Catene del valore e raffinazione di materie prime critiche: analisi dell’evoluzione del panorama australiano
Geoeconomics

Catene del valore e raffinazione di materie prime critiche: analisi dell’evoluzione del panorama australiano

By Zoe Adamo
07.23.2025

L’attuale quadro inerente alle materie prime critiche (Critical Raw Materials – CRM) e alle terre rare (Rare earths - REE), in cui pochi attori controllano un’ampia fetta di mercato, evidenzia rilevanti criticità per quanto riguarda la possibilità per il blocco Euroatlantico di riuscire a strutturare delle catene di approvvigionamento che riducano la dipendenza da singoli Paesi. La Cina, ad esempio, controlla una larga parte della catena del valore, soprattutto nella raffinazione, dominando oltre il 70% del mercato, una condizione che in prospettiva futura potrebbe provocare delle tensioni fra la stessa Unione Europea e Pechino.

In questo scenario, sembrerebbe che l’Australia sia destinata ad avere un ruolo di rilievo. In tal senso, il territorio detiene il 35% della produzione mondiale di litio e ne è la seconda riserva al mondo (23%), con grande concentrazione soprattutto nella miniera di Greenbushes, situata nel nord-ovest dell’Isola. Per quanto riguarda le terre rare, invece, il Paese è l’unico produttore significativo fuori dalla Cina (4% del raffinato globale) e le riserve sono concentrate principalmente nella miniera di Mount Weld, nel sud-ovest.

Litio e terre rare non sono però gli unici materiali che offrono grandi opportunità. Canberra è anche un produttore di nichel, di cui detiene il 3% della produzione globale, possedendone le seconde riserve più grandi al mondo, pari a circa il 24%. Un discorso non dissimile può essere fatto anche per il rame e manganese, dove l’Australia contribuisce rispettivamente per il 4% e 15% alla produzione mineraria globale. Inoltre, presenta capacità di produzione e riserve consistenti anche per bauxite, cobalto, grafite, zinco e argento.

A questi dati si possono già aggiungere progetti per rafforzare la capacità di raffinazione. Gli impianti nazionali di Kemerton e Kwinana, raffinerie di litio entrambe situate in Australia Occidentale, rappresentano il principale esempio. Questi ultimi sono considerati elementi chiave che potrebbero portare ad una decuplicazione della capacità di raffinazione della roccia dura di litio rispetto ai livelli attuali. Considerato che la Cina è il produttore dominante di prodotti chimici a base di litio, con il 70% della produzione globale e il controllo del 95% della raffinazione dei minerali di roccia dura, gli sforzi per affrontare questo collo di bottiglia sono cruciali per migliorare la resilienza dell’offerta.

Tuttavia, queste due realtà non sono le sole a rappresentare un importante passo in avanti. Ulteriori piani sono stati sviluppati recentemente, come quello di Eneabba di Iluka Resources sempre in Australia Occidentale, che rappresenta la prima raffineria di terre rare completamente integrata del Paese, e il progetto Nolans di Arafura Rare Earths Limited nel Territorio del Nord, il quale ha una capacità di estrazione e lavorazione di terre rare prevista di 17,5 kilotonnellate all’anno (ktpa) entro il 2027.

In aggiunta ai progetti nazionali, non può essere trascurato come l’Australia abbai ampliato le sue potenzialità anche all’estero. Nello specifico in Malesia, Brasile ed in diverse zone del Continente africano. In Malesia, le terre rare australiane vengono in gran parte lavorate presso l’impianto di Lynas Rare Earths. In Brasile, l’Australia è rappresentata da Meteoric Resources, impegnata nello sviluppo di progetti legati alla produzione di magneti permanenti. In Africa, invece, l’Australia ha consolidato la sua presenza attraverso varie iniziative: in Malawi, una compagnia mineraria junior supportata da Rio Tinto ha avviato lo sviluppo di un giacimento di ilmenite (minerale da cui si estrae il titanio); in Kenya, un consorzio guidato da RareX, in partnership con Iluka Resources, lavora all’avanzamento del giacimento di terre rare di Mrima Hill; infine, in Uganda, Ionic Rare Earths conduce il progetto Makuutu, focalizzato sull’estrazione da argille a adsorbimento ionico, con l’avvio della produzione previsto per il 2026.

Queste industrie sono sostenute da un ingente impegno economico statale. Il Paese ha, infatti, istituito il Fondo Nazionale di Ricostruzione (NRFC) nel 2023, con una dotazione complessiva di oltre 8 miliardi di euro, e il Critical Minerals Facility, con una dotazione totale di circa 2,2 miliardi. A quest’ultime si aggiungono anche Export Finance Australia e Clean Energy Finance Corporation, due entità che rientrano tra i meccanismi di supporto finanziario e offrono prestiti, garanzie e investimenti azionari significativi. A livello normativo lo scenario è principalmente disciplinato dal “Critical Minerals Strategy 2023-2030” che rappresenta la visione strategica del Governo australiano per posizionarsi come leader mondiale nella performance ESG (ambientale, sociale e di governance) nel settore delle materie prime critiche. I quadri normativi previsti da questa strategia mirano a garantire approvazioni ambientali rapide e durature che dovrebbero incorporare anche solide pratiche ESG nelle operazioni minerarie. In secondo luogo, vi è poi il “Future Made in Australia Act 2025” che istituisce significativi incentivi fiscali mirati specificamente agli investimenti nell’idrogeno a basse emissioni e nella lavorazione delle materie prime critiche.

In questo panorama, vanno inoltre segnalati gli investimenti più recenti, concretizzatisi il 14 luglio 2025. A tal proposito, il Primo Ministro australiano Anthony Albanese ha proposto una maggiore cooperazione con la stessa Cina nella produzione di acciaio verde, puntando sull’uso di energie rinnovabili come l’idrogeno, sottolineando al contempo il problema della sovrapproduzione cinese e la necessità di una gestione congiunta dell’eccesso. Tuttavia, la transizione verso l’acciaio verde richiede minerali di grado più elevato: l’Australia, che dispone di risorse di qualità inferiore, dovrà investire in tecnologie pulite per produrre “green iron” e mantenere la propria competitività, con la prospettiva di raddoppiare i ricavi del settore.

Alla luce dei recenti sviluppi, è possibile indicare nell’Australia un attore attivo nel settore, che ha intenzione di affermarsi come alternativa promettente nel cruciale processo di differenziazione tuttora in atto. Nondimeno, nonostante le evoluzioni incoraggianti e le ambizioni condivise, difficilmente potranno registrarsi risultati nel breve termine, data la natura di medio-lungo periodo di questi investimenti e tendenze. Rimane, dunque, insoluto il dilemma principale dei processi di de-risking e de-coupling che riducano l’attuale egemonia cinese, la cui fetta di mercato è oggi troppo ampia per essere erosa velocemente. I tempi di realizzazione dei progetti minerari e industriali, uniti alle barriere infrastrutturali, alla volatilità dei prezzi globali e alle partnership già instaurate rendono difficile qualsiasi sorpasso rapido. L’Australia potrà emergere come un’alternativa almeno parziale a Pechino solo se gli sforzi di investimento e cooperazione continueranno in modo strutturato e sostenibile.