Riprendono le negoziazioni Libano-FMI tra ottimismo e realismo
Geoeconomics

Riprendono le negoziazioni Libano-FMI tra ottimismo e realismo

By Carlo Palleschi
02.09.2022

Il 22 gennaio, il governo libanese ha annunciato la propria disponibilità a riprendere i negoziati con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) per discutere le condizioni necessarie per accedere al prestito e per far fronte così alla drammatica crisi economica e sociale che sta attraversando il Paese dei Cedri sin dal 2019. Le trattive proseguono a fasi alterne dal maggio 2020, senza che le due parti siano riuscite ad arrivare ad un accordo circa le precondizioni richieste per sbloccare i fondi. A novembre 2021, il vice Primo Ministro Saade Shami, incaricato di seguire le trattative, aveva dichiarato che le negoziazioni sarebbero proseguite, ma che vi sarebbero stati dei ritardi nella tabella di marcia per il raggiungimento di un accordo definitivo tra le parti, soprattutto a causa della discrepanza relativa all’ammontare delle perdite finanziarie. In questo nuovo round di negoziati, il Libano si siede con la necessità di superare tutte le potenziali divergenze e chiudere al più presto l’accordo, dal momento che la situazione del Paese non lascia spazio ad ulteriori ritardi.

Il Libano sconta infatti delle debolezze croniche, che includono il basso grado di sviluppo infrastrutturale, il mancato funzionamento del settore elettrico ed idrico, la fragilità delle finanze pubbliche, i consistenti squilibri macro-economici ed il deterioramento degli indicatori sociali. Le cifre mostrano in maniera impietosa il quadro del Paese: il PIL ha subito una contrazione del 20% rispetto al 2020, il debito pubblico ha raggiunto il 170 % del PIL, il potere di acquisto delle famiglie si è ridotto del 90% e circa il 74% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Un altro elemento di criticità è rappresentato dalla drammatica svalutazione della lira libanese, che ha perso più del 90% del suo valore dal 2019, e la svalutazione rispetto al dollaro statunitense ha toccato un nuovo record (oltre il 400%), con un tasso di cambio che ha raggiunto livelli altissimi sul mercato parallelo: infatti, se ufficialmente una lira libanese viene scambiata per 1.500 dollari, nel mercato parallelo il tasso di cambio raggiunge quasi i 23.000 dollari. La Banca Centrale del Libano (BCL), ha annunciato nel marzo 2020, il default finanziario. La profonda svalutazione, l’esaurimento delle riserve in valuta estera e il concomitante aumento del costo dei beni importati di prima necessità, come alimenti, carburante e medicine, hanno determinato il collasso dell’erogazione dei servizi essenziali ed uno sviluppo sempre maggiore del mercato nero.

Questa drammatica situazione è il frutto di scelte politiche clientelari e poco lungimiranti, spesso influenzate dalla corruzione dilagante e che si innestano su un quadro istituzionale e politico particolarmente debole e frammentato. L’esplosione del porto di Beirut, oltre alla tragedia umana che ha significato, ha avuto delle implicazioni anche a livello nazionale. Le dimissioni di Ministri che si sono succedute, congiuntamente con le indagini della magistratura finalizzate ad individuare le responsabilità dell’accaduto, hanno acuito la crisi istituzionale già vigente, fino a produrre uno stallo politico durato oltre un anno. Solo nel settembre 2021 si è arrivati alla formazione del governo presieduto dal magnate delle telecomunicazioni e già più volte Primo Ministro, Najib Mikati. In questo contesto, la pandemia da Covid-19 ha ulteriormente esacerbato la crisi economica e sociale generalizzata. Anche il piano di vaccinazione, lanciato con il supporto dalla Banca Mondiale nello scorso febbraio e che mira a raggiungere il 70% della popolazione entro la fine del 2022, ha subito vari ritardi e sconta la debolezza strutturale di un sistema sanitario fortemente colpito dalla crisi delle finanze pubbliche.

Alla luce di questo drammatico intersecarsi di crisi (economica, finanziaria, politica, sociale e sanitaria), le negoziazioni con il FMI potrebbero costituire un momento fondamentale per il Paese dei Cedri, che ha urgente bisogno di liquidità e riconoscimento internazionale. Il Primo Ministro Mikati si è detto pienamente consapevole della necessità di far fronte alla situazione sociale ed economica ed ha assicurato che il nuovo esecutivo vuole trovare una soluzione equa e globale per tutti i creditori, con i quali verrà avviato al più presto un dialogo in buona fede. Sembrerebbe che Beirut e il FMI si siano accordati per una perdita del settore finanziario di circa 69 miliardi di dollari. Inoltre, il governo libanese potrebbe aver accettato di adempiere ad un altro elemento cruciale del pacchetto di riforme richieste dal FMI, ovvero l’unificazione dei tassi di cambio. In questo senso, sembra che la lira libanese possa svalutarsi ulteriormente per abbandonare il tasso ufficiale di cambio fissato a 1.500 ed arrivare al livello di 20.000 lire libanesi per un dollaro, un valore molto prossimo a quello che attualmente si registra sul mercato parallelo.

Uno dei punti più controversi delle precondizioni per lo sblocco del pacchetto di aiuti consiste nell’eventualità che venga effettuata un’indagine sull’operato della BCL. La revisione dei conti dell’istituto bancario nazionale, ritenuto all’apice delle responsabilità nel crollo finanziario del Paese, potrebbe portare ad un ulteriore terremoto istituzionale, ma è considerata una condizione imprescindibile per il FMI. A ciò si unisce l’accusa nei confronti di Riad Salameh, governatore della BCL dal 1993, di aver dirottato capitali pubblici in alcuni conti esteri. Al netto di potenziali reati di falsificazione dei registri e di movimenti illeciti, la BCL non può considerarsi esente da una valutazione quantomeno critica rispetto al suo operato nella gestione della crisi. Emblematica è ad esempio la decisione improvvisa e poco lungimirante di rimuovere, nel luglio 2021, i sussidi sul carburante, sui medicinali e su alcuni beni alimentari, provocando così un aumento incontrollato dei prezzi.

Inoltre, qualsiasi accordo venisse raggiunto dovrebbe passare dall’approvazione parlamentare, un passaggio non scontato a causa dell’elevata polarizzazione politica e delle imminenti elezioni fissate per il 15 maggio 2022, che potrebbero portare ad un cambiamento radicale del panorama partitico libanese.

L’accordo con il FMI rappresenterebbe per il Libano una boccata d’ossigeno, ma non può essere comunque visto come la panacea di tutti i problemi che Beirut deve gestire. L’iniezione di liquidità non risolverebbe le debolezze strutturali del Paese dei Cedri, che dovrebbe attuare le riforme fondamentali, non solo per assorbire le perdite registrate, ma anche per ripristinare la fiducia, migliorare la governance e la trasparenza ed incoraggiare gli investimenti. Il passo verso il collasso generalizzato del sistema Paese è più breve di quanto si possa pensare, e proprio per questo è necessario che la classe politica si faccia carico in maniera seria e lungimirante delle aspettative della popolazione.

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