One Ummah: l’e-jihad di al-Qaeda che parla ai non-musulmani
Terrorism & Radicalization

One Ummah: l’e-jihad di al-Qaeda che parla ai non-musulmani

By Daniele Maria Barone
06.24.2020

La ummah, ovvero la comunità musulmana che si riconosce attraverso la religione e non l’etnia o la nazionalità, è il concetto alla base del panislamismo.

Una concezione comunitaria universale, priva di stratificazioni sociali che, come descritto da Thomas Hegghammer, è stata inizialmente distorta in Afghanistan alla fine degli anni ’70 dallo studioso e attivista fondamentalista sunnita, ispiratore di Bin Laden, Abdallah Azzām, introducendo il concetto di difesa militarizzata della comunità islamica globale. La strumentalizzazione del concetto di ummah, non nasce in quegli anni solo per necessità ideologiche, ma per contingenze strumentali. Era proprio focalizzando la propaganda jihadista su tematiche internazionali, quindi lontane e apparentemente svincolate dalle realtà locali dal Medio Oriente, che gli attivisti jihadisti potevano diffondere le loro idee estremiste e rivoluzionarie senza apparire come una minaccia diretta per i governi autoctoni.

Con il tempo, insinuandosi in tematiche internazionali legate all’emarginazione sociale e alle oppressioni, il concetto di jihad permeato dalla ummah ha ampliato il range del potenziale pubblico di riferimento; la discussione su concetti universali, anche svincolati dall’estremismo islamico, ha reso passo dopo passo accettabile l’idea di mujahideen che combatte contro un nemico, vicino o lontano, che semina ingiustizia, quindi giudicato infedele non solo per il suo credo ma per i suoi crimini contro l’umanità.

Oggi, come avvenne più di 30 anni fa, il processo di coinvolgimento ad un jihad senza confini etnici o geografici non si sviluppa in autonomia ma richiede tempo ed un disegno propagandistico che si concentri sull’interpretazione della situazione mondiale attraverso la lente dell’estremismo. Da questa prospettiva, per un’organizzazione terroristica, i disordini economici e sociali che avvengono in un villaggio afghano diventano risorse per stringere nuove alleanze, per il reclutamento o per la creazione di un brand solido, alla stregua dell’instabilità politica percepita in una metropoli statunitense. Queste dinamiche modificano il simbolismo evocativo anche per un’organizzazione come al-Qaeda, radicata nella lunga battaglia contro il lontano nemico occidentale. Infatti, attraverso le parole e le immagini di One Ummah, uno dei prodotti editoriali tradotti anche in lingua inglese più internazionali del gruppo, al-Qaeda definisce quella comunità musulmana che si identifica nella guida del suo leader, Ayman al-Zawahiri, come un’entità in grado di assicurare ordine e giustizia in termini universalmente riconosciuti.

Il web magazine One Ummah è prodotto e distribuito da un ramo mediatico ufficiale di al-Qaeda as-Sahab media. Il primo numero in inglese venne pubblicato l’11 settembre 2019 mentre il secondo numero ad inizio giugno 2020 e, come individuato da Jihadoscope, gruppo di ricerca americano specializzato nel monitoraggio della propaganda jihadista sul web, viene diffusa capillarmente via internet anche grazie al supporto di canali non ufficiali pro-al-Qaeda. Questi ultimi, attraverso la creazione di siti web Pastebin, ovvero di archiviazione di testo, che si poggiano, come individuato dal centro di ricerca Counter Extremism Project, su servizi di cloud hosting, salvano i propri dati su diversi server, rendendo quasi impossibile l’eradicazione definitiva dei contenuti della rivista da internet.

Con questi presupposti, ci sono due concetti dell’ultimo numero in inglese del web magazine di al-Qaeda, in particolare quelli riguardanti l’interazione tra jihad e lontano West degli USA, da tenere presente per riconoscere e riflettere sull’attuale gradino evolutivo della propaganda del gruppo:

  1. Il simbolismo americano al servizio del jihad: la copertina della rivista espone un dipinto dell’artista Banksy come simbolo di sostegno ai manifestanti statunitensi e, nell’articolo titolato “America Burn”, spicca l’immagine drammatica degli ultimi istanti di vita di George Floyd. Nell’articolo, l’autore descrive l’attualità sociale, politica ed economica degli Stati Uniti usando l’espressione “Five corners of America_’_s pentagonal coffin”. Le cinque punte della “bara americana” sintetizzano i disordini che stanno attualmente mettendo in estrema difficoltà il sistema americano: la diffusione del Covid19, le divisioni sociali interne, il razzismo, l’economia disastrata e (chiaro riferimento all’attentato di Pensacola che risuona come un invito per i lettori) gli attacchi dei Mujahideen. Come sottolineato da BBC monitoring, i manifestanti americani, sia musulmani che non musulmani, vengono definiti i "champions of the oppressed” sia in riferimento alle proteste dilaganti, inascoltate dal mondo politico (con conseguente critica alla democrazia), che in merito alla gestione dell’emergenza Covid19, considerando poveri ed anziani come un fardello e abbandonandoli. In riferimento alle falle così descritte del sistema democratico, i cittadini americani vengono invitati a riflettere sul concetto qaedista di ummah, assumendo un linguaggio molto diretto in termini di reclutamento, dichiarando “not even the Democrats can help you but we can”. Inoltre, al-Qaeda non inneggia solo ad immagini e personaggi riferiti all’estremismo o a alla rivoluzione ma accoglie gli oppressi e gli emarginati inserendo nella sua rivista un invito per i lettori a seguire Malcom X, storico e riconosciuto esempio di attivismo per i diritti umani. Questo avviene sottolineando la sua conversione all’Islam e riportando le sue parole che, decontestualizzate, vengono asservite alla violenza e al sacrificio necessari per la lunga ed estenuante guerra contro il sistema occidentale, citando “the price of freedom is death”.

  2. Commettere attentati ma per colpire l’economia attraverso internet: come riportato dalla rivista Homeland Security Today, in One Ummah si parla chiaramente dell’importanza strategica di internet per il jihad. Il web è, ancora una volta, l’anticamera della globalità dell’Islam estremista globale, in cui il l’oppresso può schiacciare il più forte e in cui non esistono distinzioni etniche, economiche e di genere. Infatti, il magazine jihadista spiega “In today’s world, anonymous, secretly operating Mujahideen – men and women – have immense potential to support the Religion of Allah from their … homes based on individual initiatives, creativity, and intuition,” e poi continua “Yes, we are talking about a field whose potential has not yet been fully realized: E-jihad”.
    L’electronic jihad, si spiega nell’articolo, si sviluppa creando gruppi di mujahideen attraverso la rete che potranno infoltirsi maggiormente grazie al progetto Kuiper di Amazon (ovvero il lancio di migliaia di satelliti in orbita per ampliare l’accesso ad internet anche alle zone più remote), il quale accrescerà esponenzialmente il bacino di potenziali attivisti del jihad globale. Il discorso è quindi incentrato sul reclutamento di specialisti ICT e ad invitare i lettori a colpire infrastrutture economiche.
    Anche in questo contesto si fa riferimento a fonti americane per legittimare il concetto, citando il libro Obama_’_s Wars di Bob Woodward che, in riferimento all’attentato dell’11 settembre spiega come, qualora l’attacco fosse stato rivolto ai sistemi informatici di una banca, le conseguenze sarebbero state ancora più disastrose e a lungo termine.

L’adattamento comunicativo di al-Qaeda in questo frangente è risultato quindi essere esplicitamente rivolto a chiunque voglia prendere parte al jihad per ribellarsi alle attuali mancanze dell’attuale sistema politico. Un tentativo del gruppo, inoltre, di ripresa della scena globale in risposta alla “battuta di arresto” di Daesh (come descritta in One Ummah).

Tuttavia, le modalità di reclutamento di al-Qaeda, rispetto al rivale IS, non scelgano un approccio da jihadista-della-porta-accanto o di reclutamento random ma continuino ad incitare la formazione di piccoli o grandi gruppi, la ummah di al-Qaeda, senza spettacolarizzare il jihad ma usando un linguaggio e simbolismo internazionalmente comprensibile, si apre a chiunque.

La lettura di questo fenomeno ha due facce: da un lato un adattamento liquido alla situazione attuale, per fare tesoro del modus operandi di Daesh ed infoltire le fila dei simpatizzanti, dall’altro, un progetto strutturato, complesso e a lungo termine. Probabilmente, un’evoluzione cercata da tempo che, agli occhi di al-Qaeda, ha trovato nei recenti disordini sociali uno spiraglio per concretizzarsi.

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