ATLAS Yemen: l’Arabia Saudita annuncia il cessate il fuoco

ATLAS Yemen: l’Arabia Saudita annuncia il cessate il fuoco

By Veronica Conti, Emanuele Oddi and Gianmarco Scortecci
04.09.2020

Afghanistan: I talebani abbandonano il dialogo per lo scambio di prigionieri

Nella notte fra il 7 e l’8 aprile il portavoce dei talebani, Suhail Shaheen, ha comunicato che il gruppo lascerà il dialogo per lo scambio di prigionieri recentemente intrapreso con il governo di Kabul. L’annuncio è giunto dopo che l’esecutivo afghano, guidato dal Presidente Ashraf Ghani, si era rifiutato di liberare quindici prigionieri di alto rango appartenenti al gruppo offrendo, invece, una controproposta sul rilascio di 400 soggetti meno sensibili, giudicata inaccettabile da parte dei talebani.

La decisione del governo risponde al timore che la liberazione dei comandanti talebani potrebbe andare a sbilanciare ulteriormente i rapporti di forza sul campo a favore del gruppo di insorgenza e mettere così in difficoltà Kabul nella gestione del negoziato con la leadership talebana. Il Presidente Ghani ha sempre dichiarato di essere disposto a liberare solo una frazione ridotta dei 5000 prigionieri, il cui rilascio era stato pattuito come primo step per la riconciliazione dagli accordi di Doha, conclusi fra Stati Uniti e talebani il 29 febbraio scorso.

L’attuale fase di avvicinamento al vero e proprio negoziato di pace intra-afghano incontra così un nuovo ostacolo. La battuta d’arresto complica ulteriormente la posizione del Presidente, già impegnato in un difficile processo per la formazione della propria squadra di governo, anch’esso sospeso nel tentativo di raggiungere un compromesso con il principale leader d’opposizione, Abdullah Abdullah.

L’impasse potrebbe ora portare i talebani a sfruttare la titubanza del governo nel dar seguito ai patti di Doha per mettere in difficoltà l’esecutivo agli occhi dell’opinione pubblica e dell’Amministrazione statunitense, che già nelle scorse settimane aveva annunciato un imminente taglio agli aiuti destinati al governo afghano a causa della rivalità tra Ghani e Abdullah. Inoltre, per cercare di forzare la mano il gruppo potrebbe intensificare le attività di insorgenza, ancora in corso a macchia di leopardo in tutto il Paese.

Il margine di manovra a disposizione del gruppo potrebbe essere ampliata anche in seguito all’arresto di Abdullah Orakzai (conosciuto anche con il nome di Aslam Farooqi) leader della branca locale dello Stato Islamico, catturato dalle forze di sicurezza afghane nella provincia meridionale di Kandahar. La capacità operativa della formazione jihadista era diminuita nettamente negli ultimi anni, ma sembrava aver trovato una nuova linfa grazie anche ai militanti fuoriusciti dai talebani a causa della decisione della leadership politica di intraprendere il negoziato con gli Stati Uniti. L’arresto di Farooqi potrebbe portare ad un nuovo indebolimento di Daesh nel Paese e consentire all’insorgenza talebana di tornare a prendere terreno anche in quelle aree in cui era stata momentaneamente tagliata fuori daòla rivalità con la formazione jihadista.

Yemen: l’Arabia Saudita annuncia il cessate il fuoco

Mercoledì 8 aprile, il colonnello Turki al-Malki, portavoce della coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita, ha annunciato una tregua nella guerra in corso in Yemen contro la fazione sciita degli Houthi. Per dare concretezza a tale intenzione i sauditi hanno contestualmente interrotto le operazioni militari. La tregua, per ora unilaterale, dovrebbe durare due settimane a partire da venerdì 9 aprile e, secondo quanto dichiarato da al-Malki, potrebbe prevedere una proroga.

La proposta di tregua rappresenta il passo avanti diplomatico più importante dopo il naufragio dell’accordo di Stoccolma, siglato a dicembre 2018 ma rimasto in gran parte lettera morta. Infatti, già pochi mesi dopo la sigla dell’accordo, sono ripresi scontri su molti fronti tra la coalizione a guida saudita e gli Houthi.

La tregua peraltro si inserisce nella scia di una rinnovata azione diplomatica dell’ONU. Infatti, l’inviato speciale per lo Yemen delle Nazioni Unite, Martin Griffiths, la scorsa settimana aveva già tentato di riprendere in mano le fila dei negoziati usando come leva la necessità di far fronte comune contro il potenziale pericolo della diffusione del coronavirus nel Paese. Infatti, lo Yemen versa da anni in una situazione umanitaria e sanitaria disastrosa, con più di 17 milioni di abitanti a rischio carestia e almeno 2 milioni di casi di colera accertati dal 2016 a oggi.

Al di là dell’emergenza sanitaria, a ben vedere, questo primo passo potrebbe finalmente ravvivare il dialogo tra le fazioni in guerra. Infatti, dall’atteggiamento saudita delle ultime settimane sembra emergere una precisa volontà di negoziare, visto che Riyadh ha più volte ribadito la sua disponibilità a riprendere le trattative con gli Houthi nonostante questi ultimi abbiano continuato i lanci di missili balistici contro le province meridionali e del Regno e la stessa capitale.

Iraq: terzo Premier incaricato in tre mesi

Il 9 aprile Mustafa al-Kazemi, direttore dell’intelligence irachena, è stato nominato Primo Ministro. In seguito alle dimissioni dell’ex Premier incaricato, Adnan al-Zurfi, il Presidente Barham Salih ha conferito un mandato esplorativo a Kazemi, che ora avrà un mese per trovare la maggioranza in Parlamento. Prosegue, quindi, la crisi politica del Paese, iniziata nell’ottobre 2019 con i movimenti di protesta che portarono alle dimissioni dell’ex Premier Abdel Abdul Mahdi il mese successivo.

Le dimissioni di Zurfi e la nomina di Kazemi appaiono come un compromesso raggiunto tra le forze politiche sciite del Paese considerate vicine a Tehran. Difatti, l’avvicendamento è stato concertato grazie alla regia dei più importanti leader politici sciiti, Hadi al-Amiri, Moqtada al-Sadr, Ammar al-Hakim e Nuri al-Maliki, che avevano già espresso la loro contrarietà per la nomina di Zurfi, del 17 marzo, un profilo ritenuto troppo permeabile all’influenza degli Stati Uniti.

Tra i politici che hanno accolto con favore la candidatura di Kazemi, si segnalano anche Mohammed al-Halbusi, guida della principale coalizione sunnita, e Nechirvan Barzani, Presidente della Regione Autonoma del Kurdistan iracheno. Se i vari endorsement fossero confermati, allora Kazemi potrebbe superare lo scoglio del voto di fiducia del Parlamento, forte di circa 178 voti su 329.

Tuttavia, non è scontato che ciò avvenga, poiché gli stessi partiti sciiti che oggi ne sostengono la nomina, negli ultimi mesi hanno accusato Kazemi di essere stato complice degli Stati Uniti nell’uccisione del Generale iraniano Qassem Soleimani e del suo pro-console iracheno Abu Mahdi al-Muhandis il 3 gennaio scorso. Dunque, la convergenza dimostrata dalle forze politiche sciite circa la nomina di Kazemi potrebbe essere una semplice mossa tattica per estromettere dalla partita Zurfi e guadagnare più tempo per trovare un nuovo equilibrio interno al litigioso campo sciita.

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