L’Ucraina in bilico
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L’Ucraina in bilico

By Staff Ce.S.I.
04.27.2014

Il 27 febbraio scorso, il nuovo Governo ucraino, guidato da Arsenij Yatsenyuk e investito dell’autorità dai manifestanti filo-europeisti di Piazza Indipendenza a Kiev ha preso le redini di un Paese ancora turbato da una delle rivolte più imprevedibili e incalzanti che la Storia recente ricordi. Infatti, appena una settimana prima del giuramento del nuovo esecutivo, l’impopolare Presidente ucraino Yanucovich era ad un passo dall’accordo con le opposizioni che da novembre del 2013 avevano infiammato le strade di Kiev. Il patto tra Presidenza e partiti di opposizione, basato sulla volontà di creare un esecutivo di larghe intese che avrebbe traghettato il Paese verso elezioni anticipate, fissate per il dicembre 2014, è naufragato a causa della contrarietà delle forze popolari, ormai incontrollabili e indipendenti dalle indicazioni delle formazioni partitiche parlamentari. Il successivo tentativo di reprimere violentemente le manifestazioni di piazza, sfociato nella guerriglia urbana e  drammaticamente culminato nella  morte di oltre 90 persone, ha fatto precipitare la situazione.

La pessima gestione dell’ordine pubblico a Piazza Indipendenza e l’onda emotiva del “martirio” dei giovani di Euromaidan sono state le cause del tracollo di Yanucovich, responsabile politico e morale della carneficina nonché figura non più difendibile dalle istituzioni. In poche ore, l’ormai ex Presidente è stato abbandonato dal suo Partito dalle Regioni, dalle Forze Armate e di sicurezza e da quegli oligarchi, come Akhmedov e Firtash, che ne in passato, avevano, sostenuto l’ascesa al potere. Lo stesso Presidente russo Putin che, suo malgrado, aveva dovuto appoggiare una  personalità di cui non aveva né eccessiva stima né eccessiva simpatia, ha preferito non difendere Yanucovich pubblicamente, spostando l’attenzione sulla mancanza di legittimità politica di quello che ha definito un golpe “morbido”. La stessa decisone di accogliere l’ex Presidente ucraino sul suolo russo è stata motivata con la necessità di difendere la sua incolumità personale e non con il suo ruolo politico. La coalizione che ha preso il potere in Ucraina è espressione dei rapporti di forza emersi dalle violente proteste di gennaio e febbraio, quando Euromaidan aveva cessato di essere un genuino movimento europeista di giovani ed intellettuali per trasformarsi in una ribellione amorfa e acefala dominata da organizzazioni ultra-nazionaliste extraparlamentari, come Pravdy Sektor (settore Destra), e dalle milizie paramilitari ad esse legate.

Il nuovo Gabinetto di governo ha dimostrato una marcata impronta nazionalista, come testimoniato dall’assegnazione di alcuni ruoli chiave a personaggi espressione dell’ala più conservatrice del panorama politico ucraino. Infatti, sia Yatsenyuk che il neo-Presidente ad interim Oleksandar Turcinov provengono dalla corrente nazionalista dell’Unione pan-UcrainaPatria (UUP), il partito filo-europeo di Yulia Timoshenko e principale avversario del Partito delle Regioni (PR), la formazione filo-russa di Yanucovich. Inoltre, il partito nazionalista Svoboda (Libertà) ha ottenuto il Ministero della Difesa, assegnato al Contrammiraglio Igor Tenyukh, e il Vice-Premierato, affidato a Oleksandr Sych. Come se non bastasse, sulle forze di Euromaidan aleggia lo spettro di aver favorito una sorta di “strategia della tensione”, durante gli scontri a Kiev, volta a facilitare la destituzione di Yanucovich. Infatti, un’intercettazione telefonica tra la Baronessa Cathrine Ashton e il Ministro degli Esteri estone Urmas Paet ha fatto emergere presunti legami tra i partiti e i movimenti anti-Yanucovich e i cecchini che, nel momento più drammatico della guerriglia urbana, hanno colpito le forze di polizia e i manifestanti. Ad inasprire un clima politico già fortemente polarizzato sono state poi le infelici decisioni, da parte del nuovo Governo, di abolire l’obbligatorietà del bilinguismo, ovvero la pariteticità del russo quale lingua nazionale e, soprattutto, di rivedere lo status giuridico e amministrativo di alcune regioni del Paese.

Questi repentini decreti hanno scatenato la violenta reazione di tutta la comunità russa e russofona ucraina, concentrata in Crimea, ad Odessa e nelle regioni orientali attorno alle città di Kharkhiv, Donetsk e Dnipropetrovsk, timorosa di assistere ad un sostanziale ridimensionamento dei propri diritti e del proprio peso politico nazionale. In questo modo, la dinamica della deposizione di Yanucovich si è ripetuta, al contrario, nella Repubblica Autonoma di Crimea, la più filorussa delle regioni ucraine (“regalata” da un Krusciov forse non sobrio all’Ucraina nel 1954), dove i manifestanti hanno occupato i palazzi del potere a Simferopoli ed hanno eletto un nuovo Primo Ministro, il Leader di “Unità Russa” Sergeij Aksyonov. L’effetto “Crimea” ha immediatamente contagiato Odessa e le regioni orientali, dove la popolazione locale ha prima costituito movimenti politici, come il “Fronte Orientale”, e milizie paramilitari e successivamente ha occupato gli edifici amministrativi. Il vento del secessionismo ucraino russofono è motivato da ragioni identitarie, storiche ma soprattutto economiche, visto che le regioni orientali del Paese, la Crimea e Odessa sono legate a doppio filo con il mercato russo, verso il quale esportano prodotti meccanici, agricoli e manodopera specializzata. Inoltre, l’industria motoristica e la cantieristica navale ucraina alimentano il comparto della Difesa russo.

Il serrato confronto tra le 2 anime ucraine è reso ancor più intricato dal ruolo di Russia e Germania, i 2 principali sponsor rispettivamente del fronte Euromaidan e del secessionismo russofono. In particolare, l’immediata e diretta reazione del Cremlino agli eventi di Kiev ha fatto intendere come la presidenza Putin consideri inimmaginabile l’uscita dell’Ucraina dalla propria sfera di influenza. Infatti, oltre alle ragioni economiche accennate in precedenza, Mosca ha interessi strategici in Ucraina, sia di carattere politico, che attengono alla realizzazione dell’Unione Doganale Eurasiatica, sia di carattere militare, con riferimento alla base di Sebastopoli in Crimea, sede della Flotta del Mar Nero e istallazione di vitale importanza per continuare ad avere una presenza nel Mediterraneo. Al momento del golpe “morbido” a Kiev, la Russia ha immediatamente avviato, in parte, la stessa procedura già utilizzata in occasione della Guerra d’Ossezia nel 2008: immediata “passaportizzazione” della comunità locale, conseguente invocazione del diritto di protezione dei cittadini russi all’estero e attivazione di un dispositivo di occupazione sulla base del via libera all’impiego della forza in Ucraina dato dalla Duma al Presidente Putin. Nello specifico, le unità utilizzate dal Cremlino sono state quelle presenti nella base di Sebastopoli: in particolare, i Fanti di Marina della 810ª Brigata che, assieme alle milizie locali, hanno  preso il controllo degli aeroporti, delle vie di comunicazione strategica e degli edifici governativi.

A questa prima componente si sono progressivamente aggiunti paracadutisti della 76ª Divisione e elementi delle forze speciali, quali gli Spesnatz del 45o Detached Reconnaissance Regiment, trasportati attraverso un imponente ponte aereo notturno effettuato da velivoli Il-76. Allo stesso tempo, in concomitanza con l’insediamento del nuovo Governo ucraino, la Russia ha avviato una serie di esercitazioni militari nei distretti Centrale e Meridionale, entrambi confinanti con l’Ucraina. Ciò detto, la volontà di Mosca non sembra orientata ad un’ulteriore escalation del conflitto. Infatti, salvaguardati gli interessi strategici minimi in Crimea, il Cremlino punta semplicemente a negoziare - “alla vecchia maniera”, ovvero agitando l’uso della forza - con Unione Europea e Stati Uniti l’ampiezza e le dimensioni della propria sfera d’influenza nella futura Ucraina.

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