Lo Stato Islamico sta per essere sconfitto?
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Lo Stato Islamico sta per essere sconfitto?

02.17.2019

La settimana scorsa Donald Trump, in un tweet, ha annunciato la fine imminente di Daesh. Ma è davvero arrivata? L’intervista di Open a Lorenzo Marinone, analista responsabile del Desk Medio Oriente e Nord Africa del Ce.S.I., Centro Studi Internazionali

È dal 2017 che si parla dell’imminente sconfitta dell’Isis. Il 10 febbraio il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva annunciato su Twitter che lo Stato Islamico sarebbe stato spazzato via dalla Siria. Circa una settimana dopo, domenica 17 febbraio, è arrivato un altro annuncio clamoroso, sempre via Twitter: «Vittoria al 100% sul Califfato». Poi un ennesimo tweet, in cui chiede (o forse ordina) agli alleati europei di prendersi carico di circa 800 guerriglieri dell’Isis, prigionieri di guerra, per farli processare in Europa.

Una richiesta, quella di Trump, che solleva il problema del rientro dei foreign fighters, i combattenti dell’Isis partiti per l’Iraq e la Siria da altre parti del mondo, compresa l’Europa. Una volta sconfitto l’Isis porteranno la guerra oltre i confini del Medio Oriente? A porre l’interrogativo è anche la CNN, che nei giorni scorsi ha raccontato le ultime tappe nella battaglia contro l’Isis. La sua interpretazione di quello che sta accadendo in Siria diverge dalla versione di Donald Trump su alcuni punti.

Per la CNN la battaglia è ancora in corso, anche se l’Isis è stata costretta a ritirarsi nel sud-est del Paese. All’inizio del mese le stime dell’esercito americano parlavano di circa 20-30 mila combattenti ancora presenti in Siria. Per chiarire questo tema e capire quanto manca, davvero, alla fine dello Stato Islamico Open ha intervistato Lorenzo Marinone, analista responsabile del Desk Medio Oriente e Nord Africa del Ce.S.I., Centro Studi Internazionali.

È vicina la sconfitta dell’Isis?
«Ci sono molte opinioni discordanti a riguardo. Negli stessi Stati Uniti il Dipartimento di Stato, il Pentagono e la Casa Bianca faticano a delineare una strategia coerente riguardo alla Siria e Daesh. Se intendiamo una sconfitta militare e territoriale tendenzialmente si potrebbe dire che quello che è stato l’Isis è un’esperienza terminata. Questo non vuol dire che Daesh non abbia più una qualche forma di controllo del territorio».

Come fanno i combattenti a controllare il territorio?
«Nel 2018 il gruppo terroristico ha incrementato la capacità di compiere attentati, soprattutto in alcune provincie dell’Iraq. Daesh non è stato sconfitto e per comprenderlo dobbiamo ricordarci cos’è. L’Isis non è nato l’altro giorno: è l’ultima incarnazione di una serie di gruppi, di esperienze salafite jihadiste, prettamente di stampo iracheno. È dal 2004 che esiste in quanto tale, un gruppo attivo in Iraq che all’inizio faceva capo a Zarqawi e che poi, con varie evoluzioni, è diventato lo Stato Islamico. Non è detto che questa sconfitta territoriale sia una sconfitta duratura. In Iraq sta recuperando la capacità operative, soprattutto grazie a una politica efficace di alleanze tribali attraverso matrimoni combinati tra combattenti e determinate famiglie che hanno una forma di controllo sul territorio».

Migliaia di jihadisti sono scappati in Iraq. Che impatto avrà sulla sicurezza del Paese?
«A prima vista questi numeri possono sembrare elevati. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che il confine siro-iracheno è la culla del gruppo. È un posto dove Daesh e le sue precedenti incarnazioni hanno una rete di contatti ancora molto forti. Ci sono figure che sicuramente hanno aiutato questo esodo. Per esempio abbiamo ricominciato a vedere attentati a Baghdad, vediamo delle azioni di Daesh nelle province più grandi dell’Iraq. Parliamo di un’area operativa molto grande che si estende dalla Giordania all’Iran».

Cosa faranno ora questi guerriglieri?
«Bisogna capire come i combattenti dell’Isis scappati dalla Siria verranno impiegati. Se verranno sparpagliati sul territorio a rafforzare le diverse cellule operative, o dislocati in altre zone per raggiungere in tempi più brevi determinati obbiettivi. Trovo piuttosto probabile che Daesh cerchi in questa fase di rafforzarsi, tenendo aperto un largo ventaglio di possibilità di azione. Cercherà di tamponare le perdite e costruire una base per risorgere in larga parte del Paese».

E i finanziamenti?
«Sicuramente l’Isis troverà un modo per continuare a trovare dei fondi. Da molti documenti è emerso come i finanziatori siano spesso privati cittadini provenienti da diversi Paesi, non solo dal Golfo, che tradizionalmente viene indicato come l’area più attiva nel finanziare al-Qaeda o altri gruppi terroristici. Non dobbiamo inoltre dimenticare che soprattutto nel caso siriano ci sono tanti fronti aperti: è un conflitto estremamente variegato. In questa guerra tutte le parti hanno continuato a commerciare con tutti, nessuno escluso»

Non bastano quindi le sconfitte militari per cancellare l’Isis.
«C’è un’economia di guerra che si viene a creare, e anche quando per noi, spettatori occidentali, sembra che il conflitto sia cessato, in realtà l’economia di guerra ha le sue necessità che sono sottese a determinate dinamiche economiche che continuano a permanere. Anche nell’eventualità che si trovi, prima o poi, una soluzione al conflitto, si può pensare di operare un contrasto a queste forme di organizzazione terroristiche solo quando, oltre allo strumento militare, si utilizzano strumenti in ambito sociale, economico e politico. La popolazione, devastata da anni di guerra, molto spesso si rivolgerà a questi gruppi per trovare aiuto, siano questi considerati buoni o cattivi dai media occidentali».

Il ritiro degli Stati Uniti dalla Siria influenzerà questa presunta sconfitta?

«Il ritiro degli Stati Uniti è un’enorme incognita. Non è ancora chiaro come avverrà e con quali tempistiche. È possibile ipotizzare che rimanga comunque una qualche presenza di forze americane con compiti molto specifici. Se non in Siria, sicuramente in Iraq, a ridosso del confine siriano dovrebbero essere nella posizione più adatta a intervenire prima che Daesh riesca a fare un nuovo salto di qualità».

Oltre alle dinamiche legate all’Isis, cosa sta succedendo in Siria?
«Se la situazione in Iraq sembra piuttosto instabile, quella in Siria proprio a causa del ritiro statunitense è ancora più complicata. Da una parte abbiamo Assad, che assieme a russi e iraniani punta a riprendere il controllo della zona a est dell’Eufrate che in questo momento è controllata dai curdi. Ma allo stesso tempo c’è la Turchia di Erdogan che preme da nord, principalmente in funzione anti curda. Sicuramente questo non aiuta a sviluppare una cooperazione nel contrasto a Daesh».

Sul numero dei jihadisti ancora in Siria ci sono numeri contrastanti…
«È difficile dirlo per il semplice fatto che abbiamo avuto delle cifre molto alte, ribadite dal Pentagono negli ultimi mesi. Stime che la stessa Casa Bianca ha abbassato molto nell’ultimo periodo. Il vero problema è che non sappiamo quanti operativi di Daesh siano riusciti a rimanere come cellule dormienti o a infiltrarsi in territori da dove prima erano stati spazzati via. Non sappiamo quanti siano rimasti dentro Raqqa e quanti siano arrivati nella parte occidentale della Siria. Complessivamente temo che il vero problema sia che neanche il Pentagono abbia una risposta convincente o univoca a riguardo».

Fonte: Open