Tunisia: nuove proteste sull’onda emotiva della Rivoluzione
Medio Oriente e Nord Africa

Tunisia: nuove proteste sull’onda emotiva della Rivoluzione

Di Lavinia Pretto
21.12.2021

Negli ultimi giorni migliaia di tunisini si sono riversati nelle strade della Capitale portando avanti due distinte manifestazioni, una a favore e una contro le politiche del Presidente della Repubblica Kais Saied. Ad esacerbare le tensioni, è stato l’annuncio dello stesso Saied di estendere la sospensione dei lavori del Parlamento fino alle prossime elezioni, che dovrebbero tenersi nel dicembre 2022. Il Presidente ha poi definito un piano ben strutturato che il Paese dovrebbe seguire per uscire dalla crisi politico-istituzionale, prevedendo la stesura di una nuova Costituzione anche attraverso una consultazione pubblica nazionale. La scelta di date simboliche a scandire questa nuova fase di transizione democratica del Paese dimostrano altresì un’attenzione particolare sia rispetto alle disposizioni presidenziali sia nei confronti dell’eredità stessa della rivoluzione: secondo la prima bozza della nuova roadmap tunisina, infatti, il 25 luglio 2022 dovrebbe tenersi il referendum costituzionale, primo anniversario del sedicente colpo di Stato di Saied, mentre il 17 dicembre, data in cui è cominciata la Rivoluzione del 2011, sarebbe la data delle nuove elezioni. Di fronte a queste dichiarazioni, la società civile si è spaccata tra cui condanna le manovre presidenziali, continuando a definirle come parte di un colpo di Stato, e chi sostiene l’iniziativa riformista del Presidente.

La crisi politico-istituzionale tunisina è iniziata nel luglio 2021 in seguito alla decisione di Saied di rimuovere il Primo Ministro Hichem Mechichi dal suo incarico, sospendendo poi il Parlamento fino a data da destinarsi. Soltanto alla fine di settembre è stata nominata come Premier Najla Bouden Romdhane, prima figura femminile a ricoprire questo incarico nel mondo arabo, annunciando successivamente la formazione di un nuovo governo, composto da 24 Ministri di cui 8 donne. Per la prima volta in dieci anni, la nomina dell’esecutivo non è passata attraverso l’approvazione del Parlamento, essendo infatti stato sospeso, ma è avvenuta attraverso una scelta condivisa del Presidente della Repubblica e del Primo Ministro. Inizialmente lo scioglimento del Parlamento era stato accolto positivamente dalla popolazione, stanca di una gestione inadeguata – ed esacerbata dalla crisi pandemica – degli affari pubblici e politici da parte del governo e afflitta dalla recessione economica che ha colpito il Paese. Con il passare del tempo, tuttavia, le scelte di Saied hanno profondamente diviso l’opinione pubblica. Da un lato, i suoi sostenitori hanno celebrato la sua lotta contro la corruzione e il suo ruolo come promotore di verità e giustizia nelle istituzioni del Paese. Dall’altro, gli oppositori hanno temuto che queste iniziative portassero ad una deriva autoritaria. Proprio quest’ultima istanza è sempre più percepita dai più come una condizione prevalente in Tunisia, testimonianza, quindi, di una regressione pericolosa rispetto ai passi avanti realizzati in questo decennio. In questo contesto, la nomina di Bouden come Premier è vista come strumentale, volta ad ottenere una nuova legittimità. Rached Ghannouchi, a capo del partito islamista di maggioranza Ennahda, ha aspramente criticato le mosse del Presidente, qualificandole incostituzionali ed illegali, accusandolo di aver lanciato un colpo di stato contro la rivoluzione e la Costituzione tunisina. L’opposizione da parte dei partiti tradizionali si mostra però debole e divisa, non riuscendo di fatto a frenare nessuna delle sue politiche.

Tuttavia, la radice dei problemi della Tunisia continua a risiedere nella forte crisi economica che il Paese vive ormai da anni. L’elevato tasso di disoccupazione ha creato una crescente sfiducia verso gli attori tradizionali, spingendo i giovani a voler lasciare il Paese alla ricerca di un futuro migliore. A questo si aggiungono le marcate disuguaglianze esistenti tra le diverse regioni ed una dilagante corruzione, oltre che un’inflazione a spirale e un’elevata tassazione che grava sui tunisini. Saied è riuscito a cavalcare il malessere dei cittadini, riuscendo a fare credere che le sue politiche siano l’unica soluzione per far uscire la Tunisia dalla paralisi governativa e dalla stagnazione economica.

Al netto, tuttavia, delle speranze che la nuova iniziativa di Saied possa contribuire ad uscire dall’impasse politica e socio-economica in cui il Paese si è trovato, il fantasma di una ricaduta autoritaria continua a spaventare la Tunisi, ove il Presidente sembra sempre più ricalcare le mosse e i gesti di Habib Bourghiba, evidenziando il desiderio di assumere un potere sempre più marcato nelle dinamiche statali. Di fronte alle nuove politiche di Saied, l’opinione pubblica tunisina tenderà ad essere sempre più divisa, rischiando di esacerbare tensioni latenti e creare una forte instabilità nel Paese. Ciò che potrebbe realmente risollevare la Tunisia, sarebbero riforme strutturali nei settori economico e finanziario, consentendo una minore dipendenza dalla domanda estera di beni e servizi a basso costo, incrementando il potenziale di innovazione e la creazione di impiego in diversi settori, oltre che ad un ampio programma di investimenti mirati.

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