Sicurezza spaziale e debris warfare: la minaccia strategica dei detriti orbitanti
Difesa e Sicurezza

Sicurezza spaziale e debris warfare: la minaccia strategica dei detriti orbitanti

Di Cristina Di Silvio
17.10.2025

La progressiva militarizzazione dello spazio e l’aumento incontrollato dei detriti orbitali (space debris) rappresentano oggi una minaccia strutturale alla stabilità globale. Negli ultimi vent’anni, lo spazio è diventato un ambiente sempre più strategico, dove attività civili, commerciali e militari si intrecciano e coesistono in un equilibrio estremamente delicato. Questo intreccio ha reso le orbite terrestri un dominio critico e vulnerabile per la sicurezza nazionale, esposto a nuove forme di minaccia. In questo contesto, prende forma un fenomeno ancora poco normato ma già rilevante: il debris warfare, ovvero l’impiego intenzionale o opportunistico dei detriti spaziali come strumento di conflitto non convenzionale. Questa dinamica solleva interrogativi urgenti sul piano della governance internazionale, della sostenibilità delle attività spaziali e della capacità di resilienza delle infrastrutture orbitali.

Il problema dei detriti spaziali non è teorico, ma concreto e crescente. Secondo i dati più recenti forniti dallo Space Surveillance Network e confermati dal catalogo dello U.S. Space Command, attualmente orbitano intorno alla Terra oltre 36.000 oggetti con dimensioni superiori ai 10 centimetri, a cui si aggiungono circa un milione di frammenti compresi tra 1 e 10 cm e decine di milioni di microdetriti più piccoli di un centimetro. La loro origine è varia: collisioni involontarie tra satelliti, esplosioni di razzi, malfunzionamenti in orbita, test antisatellite (ASAT) e operazioni condotte in assenza di coordinamento internazionale. Anche i frammenti millimetrici, sebbene minuscoli, possono risultare letali a causa della velocità orbitale (oltre 28.000 km/h) con cui viaggiano. L’energia cinetica di un impatto a queste velocità può compromettere in modo irreparabile un satellite operativo. La storia recente fornisce esempi chiari dei rischi concreti connessi alla congestione orbitale. La collisione tra il satellite russo Cosmos-2251 e l’americano Iridium-33 nel 2009 ha generato oltre 2.300 frammenti tracciabili, mentre il test antisatellite condotto dalla Cina nel 2007 contro il proprio satellite Fengyun-1C ha prodotto più di 3.000 oggetti catalogati e un numero imprecisato di detriti non tracciabili. Molti di questi restano tuttora in orbita, alimentando il timore di un effetto domino noto come sindrome di Kessler, secondo il quale una sequenza di collisioni incontrollate potrebbe rendere inaccessibili intere fasce orbitali per decenni.

In questo scenario si inserisce il concetto di debris warfare, che non si configura ancora come una dottrina codificata, ma come una strategia emergente. Consiste nell’uso diretto o indiretto dei detriti orbitali, esistenti o generati ad hoc, per ostacolare o danneggiare le capacità spaziali di un avversario. Le modalità sono diverse. Alcuni attori possono deliberatamente generare detriti attraverso test ASAT mirati alla distruzione di assetti critici, con conseguenze destabilizzanti sull’ambiente orbitale circostante. Altri possono sfruttare i detriti già presenti per creare scenari di minaccia ambigui o incidenti non attribuibili, rendendo difficile distinguere tra eventi accidentali e attacchi deliberati. Queste tattiche, fondate sull’ambiguità e la saturazione, offrono vantaggi asimmetrici: consentono di colpire infrastrutture spaziali senza esporsi apertamente al rischio di ritorsioni o alla responsabilità internazionale. Le potenziali vittime di tali operazioni sono soprattutto i sistemi dual-use, come i satelliti per comunicazioni, navigazione, osservazione e intelligence, su cui si basano sia le funzioni civili sia le operazioni militari moderne.

Lo spazio, infatti, è oggi un elemento imprescindibile per le capacità di difesa e proiezione strategica di qualsiasi Stato. Funzioni chiave come l’early warning missilistico, il comando e controllo, le comunicazioni sicure, la navigazione globale e la sorveglianza ISR (Intelligence, Surveillance, Reconnaissance) dipendono da assetti collocati in orbite specifiche (LEO, MEO e GEO) che risultano esposti a rischi crescenti. Le principali potenze spaziali come Stati Uniti, Cina e Russia hanno integrato la dimensione spaziale nelle rispettive strategie militari. Washington ha istituito lo U.S. Space Command e la U.S. Space Force, con l’obiettivo di garantire la space superiority, mentre Pechino concepisce lo spazio come un’estensione del conflitto informatizzato, integrato con i domini cibernetico ed elettromagnetico. L’Unione Europea e l’Agenzia Spaziale Europea (ESA), pur sviluppando capacità autonome di Space Situational Awareness (SSA), si confrontano con una frammentazione decisionale tra Stati membri e con una dipendenza tecnologica da attori esterni, che ne limita l’efficacia strategica complessiva.

Sul piano normativo, il quadro giuridico internazionale appare inadeguato rispetto alle sfide attuali. Il Trattato sullo Spazio Extra-Atmosferico del 1967 vieta il posizionamento di armi di distruzione di massa nello spazio, ma non disciplina in modo dettagliato le attività militari non convenzionali, l’uso di tecnologie dual-use o la gestione dei detriti. Le Linee guida UNCOPUOS sulla mitigazione dei detriti rappresentano strumenti di soft law, privi di valore vincolante. Inoltre, non esiste un meccanismo giuridico efficace per l’attribuzione delle responsabilità in caso di danni causati da detriti spaziali, lasciando spazio a comportamenti opportunistici da parte di attori emergenti o privati, che potrebbero sfruttare la congestione orbitale come leva geopolitica o strumento di sabotaggio.

In parallelo, si osserva un’intensa attività sul fronte tecnologico, orientata sia alla mitigazione sia alla difesa. Le contromisure si articolano in tre grandi aree: la Active Debris Removal (ADR), che prevede lo sviluppo di sistemi robotici o laser per la cattura e la deorbitazione controllata dei detriti; il tracciamento avanzato, con l’uso di radar ad alta risoluzione e intelligenza artificiale per prevedere le traiettorie; e l’autoprotezione satellitare, attraverso manovre evasive automatizzate, schermature cinetiche e architetture di sistema ridondanti. Tuttavia, molte di queste tecnologie sono intrinsecamente dual-use: lo stesso satellite dotato di un braccio robotico per rimuovere detriti può essere impiegato per disabilitare assetti avversari. In assenza di trasparenza e di meccanismi di verifica reciproca, queste innovazioni rischiano di alimentare una corsa agli armamenti nello spazio, anziché rafforzare la sicurezza collettiva.

Alla luce di questi sviluppi, diventa prioritario costruire una forma credibile di deterrenza spaziale, basata su difesa attiva, resilienza infrastrutturale e su un nuovo quadro normativo multilaterale, vincolante e condiviso, in grado di scoraggiare l’uso intenzionale dei detriti come arma strategica.

In questo contesto, l’Italia può esercitare un ruolo di primo piano nel panorama europeo. La presenza di una filiera industriale avanzata, con aziende come Leonardo, Thales Alenia Space e Avio, e di programmi di eccellenza come PRISMA, per l’osservazione iperspettrale della Terra, dimostra una capacità operativa matura. La partecipazione italiana al sistema SSA europeo rafforza il contributo nazionale alla sorveglianza e alla mitigazione dei rischi orbitali. A livello politico, l’Unione Europea potrebbe farsi promotrice di una nuova convenzione internazionale sulla sicurezza spaziale, che preveda obblighi di trasparenza, responsabilità oggettiva per i danni provocati dai detriti e meccanismi sanzionatori multilaterali. L’istituzione di un organismo internazionale con mandato operativo e poteri sanzionatori, dedicato alla sorveglianza della compliance spaziale, potrebbe rappresentare un passo decisivo verso una governance più efficace e stabile.

Lo spazio è oggi un dominio conteso, vulnerabile e sempre più decisivo per gli equilibri internazionali. Il debris warfare incarna una minaccia silenziosa ma potenzialmente devastante, capace di compromettere non solo la sicurezza militare, ma anche l’integrità delle infrastrutture civili, l’economia globale e l’accesso allo spazio per le future generazioni. Senza una risposta coordinata, tanto politica quanto tecnologica, il rischio è quello di trasformare le orbite terrestri in campi minati invisibili, che ostacolerebbero in modo irreversibile lo sviluppo pacifico dello spazio. Affrontare questa sfida non è solo un compito ingegneristico, ma un’urgenza geopolitica e sistemica. Occorre agire ora, con lungimiranza, responsabilità e spirito di cooperazione internazionale, per preservare lo spazio come bene comune dell’umanità.

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