori di gas in Europa con circa 73 bmc l’anno e importando il 90% del gas che consuma, nella visione dell’attuale esecutivo ampliare la rete di importazione significherebbe non solo avere accesso a negoziazioni su prezzi e stabilità energetica, ma accrescerne la rilevanza politica sia nell’UE sia nel Mediterraneo. Inoltre, la prossimità logistica e geografica dell’Italia all’Algeria, alla Libia e all’Egitto – tre fornitori strategici – permetterebbe di ottimizzare gli investimenti verso le strutture di trasporto e immagazzinamento.

Ad oggi, l’Italia riceve direttamente 15 bcm tramite i rigassificatori ed è collegata ai fornitori del Nord Africa con due gasdotti non intermediati, il Transmed (30 bcm di capacità) per il gas algerino ed il Greenstream (8 bcm di capacità) per quello libico, epossiede due condotte modificabili per permettere flussi in Europa tramite la Svizzera (Passo Gries) e l’Austria (Tarvisio). Tuttavia, nessuno dei progetti utili alla realizzazione del hub italiano – l’espansione del TAP dall’Azerbaigian, l’EastMed Poseidon dal Mediterraneo Orientale, i rigassificatori al sud Italia e il gasdotto GALSI con l’Algeria – ha ottenuto un piano finale di investimento. Prendendo in considerazione il possibile ruolo strategico dell’Italia nella sicurezza energetica europea, risaltano due sfide di prim’ordine alla realizzazione del hub italiano: la mancanza di infrastrutture, e l’incertezza dei mercati di approvvigionamento tramite il Nord Africa, specialmente la Libia a causa della protratta instabilità politica, e di GNL dal Mediterraneo Orientale.

Altresì, due sono i maggiori deficit infrastrutturali in Italia: la capacità di rigassificazione e le infrastrutture di convogliamento. Ad oggi, il Paese dispone di tre terminali di rigassificazione – quello onshore di SNAM a Panigaglia (La Spezia), quello offshoredella LNG Adriatic di Porto Viro (Rovigo) e la FSRU di Livorno – con una capacità di circa 17 bcm, prossima alla saturazione. Pertanto, SNAM – principale società europea che gestisce la rete italiana dei gasdotti – ha acquistato due navi, che saranno installate a Piombino (Golan Tundra) e a Ravenna (BW Singapore), per un investimento di circa 1,4 miliardi di euro, volte ad aumentare la capacità a 27 bcm. Sarà necessario uno sforzo maggiore per aiutare a sostituire le forniture russe con il gas proveniente dai fornitori africani: idealmente almeno altre tre FSRUs, nonché il potenziamento dei gasdotti esistenti, come già auspicato per la TAP. Inoltre, il progetto di hub energetico per l’Italia sembrerebbe essere perseguibile se le iniziative di ENI, nuovo governo e delle società di infrastrutture energetiche coinvolte riusciranno a eliminare l’effetto “collo di bottiglia” (corrispondente al centro Italia), creato dai condotti sull’Appennino che impossibilitano la potenzialità dei flussi da Sud a Nord.

Per tale progetto, è inoltre fondamentale garantire la sicurezza dell’approvvigionamento dai nuovi partner e rafforzare il ruolo dell’Italia nella diplomazia energetica tra l’Egitto e Israele. Il Piano Mattei per l’Africa e il Mediterraneo deve necessariamente passare attraverso una concezione onnicomprensiva dello scenario regionale di contesa geostrategica nel Mar del Levante. Per ultimo, non mancano i concorrenti che si contendono il ruolo di leader nella sicurezza energetica europea. Nel Mediterraneo, infatti, anche la Spagna ha puntato sui terminali di rigassificazione e possiede capacità adeguate a ricevere GNL dagli Stati Uniti e potenzialmente dall’EastMed.

**Un contesto regionale critico dal Nord Africa all’EastMed **

L’offensiva diplomatica in Nord Africa lanciata nel gennaio di quest’anno dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal Ministro degli Esteri Antonio Tajani ha in un certo senso inaugurato e dato forma al Piano Mattei, dipinto come una “cooperazione non predatoria”. Con l’Algeria, sulle orme dell’ex Presidente Mario Draghi, l’Italia ed ENI hanno firmato un nuovo accordo con la società statale algerina Sonatrach, ormai prima fornitrice di gas alla penisola, che garantirà l’invio di 9 bcm di gas in aggiunta alle forniture che già transitano attraverso il gasdotto TransMed. Con la Libia è stato firmato un altro importante accordo, in cui l’ENI, che gioca un ruolo fondamentale, si impegna ad aumentare l’estrazione di gas da due giacimenti (Struttura A&E) per rifornire con gran parte dei volumi estratti i mercati locali.

Inoltre, l’Italia ha ricominciato a guardare con favore le riserve dell’EastMed, tra cui figurano quelle dell’Egitto e di Israele-Libano, tuttavia non trasportabili se non tramite il procedimento di liquefazione nei porti egiziani. Nell’ambito del GNL mediterraneo, i due Paesi punteranno a incrementare le esportazioni di gas naturale verso l’Europa grazie a un memorandum d’intesa raggiunto nel giugno 2022, e spinto dalla volontà europea di diversificazione energetica. È stato evidenziato, soprattutto da ENI e SNAM, come la costruzione di nuovi impianti di rigassificazione potrebbe aumentare ulteriormente l’opportunità di accordi con fornitori di GNL come Egitto, Qatar e Israele. Il Mediterraneo Orientale ha quindi un enorme potenziale di esportazione, possedendo ampi mega-giacimenti non sfruttati (offshore) – i blocchi energetici scoperti in quest’area si trovano tra il 41-43% nelle acque egiziane, tra il 40-41% in quelle israeliane, tra il 16-17% in quelle cipriote ­– che potrebbero contribuire al fabbisogno europeo nel periodo della transizione energetica. L’apparente fallimento del gasdotto EastMed Poseidon – per l’impossibilità di un accomodamento tra Cipro, Turchia e Grecia –, il flusso del conveniente gas russo e la certezza di poter fare affidamento su altri fornitori stabili quali Qatar e USA, sono solo alcune delle motivazioni che in passato hanno portato i Paesi europei ad accantonare maggiori progetti di investimento nel GNL delle coste meridionali. Per evitare quindi che la regione sia di nuovo isolata è necessario potenziare le capacità di liquefazione in Egitto, ampliando dall’altra parte del Mediterraneo la capacità di rigassificazione.

Per quanto concerne la capacità di esportazione, l’Egitto è cruciale per i due terminali di liquefazione, grazie a cui le esportazioni di GNL nel 2021 hanno raggiunto 9 bcm. Il Paese dispone di due impianti, quello di Damietta, gestito da ENI, da 5 milioni di tonnellate metriche all’anno (mmty) e quello di Idku, gestito da Shell, da 3,6 mmty. Anche Israele, da tempo impegnata in una serrata triangolazione con Egitto, Cipro e Grecia, studia diverse soluzioni di esportazione che, se realizzate, potranno aumentare ulteriormente le esportazioni verso l’Europa nel medio e lungo termine. Seppure la capacità di esportazione dell’EastMed aumentasse, dall’altro lato del Mediterraneo la capacità di rigassificazione dei Paesi di approdo, ad oggi, non è sufficientemente avanzata. La Spagna possiede 6 terminal di rigassificazione ma un solo gasdotto trans-pirenaico che la unisce con il resto del continente, avendo quindi nel complesso una bassa capacità di convogliamento del gas importato in Europa. La potenzialità delle infrastrutture e dei nuovi contratti sembra quindi essere favorevole all’Italia. Sebbene il Piano Mattei dal punto di vista dei volumi nell’immediato avrà un effetto di sostituzione per compensare il gas russo (circa 30 bcm), in prospettiva futura il gas offshore del Mediterraneo orientale potrebbe creare un surplus esportabile verso l’Ue.

Il Cairo e Tel Aviv mantengono un ruolo cardine nell’Eastern Mediterranean Gas Forum (EMGF) e nel futuro processo di sfruttamento condiviso delle risorse gasifere nell’area. I due Paesi non sono considerabili alleati, tuttavia l’Egitto ha posto la sola Turchia – non parte dell’EMGF – come un attore regionale da contenere, puntando invece a sfruttare iniziative di cooperazione con L’Europa e con Israele volte a definire nuovi interessi nel Levante, come risulta dal recente accordo di cooperazione dell’estate 2022. Insieme all’accordo, siglato in ottobre 2022, di demarcazione dei fondali marittimi tra Israele e Libano, il memorandum d’intesa risulta uno tra i tanti esempi di diplomazia energetica tra gli attori d’area. Tuttavia, la potenzialità della regione in termini di export di GNL si scontra con l’esistenza di un contesto di relazioni diplomatiche critiche soprattutto per quel che riguarda la demarcazione di confini e fondali marittimi con le rispettive risorse. La Turchia, ad esempio, mira infatti a concorrere come hub infrastrutturale nella regione con i suoi undici gasdotti collegati all’Europa e porta avanti tentativi di pressioni su Cipro per le riserve contese nelle zone economiche esclusive (ZEE) tra i due Paesi. La stabilizzazione dell’area passerà principalmente per la normalizzazione dei rapporti turchi con i Paesi confinanti. In questa prospettiva, il riavvicinamento politico tra Turchia e Israele si presenta sicuramente come un fattore positivo per la stabilità per i processi di cooperazione (trans-)regionale, ma è altresì una variabile imprevedibile in grado di ridefinire i rapporti anche politici nell’area. Una condizione, questa, che potrebbe intaccare anche il rapporto Italia-Turchia in virtù della forte dipendenza economica ed energetica che detengono entrambi i Paesi dalle importazioni di gas e GNL dall’area e che verosimilmente non permetterà a Roma di scavalcare facilmente i medesimi interessi e propositi di Ankara nel Mediterraneo. Il ruolo dell’Italia come hub energetico europeo appare quindi incerto, presentandosi come una volontà del nuovo governo di fornire una narrazione di politica estera e il tentativo di restituire un ruolo alla penisola nel Mediterraneo. Mentre l’Italia ha risigillato la propria dipendenza al gas di Paesi autoritari del Nord Africa e all’instabilità del Mediterraneo Orientale, sarà fondamentale seguire il riassestamento delle relazioni politico-energetiche nella regione allargata. Infine, per poter usufruire del gas mediterraneo, l’Italia dovrebbe perseguire una nuova formula di cooperazione energetica e di sicurezza con i Paesi dell’Africa Sub-Sahariana e del Golfo Persico, altresì per tenere sotto controllo le tensioni regionali e l’attivismo turco.

*L’analisi è parte della collaborazione ”Italian Neighborhood” tra CeSI e Orizzonti. È stato redatto con il supporto di Giuseppe Dentice, Head Analyst Nord Africa e Medio Oriente. *