Il Presidente siriano al-Sharaa all’Assemblea ONU
Medio Oriente e Nord Africa

Il Presidente siriano al-Sharaa all’Assemblea ONU

Di Alice Balan
26.09.2025

Il 24 settembre, in occasione dell’80a sessione plenaria dell’Assemblea, il Presidente siriano Ahmad al-Sharaa è intervenuto alle Nazioni Unite, a distanza di quasi sessant’anni dall’ultima partecipazione di un rappresentante di Damasco. La presenza di al-Sharaa potrebbe simboleggiare un ulteriore passo verso il riconoscimento internazionale del suo governo, insediatosi nel gennaio 2025 a seguito della destituzione di Bashar al-Assad. I principali motivi di preoccupazione riguardanti il nuovo esecutivo siriano attengono sia al passato di militanza jihadista del Presidente e della sua organizzazione di riferimento (HTS – Hayat Tahrir al-Sham), sia alle politiche islamiste, conservatrici e repressive adottate sin dal suo insediamento.

L’ascesa di al-Sharaa è avvenuta nel dicembre 2024, dopo circa vent’anni di conflitto tra i ranghi delle principali sigle terroristiche regionali legate ad al-Qaeda e allo Stato Islamico, quando un’improvvisa offensiva ribelle ha portato alla caduta di Damasco e alla fuga di Assad. HTS, una delle principali componenti del fronte di opposizione, ha beneficiato di un contesto regionale favorevole, segnato dall’indebolimento del cosiddetto “Asse delle Resistenza” (Iran, Siria, Hezbollah, milizie irachene, Hamas e Houthi) dovuto al conflitto tra quest’ultimo e Israele. La vittoria di HTS sarebbe stata favorita anche grazie al supporto, diretto o indiretto, di Israele, del Regno Unito, degli Stati Uniti, di Francia e Turchia, interessati a far collassare il vecchio regime alauita.

Lo stesso al-Sharaa aveva già incontrato il Presidente statunitense Donald Trump lo scorso maggio a Riad, ottenendo la promessa della normalizzazione dei rapporti con la Casa Bianca e della sospensione delle sanzioni.

Il Presidente siriano ha chiesto in sede ONU la totale revoca delle sanzioni, indispensabile per la ricostruzione di un Paese ancora, di fatto, devastato dalla guerra civile. È importante sottolineare poi il complesso rapporto con Israele, che ha occupato alcune aree nella zona cuscinetto nel sud della Siria, vicino alle alture del Golan, e ha condotto attacchi mirati contro alcune zone siriane per proteggere la popolazione drusa dagli assalti di milizie beduine protette dall’esercito regolare. Al-Sharaa ha dichiarato di voler riaprire i negoziati sulla sicurezza per arrivare a un ritiro israeliano e al ripristino dell’accordo di disimpegno del 1974, siglato dopo la guerra del Kippur. Da parte sua, il Primo ministro israeliano Netanyahu ha minimizzato le possibilità di una svolta a breve termine.

Un inviato statunitense di alto rango ha affermato però che Siria e Israele sarebbero vicini a un accordo di de-escalation, per il quale Israele cesserebbe i suoi attacchi mentre la Siria accetterebbe di non spostare armamenti vicino il confine. Sarebbe il primo importante passo verso le trattative tra i due Paesi da sempre nemici.

Nel frattempo, Damasco ha annunciato che il 5 ottobre si terranno le prime elezioni parlamentari dall’avvento del nuovo regime. Tuttavia, i membri dell’Assemblea popolare non saranno eletti direttamente dai cittadini: due terzi saranno scelti da comitati elettorali, mentre il restante sarà nominato direttamente dal Presidente.

Lo scorso marzo è stata adottata una Costituzione provvisoria che concentra il potere nelle mani del Capo dello Stato. Pur garantendo formalmente libertà di opinione, espressione e stampa, le minoranze restano preoccupate per la tutela dei loro diritti politici e civili. Senza un cambio reale della politica interna, il rischio di nuove radicalizzazioni rimane elevato. Lo scorso marzo, ad esempio, gruppi vicini ad all’ex regime hanno compiuto un attacco contro le forze governative a Jableh, uccidendo 13 soldati. L’offensiva ha innescato ulteriori violenze e una dura repressione da parte di Damasco, con oltre un migliaio di vittime civili.

A New York, al-Sharaa è sembrato determinato a consolidare la propria immagine di statista pragmatico e garante dell’unità nazionale. La tenuta del nuovo regime resterebbe però incerta: le potenze occidentali chiedono garanzie per le minoranze, fondamentali per l’allentamento diplomatico. L’iniziativa congiunta di Arabia Saudita e Qatar, che prevede 89 milioni di dollari di supporto attraverso il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, segnalerebbe una prima apertura regionale, ma resta ancora da vedere se Damasco saprà trasformare questa fase in un processo di stabilizzazione duraturo e condiviso.