Cosa ci ha insegnato l’attacco terroristico di Nizza
Terrorismo e Radicalizzazione

Cosa ci ha insegnato l’attacco terroristico di Nizza

Di Denise Morenghi
29.10.2020

Durante la mattinata di giovedì 29 ottobre un uomo armato di coltello ha scatenato il panico nella Cattedrale Notre-Dame di Nizza, aggredendo i fedeli e uccidendo tre persone, di cui una attraverso decapitazione. Nel corso della stessa giornata sono seguiti altri tentativi di attacchi terroristici: un uomo armato di coltello ha ferito la guardia del Consolato francese di Gedda, in Arabia Saudita e, poco dopo, un individuo ha aggredito gli agenti di polizia in strada ad Avignone con un’arma da fuoco, al grido di “Allah Akbar”; per difendersi, gli agenti hanno sparato all’uomo, uccidendolo. Nel tardo pomeriggio a Lione è stato arrestato un uomo di origini afghane che portava con sé un coltello. Infine, un giovane è stato arrestato a Sartrouville, quartiere a nord di Parigi, dopo l’allerta sollevata dal padre alle autorità. Il ragazzo si trovava nei pressi della chiesa di Saint Martin e aveva minacciato di voler emulare l’attentato di Nizza.

La simultaneità degli eventi potrebbe spingere a delineare quanto avvenuto come un’azione coordinata su vari fronti e organizzata da un nucleo centrale, secondo un modus operandi già visibile con al-Qaeda e poi proseguita anche con Daesh negli attentati perpetrati in Europa tra il 2015 e il 2016. Tuttavia, un’analisi più approfondita del contesto domestico francese e, in coincidenza, internazionale, specialmente attorno al tema dell’islamismo radicale, tornato centrale nell’ultimo periodo, fornirà un quadro di riflessione di maggior puntualità, rendendo visibili importanti traiettorie di cambiamento.

Gli attacchi del 29 ottobre hanno colpito la Francia, Paese già traumatizzato da numerosi attentati di matrice jihadista negli ultimi anni: a partire dall’attentato alla redazione della rivista satirica Charlie Hebdo del gennaio 2015, passando per gli attacchi di Parigi del 13 novembre 2015, fino ad oggi, la Francia negli ultimi cinque anni conta circa 250 morti a causa di attentati. Gli ultimi mesi, inoltre, rappresentano un momento particolarmente delicato e caratterizzato da maggiore attenzione attorno alla questione, a causa del verificarsi di una serie di attacchi e il conseguente ritorno del tema al centro del dibattito pubblico. Il 26 settembre 2020 un ragazzo di origine pachistana armato di mannaia ha ferito dei passanti nei pressi della vecchia redazione di Charlie Hebdo a Parigi, con l’obiettivo di vendicare la ripubblicazione delle vignette rappresentanti il profeta Maometto in modo satirico. Il 16 ottobre Abdoullakh Abouyedovich Anzorov, un ragazzo di origine cecena residente in Francia da più di dieci anni, ha decapitato Samuel Paty, professore di educazione civica a Conflans-Sainte-Honorine, nella periferia di Parigi. Paty, durante una lezione sulla libertà d’espressione, aveva mostrato ai suoi studenti le vignette satiriche della rivista Charlie Hebdo in cui il profeta Maometto veniva ritratto nudo, indignando alcune frange della comunità musulmana francese e causando un certo fermento sui social network, anche da parte, ad esempio, di Abdelhakim Sefrioui, islamista noto alle forze dell’ordine francese per l’avanzamento di ideali radicali, che avrebbe descritto Paty come un “delinquente”. È proprio attraverso le reti social che Anzorov è venuto a sapere di quanto accaduto durante le lezioni di Paty, agendo poi individualmente.

L’impatto della decapitazione di Paty sull’opinione pubblica francese è stato immenso, provocando enormi manifestazioni popolari nonostante le restrizioni anti-covid: ad essere colpita è stata l’istituzione repubblicana per eccellenza, la scuola. Coerentemente, la reazione delle autorità è stata senza precedenti e caratterizzata da grande fermezza, con una maggiore stretta sulle misure del cosiddetto estremismo islamico nel Paese. Sono state effettuate dozzine di raid da parte delle forze di polizia, espulsioni di 231 individui, non necessariamente legate agli eventi del 16 ottobre, e la moschea di Pantin, nella periferia nordest della capitale, è stata chiusa per aver pubblicato un video contro il professore prima dell’omicidio. Inoltre, 51 organizzazioni di stampo islamico saranno sciolte dalle autorità francesi, come il Collettivo contro l’Islamofobia in Francia (CCif) e l’ONG BarakaCity, un’associazione di beneficienza islamica attiva in 26 Paesi.

I provvedimenti vanno inseriti nel più ampio contesto attuale in Francia: a inizio ottobre, dopo aver descritto l’Islam come una religione in crisi, il Presidente francese Emmanuel Macron ha varato la Legge Darmanin-Schiappa, volta a sradicare il “separatismo islamico” dal Paese, attraverso lo sviluppo di un “Islam illuminato di Francia”, compatibile con gli ideali repubblicani e libero da ingerenze straniere. Questo specialmente attraverso un controllo più stringente sull’istruzione, con chiari riferimenti a quella offerta da centri islamici, sulle moschee, con il divieto di finanziamenti stranieri, e sulle figure degli imam, che non potranno più essere “importati” da Paesi esteri e dovranno seguire una sorta di statuto che verrà redatto da una commissione specifica. Macron ha inoltre sottolineato la responsabilità dello Stato nella costruzione dei propri separatismi, attraverso la concentrazione delle popolazioni interne allo Stato francese in funzione delle loro origini, senza sufficiente mescolanza né mobilità socioeconomica. Il discorso del Presidente francese getta luce su un problema che sta alla base della radicalizzazione islamista nel Paese: la mancanza di integrazione e la marginalizzazione, anche fisica, delle comunità immigrate. A livello di politica interna, la stretta può essere letta come un tentativo, da parte di Macron, di guadagnare il favore dell’estrema destra in vista delle prossime elezioni; questo, tuttavia, a scapito della coesione della società francese, peraltro già frammentata e lacunosa.

Infatti, per i musulmani di Francia, che rappresentano oltre il 10 per cento della popolazione e costituiscono la più grande comunità musulmana d’Europa, la legge rappresenta un potente strumento di discriminazione, oltre che di creazione di facili confusioni tra Islam e terrorismo di matrice jihadista. Questa visione è stata corroborata dai commenti fatti da Macron riguardo alle vignette satiriche rappresentanti Maometto, descritte dal Presidente come parte fondamentale della libertà d’espressione francese. Secondo le maggiori scuole giuridiche del diritto islamico sunnita, tuttavia, rappresentare il profeta Maometto in ogni sua forma è vietato: rappresentarlo utilizzando toni satirici è dunque del tutto oltraggioso per l’Islam.

Le reazioni in questo senso non si sono limitate alla comunità musulmana francese, ma sono arrivate da tutto il mondo arabo e islamico. Moltissime voci si sono alzate per condannare la decapitazione di Paty, aggiungendo tuttavia che le misure intraprese da Macron sono evidentemente razziste. Ad esempio, l’università Al-Azhar del Cairo, tra le più influenti istituzioni islamiche, ha pubblicato un comunicato condannando l’omicidio di Samuel Paty, ma richiedendo l’adozione di una legge mondiale contro la diffamazione delle religioni e dei loro simboli sacri, con un riferimento chiaro alle vignette di Maometto. Sulla stessa linea si è collocato il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan il quale, utilizzando l’ormai consueta retorica populista, ha sfruttato l’onda della disputa per soddisfare le proprie ambizioni di natura politica. Queste ultime si collocano in due dossier, che si incrociano nella questione dell’Islam in Francia: il primo relativo alle frizioni tra Turchia e Francia, visibili preminentemente attorno alla partita del Mediterraneo Orientale; il secondo, legato all’ambizione di Erdogan di ergersi a leader del fronte sunnita globale e protettore dei musulmani sunniti sempre più vittimizzati. Per quanto concerne questo punto, la reazione di Erdogan si colloca anche nella volontà del Presidente turco di non lasciare ad al-Azhar il monopolio del fronte musulmano nella questione. Al contempo, impugnare la questione in modo saldo ha vantaggi considerevoli per Erdogan anche per la sua politica interna: in un momento di estrema precarietà economica in cui la Turchia, peraltro, è implicata in molti conflitti esteri, una questione religioso-identitaria può essere un eccellente diversivo per distrarre l’opinione pubblica. Così, dopo aver avanzato dei dubbi sulla sanità mentale del Presidente francese in riferimento alla questione delle vignette di Charlie Hebdo, ritenute islamofobe, Erdogan ha paragonato i musulmani in Europa agli ebrei durante l’Olocausto, invitando i suoi concittadini al boicottaggio dei prodotti francesi. L’eco delle parole del Presidente turco non si è fermato ai confini nazionali, ma ha travolto gran parte dei Paesi a maggioranza musulmana (non esclusivamente sunnita), dal Bangladesh alla Somalia, dal Libano alla Malesia, dall’Egitto al Mali fino all’Iran, dove la Guida Suprema Ali Khamenei ha descritto la difesa delle vignette da parte di Macron come “un atto stupido”, aggiungendo: “Libertà di espressione significa insultare, specialmente nel caso di un personaggio sacro?”. In tutto il mondo islamico sono scoppiate proteste antifrancesi in cui i manifestanti hanno bruciato fotografie di Macron, spesso rappresentato con connotati simili a quelli di Adolf Hitler, e si sono alzate le voci di leader politici e religiosi, espressione di forti critiche rivolte al Presidente francese per le complicate relazioni con i suoi cittadini musulmani e con gli Stati post-coloniali sorti in seguito alla fine dei mandati coloniali francesi. In moltissimi Paesi a maggioranza musulmana si è inoltre reso visibile il boicottaggio dei prodotti francesi invocato da Erdogan, a dimostrazione che esiste terreno fertile per tumulti irrazionali che potrebbero provocare altre azioni come quelle osservate il 29 ottobre.

Alimentando lo scontro con la comunità musulmana, e con le spinte che arrivano dalla Turchia, la Francia rischia di creare un’atmosfera favorevole a quel tipo di estremismo che è causa di terribili attentati. In questo modo, una disputa essenzialmente ideologica, legata alla presunta inconciliabilità tra Islam e laicismo “alla francese”, viene sfruttata, come spesso accade, per fini politici su più fronti, nazionali e internazionali, a scapito non solo della coesione sociale, come già detto, ma anche della stessa sicurezza nazionale francese: quello che si sta rendendo via via più visibile è un ulteriore passaggio da un terrorismo organizzato, con attacchi coordinati e pianificati da un gruppo unico, come era al-Qaeda e, in parte, lo Stato Islamico, per esempio per l’azione al Bataclan, finalizzati a uccidere un alto numero di persone in modo spettacolare, ad un’evoluzione definitiva verso il cosiddetto “jihadismo d’atmosfera”. Si tratta di una logica impiantata nell’immaginario del radicalismo islamista dalla dialettica dello Stato Islamico, che trova la sua radice in una concezione della religione portata all’estremo, a cui vari individui singoli aderiscono in modo assoluto e dogmatico. Spesso si tratta di individui che vivono in Europa anche da molti anni, i quali si avvicinano ad un ideale religioso radicale anche attraverso i social network, i quali potrebbero essere incoraggiati dal clima di tensione generale interpretato come contrario all’Islam per agire in modo incontrollato. Questo genere di terrorismo non è finalizzato a mietere un alto numero di vittime, quanto piuttosto a traumatizzare la società europea, ed è più difficile da combattere a causa della sua caratteristica individualistica. I recenti fatti in Francia dimostrano che questo processo si è definitivamente evoluto e non ha più bisogno della cassa di risonanza ideologica dello Stato Islamico. Infatti, nonostante la sconfitta territoriale di Daesh, rimane forte la possibilità di utilizzare il radicalismo “prêt-à-porter” da parte di individui singoli che non devono necessariamente portare a compimento un processo di radicalizzazione complesso.

Il caso di Brahim Aoussaoui, l’attentatore di Nizza, d’altro canto, ha portato alla luce un ulteriore minaccia, proveniente dai profondi cambiamenti avvenuti nei traffici di esseri umani nel Mediteraneo nel corso dell’ultimo anno e mezzo. L’apertura della tratta tunisina, che utilizza non gommoni alla deriva, ma imbarcazioni in grado di attraversare facilmente il tratto di mare che divide le coste tunisine dall’Italia, è diventato un canale di entrata in Europa, sia per i cosiddetti “sbarchi fantasma”, cioè sbarchi non registrati dalle autorità italiane poiché avvengono su spiagge remote, sia per arrivi nei centri di raccolta dei migranti. Brahim Aoussaoui sarebbe partito con una piccola imbarcazione con altre venti persone dalla Tunisia alla volta di Lampedusa, dove sarebbe sbarcato lo scorso 20 settembre, in una giornata con un numero di sbarchi straordinario per l’Italia, pari a 667 persone. Al suo arrivo è stato indagato dalla Procura di Agrigento per immigrazione clandestina. Dopo aver trascorso la quarantena sulla nave Rhapsody, l’8 ottobre Aoussaoui è stato trasferito ad un centro per migranti a Bari, dove il 9 ottobre Aoussaoui ha ricevuto il decreto di respingimento dal territorio nazionale, da eseguire entro una settimana. Tuttavia, a fronte della complessità delle procedure previste per il rimpatrio dagli accordi Italia-Tunisia, rallentate ulteriormente in tempo di Covid, il ragazzo, in libertà fino al rimpatrio, ha raggiunto in maniera clandestina la Francia, come sarebbe stato intenzionato a fare fin dall’inizio, secondo gli altri migranti a bordo della Rhapsody.

Alla luce del poco tempo intercorso tra l’arrivo in Europa di Aoussaoui e l’attentato da lui compiuto, rimane difficile ipotizzare un processo di radicalizzazione avvenuto solo ed esclusivamente dopo la sua partenza dalla Tunisia. Dunque, non si può al momento escludere che con l’apertura di nuove tratte dei migranti, queste possano essere utilizzati anche da elementi che, afferenti o meno ad una struttura organizzata, possano voler entrare in Europa per compiere attentati terroristici.

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