“Addestrati e armati”. I gruppi neonazisti spaventano l’Europa - La Stampa

“Addestrati e armati”. I gruppi neonazisti spaventano l’Europa - La Stampa

08.26.2017

Smantellati campi paramilitari in Germania e in Russia. I miliziani dell’ultradestra istruiti dai separatisti ucraini

La preoccupazione degli analisti e delle intelligence europee all’indomani dello scoppio del conflitto in Ucraina, nell’aprile 2014, è diventata un dato di fatto in meno di due anni. Nutrita dalla crisi economica, dal terrorismo jihadista e dalla paura per i migranti, la rete neonazista occidentale ha infine fatto quel «salto di qualità» tanto temuto ed è passata all’azione armata e all’addestramento militare organizzato.

Il mosaico è stato ricomposto grazie a un verdetto di un tribunale di Göteborg, Svezia: lo scorso 22 luglio sono stati condannati per tentato omicidio e crimini d’odio due uomini, esecutori materiali di un attacco a un centro per richiedenti asilo. Avevano usato bombe artigianali ed erano esponenti dello Svenska motståndsrörelsen, il Movimento di resistenza svedese, fondato negli Anni 90 da alcuni appartenenti al gruppo terrorista Resistenza ariana bianca. Le tracce di Dna prelevate a Göteborg hanno inchiodato i due nazisti anche per un attentato a un centro ricreativo abitualmente frequentato da sindacalisti e per un assalto ad un altro centro per immigrati. Ma la vera sorpresa è arrivata durante la lettura del verdetto: i due condannati non avevano agito di impulso e senza «preparazione», ma erano entrambi stati in Russia, dove avevano partecipato a un campo di addestramento condotto da militari che avevano combattuto tra le file dei separatisti russi in Ucraina. Copione simile per il gruppo neonazista ungherese Maggyar Arcvonal, movimento paramilitare negazionista che propaga l’odio contro ebrei e omosessuali, a cui sei mesi fa è stato sequestrato un arsenale di bombe artigianali e fucili d’assalto, oltre al consueto armamentario di svastiche e simboli nazisti. Anche in questo caso le armi porterebbero dritto a un gruppo di mercenari filorussi. E se è vero che due indizi sono una coincidenza, ma tre fanno una prova, lo smantellamento del campo paramilitare in Turingia, Germania, il 22 giugno scorso, ha convinto le forze di sicurezza europee che il salto di qualità è ormai un fatto compiuto.

Nel blitz - che ha portato all’arresto di 13 persone di diverse nazionalità - sono state sequestrate armi a breve e medio raggio, munizioni e pistole. La polizia tedesca ha spiegato che «è stata sgominata un’organizzazione criminale sospettata di istituire campi di addestramento paramilitare» nelle foreste della regione. «Le persone arrestate sono membri di un movimento estremista attivo a livello internazionale». La rete scoperta nelle foreste della Turingia sarebbe collegata al gruppo Europäische Aktion, fondato nel 2008 da uno svizzero noto per le sue teorie negazioniste.

Secondo la Fondazione Amedeu-Antonio di Berlino, nel 2016 in Germania sono stati registrati 23 mila reati di stampo neonazista. Per i servizi di sicurezza i neonazisti possono contare su circa 22 mila militanti, 7 mila dei quali appartengono a piccoli gruppi e cellule clandestine. I servizi segreti tengono attualmente sotto osservazione 25 «lupi solitari», considerati come potenzialmente pericolosi e sospettati di voler organizzare attentati terroristici.

Oltre alla Germania, tra i Paesi in cui il neonazismo ha trovato terreno fertile ci sono soprattutto la Scandinavia e gli ex sovietici: «Il fenomeno del salto militare, con i campi di addestramento in Russia, sta crescendo - spiega Øyvind Strømmen, analista di Oslo, esperto di movimenti di estrema destra -. Sembra di assistere allo stesso processo che si osservò durante la guerra nei Balcani. Negli Anni 90 era lì che si addestravano i miliziani dell’ultradestra, oggi c’è l’Ucraina. Teatri perfetti per far crescere in sicurezza e preparazione i neonazisti scandinavi, molti dei quali sono andati a combattere anche in Siria, accanto a curdi». Il potenziale di violenza, secondo Øyvind Strømmen è enorme: «I numeri sono ancora bassi, ma i miliziani addestrati in Ucraina tornano nei rispettivi Paesi con un esperienza militare e una fiducia nelle azioni armate estremamente solide».

Le ultime operazioni di polizia mostrano due dati preoccupanti: l’organizzazione sistematica di una rete paramilitare e il legame diretto con le milizie filorusse. Il motivo per cui Mosca dovrebbe sostenere forze neonaziste, per gli analisti potrebbe essere un sistema per radicalizzare la politica di alcuni Paesi puntando sui movimenti paramilitari più vicini alle posizioni euroasiatiche, in opposizione all’asse euro-atlantico. Secondo un rapporto del think tank ungherese Political Capital, ad esempio, il sostegno di Mosca all’ormai partito ufficiale Jobbik non è in dubbio come non lo è il sostegno al Fronte Nazionale Ungherese 1989, il cui campo di addestramento era finanziato da Putin. Si tratterebbe solo di un esempio della «radicalizzazione sostenuta dal Cremlino fra i movimenti estremisti in Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia».

La nascita di questi «foreign fighter» di estrema destra «coincide con la crisi in Ucraina - spiega Marco Di Liddo, analista del Centro Studi internazionali di Roma -. Il conflitto, a causa del suo carico simbolico, ha portato a una polarizzazione tra pro europeisti e anti europeisti, e tra pro russi e anti russi, ed ha mobilitato tutti quei gruppi che hanno nella loro agenda questi poli ideologici. Foreign fighter europei con retoriche identiche ma opposte si sono schierati nei combattimenti, divisi tra filorussi e anti russi». Qui l’ideologia politica centra poco: «Putin con il comunismo e la cultura di sinistra non ha niente a che fare, è un “rossobruno” con pilastri del nazionalismo. Per questo è diventato un faro per tutti i movimenti di destra, anche quelli istituzionalizzati come Jobbik e Front National». Di Liddo ricorda la contemporaneità di più fattori: crisi economica, emergenza profughi, crisi ucraina. «Per ora il vero pericolo è che la retorica estremista sta contagiando i partiti istituzionalizzati. E il vero problema è l’effetto domino di violenza che contagia più parti della società».

Fonte: La Stampa