Israele-Hamas: un conflitto inedito che farà la storia
Middle East & North Africa

Israele-Hamas: un conflitto inedito che farà la storia

By Sara Isabella Leykin
10.09.2023

Sabato 7 ottobre, alle 6.30 di mattina, il gruppo palestinese Hamas ha colpito con un attacco a sorpresa per via aerea, marina e terrestre il sud di Israele . La risposta del governo israeliano non si è fatta attendere, bombardando massicciamente la Striscia di Gaza e dichiarando lo stato di guerra, cosa che non succedeva dal 1973. Mentre gli scontri continuano, il conteggio delle persone rimaste coinvolte continua a salire: da una parte il numero di vittime israeliane risulta di 700 persone con 2.382 feriti; dall’altra il Ministero della Salute di Gaza ha dichiarato che io numero di morti è salito a 436 e 2.270 feriti. In aggiunta, circa cento persone, tra cui bambini, donne e anziani, sarebbero stati presi in ostaggio dalle forze di Hamas e portati nella Striscia di Gaza.

Proprio la questione degli ostaggi è la più delicata al momento. La mossa di Hamas di rapire un numero così alto di persone ha complicato qualsiasi risposta da parte israeliana, che si trova altamente in difficoltà. Non sapendo con esattezza quante siano e dove si trovino, Israele rischia di dover entrare nella Striscia di Gaza per attuare un’operazione di terra casa per casa, aumentando le probabilità di perdite e rischiando di rimanere impantanato in una guerriglia urbana a tempo indefinito. A giocare a favore degli israeliani c’è però il fatto che tra gli ostaggi non ci sono solo israeliani , ma anche statunitensi, francesi, tedeschi, nepalesi e thailandesi. Questo però potrebbe ampliare il grado di difficoltà di azione israeliana in quanto non necessariamente tutti gli Stati di appartenenza di queste persone potrebbero sostenere militarmente Tel Aviv nella preparazione di un’operazione terrestre di soccorso.

Israele, che si è trovato completamente impreparato all’attacco da Gaza, si trova quindi ad un bivio. Una prima opzione in risposta all’attacco di Hamas potrebbe portare ad un uso massivo della forza, attraverso bombardamenti e operazioni via terra, che seppur non riuscirebbero a cancellare l’esistenza del gruppo islamico, sicuramente aiuterebbero a ridere un’immagine “forte” di Israele come attore di sicurezza . Una condizione che, anche per questioni di opportunità politica e sociale, potrebbe allontanare buona parte dei Paesi arabi dalle posizioni tendenzialmente moderate nei confronti di Israele per evitare recrudescenze o impatti diretti del conflitto nei loro territori (si pensi a Egitto e Giordania, in primis) oppure forti critiche da parte delle società fortemente identificate con la causa palestinese (Libano e Golfo). Una situazione, quindi, che di fatto potrebbe allentare i tentativi regionali di de-escalation e ricalibrazione delle relazioni. Questo potrebbe essere il caso riguardante il dialogo tra Israele e Arabia Saudita andato in scena – sebbene alcuni rumors giunti da Riyadh sembrerebbero rassicurare circa l’opportunità di tenere in vita il processo bilaterale.

Una seconda opzione, invece, richiederebbe molta più cautela ed è quella che fino ad ora hanno espresso le Forze Armate israeliane, di concerto con il governo: ossia l’adozione di una campagna area per neutralizzare tutte le postazioni di Hamas e dei suoi alleati a Gaza . Un’azione, però, che rischierebbe di colpire anche gli ostaggi sequestrati dall’organizzazione islamica. Questa strategia è motivata da una reale preoccupazione dell’apparato israeliano: l’apertura del conflitto anche con Hezbollah, al nord, e l’apertura di un fronte quasi domestico in Cisgiordania e/o potenzialmente nelle città miste arabo-israeliane. Sebbene, infatti, Hezbollah abbia assicurato al governo libanese che non ha intenzione di partecipare al conflitto, già ieri ha sparato diversi colpi di mortaio contro un radar israeliano vicino alle Sheeba Farms, e alcune persone hanno attraversato il confine. L’entrata di Hezbollah nel conflitto sarebbe una grave minaccia di allargamento dello scenario di conflitto, data la capacità di saturazione missilistica da parte dell’organizzazione libanese che metterebbe ancora più in crisi le capacità difensive israeliane. Nel frattempo, Hamas continuerà a inviare rifornimenti ai gruppi che ancora sono in territorio israeliano e di cui si sono perse le tracce.

Pertanto, la domanda a cui bisognerà rispondere alla fine di questo nuovo conflitto, che già si prospetta durare molto, sarà capire come sia stato possibile che i servizi segreti israeliani non siano riusciti a prevedere questo attacco . Questo enorme fallimento dell’esercito e dei due servizi di intelligence israeliana, lo Shin Bet e il Mossad, è condiviso però con l’intera classe dirigente al potere, che dati gli ultimi mesi caratterizzati dalla prima vera crisi interna del Paese, ha indebolito l’unità nazionale e le capacità dei servizi, dando quindi la percezione ad Hamas di poter sfruttare il momento propizio per colpire al cuore Tel Aviv e le sue certezze.

Al contempo, è innegabile che buona parte della sopravvivenza stessa dell’esecutivo dipenderà anche dalla capacità del Primo Ministro Benjamin Netanyahu di riuscire a ricompattare il fronte interno e di essere in grado di allargare la sua maggioranza a quelle forze dialoganti dell’opposizione (quali i partiti di Yair Lapid e Benny Gantz), potenzialmente interessati a costruire un esecutivo di sicurezza nazionale data la gravità della situazione.

In estrema sintesi, potremmo definire questo conflitto un qualcosa di mai visto in questi termini e forse superiore come impatti , anche psicologici, rispetto allo Yom Kippur del 1973, che lasciò profondi segni nel Paese. Di fatto, una pagina nuova non solo tra Israele e Hamas, ma per l’intero presente e futuro del Medio Oriente.

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