CeSI Update: L’accordo sulle tariffe di Sati Uniti e Cina: tra conseguenze presenti e possibili sviluppi futuri
Stati Uniti e Cina a seguito dell’incontro a Ginevra, avvenuto tra il 10 e l’11 maggio, si sono accordati per un temporaneo reciproco taglio delle tariffe. A tal proposito, Washington ridurrà le tariffe supplementari imposte alle importazioni cinesi nell’aprile di quest’anno al 30% dall’iniziale 145, mentre quelli di Pechino sulle importazioni statunitensi scenderanno al 10% dal 125. Queste nuove misure saranno efficaci per 90 giorni, ma come ha dichiarato il Segretario del Tesoro Scott Bessent l’accordo non includerà tariffe specifiche per settore e che gli Stati Uniti continueranno il riequilibrio strategico in aree come i farmaci, i semiconduttori e l’acciaio, dove hanno individuato vulnerabilità della catena di approvvigionamento. Al tempo stesso, la Cina ha informato che molto probabilmente accelererà l’approvazione delle richieste di licenze legate allo sfruttamento delle terre rare, ma che non le rimuoverà completamente. In particolare, continueranno a rimanere soggette a maggiori controlli e restrizioni le 7 precedenti terre rare (Disprosio, Terbio, Samario, Gadolinio, Lutezio, Scandio, Ittrio) già inserite nella lista di controllo di aprile come parte della ritorsione contro i dazi statunitensi.
L’accordo ha prodotto effetti immediati sul mercato e sul dollaro, i quali hanno registrato un generale rialzo. In merito a ciò, le azioni nei principali mercati hanno vissuto un andamento positivo, mentre l’oro e le valute rifugio sono crollate rispetto al dollaro, attualmente in ripresa. I diversi indici globali si sono avviati verso significativi guadagni giornalieri, come l’indice S&P 500, che ha mostrato una crescita del 2,9% nella mattinata di lunedì 12 maggio. Al contempo, i prezzi dell’oro, che nel mese di aprile scorso hanno raggiunto il massimo storico di 3.500 dollari, e che spesso hanno un andamento inverso rispetto al dollaro, sono scesi di quasi il 3% a 3.231 dollari l’oncia. In questo quadro, è rilevante evidenziare come anche le realtà collegate al settore delle materie prime si sono affrettate a rivalutare i rischi recessivi dell’incertezza tariffaria, con i commercianti di petrolio che hanno quotato il greggio Brent per la consegna nel mese di giugno prossimo a quasi il 4% in più a 66,30 dollari al barile, rispetto ai 57 dollari circa dei primi giorni di maggio. Nello specifico, anche altri mercati hanno registrato rialzi: i prezzi dell’alluminio sono saliti del 2,9% a 2.488 dollari, mentre i futures sul rame scambiati a Londra hanno guadagnato l’1% raggiungendo i 9.462 dollari per tonnellata metrica. Questi prezzi di mercato all’inizio della mattinata statunitense di lunedì 12 maggio hanno mostrato un estremo ottimismo sulla possibilità di evitare una guerra commerciale con la Cina, con gli investitori che hanno trattenuto i titoli di debito pubblico nei propri portafogli, confermando il basso rischio. A tal proposito, il rendimento del Tesoro americano a 10 anni è salito di quasi 9 punti base nella giornata, mentre il prezzo del debito pubblico è sceso, con movimenti quasi identici per i Bund tedeschi.
Seppur entrambi i rappresentanti dei due Paesi si sono mostrati soddisfatti e fiduciosi dell’incontro, è rilevante segnalare come si potrebbe trattare di un temporaneo sollievo. I sostenitori di Trump potrebbero non sostenere un compromesso con la Cina e i dazi statunitensi del 30% potrebbero non essere abbastanza bassi da far evitare ulteriori scontri. Di conseguenza, se da un lato i negoziati tra Trump e Xi hanno portato una ventata di ottimismo, segnando una temporanea distensione nelle tensioni commerciali, dall’altro hanno lasciato dietro di sé un’aria di profonda incertezza riguardo alle prospettive e agli effetti a lungo termine del possibile taglio delle tariffe. Questo clima di ambiguità non è casuale, ma appare come un effetto voluto dagli Stati Uniti, che puntano a mantenere una posizione dominante nel sistema economico globale, pur non rimanendo illesi dalle loro stesse decisioni. Infatti, Washington ha inteso dimostrare la propria capacità di influenzare i mercati, indirizzare le dinamiche economiche internazionali e sfruttare l’instabilità per creare un contesto di pressione strategica sugli attori economici minori, che si trovano costretti a rimanere prudenti, evitando azioni indipendenti e rafforzando così, indirettamente, il ruolo egemonico statunitense. Tuttavia, l’amministrazione Trump si è ritrovata a dover fare un passo indietro dimostrando di non poter mantenere totalmente la sua presa e il suo ruolo di attore singolo che agisce distaccato dal resto. Questa dinamica mette in luce una possibile debolezza da parte dell’attuale presidente statunitense, il quale è dovuto scendere a compromessi, attraverso una negoziazione diretta con i suoi avversari. La Cina, dalla sua parte, potrebbe cercare di capitalizzare sui segnali positivi emersi dai negoziati, nel tentativo di sfruttare i 90 giorni di tregua commerciale per ottenere concessioni più favorevoli, indebolire ulteriormente i tentativi di destabilizzazione statunitensi, o per prepararsi maggiormente agli effetti di lungo termine dell’attuale politica commerciale di Trump.