L’Iraq verso le elezioni parlamentari del novembre 2025
Medio Oriente e Nord Africa

L’Iraq verso le elezioni parlamentari del novembre 2025

Di Alessio Stilo
09.06.2025

Le elezioni parlamentari previste per novembre 2025 rappresentano un momento cruciale per l’Iraq, in un contesto caratterizzato da profonde trasformazioni politiche, tensioni intra-sciite, pressioni regionali e un crescente scollamento tra le classi dirigenti governative e la popolazione. Mentre il Primo ministro Mohammed Shia al-Sudani cerca di consolidare la sua posizione per ottenere un secondo mandato, il panorama politico si presenta frammentato e imprevedibile, con possibili ripercussioni per gli equilibri regionali.

Sudani, insediatosi nel 2022 grazie al sostegno del Quadro di Coordinamento Sciita (Shia Coordination Framework, formato da una coalizione di partiti sciiti, alcuni dei quali filo-iraniani), punta a ottenere un secondo mandato. Il suo esecutivo si è distinto per l’enfasi posta alle riforme infrastrutturali, alla lotta alla corruzione e a un certo attivismo diplomatico regionale, culminato nell’organizzazione del 34° Vertice della Lega Araba a Baghdad (17 maggio 2025). Ciò nonostante, le tensioni con alcuni alleati sciiti storici, in primis l’ex Primo ministro Nouri al-Maliki e Qais al-Khazali (leader della milizia-partito Asaib Ahl al-Haq), mettono in discussione la sua permanenza futura alla guida del governo.

Le accuse di corruzione rivolte a taluni membri della sua coalizione, incluse figure chiave come Faleh al-Fayyadh e Nassif al-Khattabi, così come la denuncia di presunti abusi nel procacciamento dei voti da parte delle milizie sciite delle Forze di Mobilitazione Popolare, minano la narrazione riformista del Premier. Inoltre, la decisione di invitare il Presidente siriano ad interim Ahmed al-Sharaa al vertice di Baghdad ha alimentato polemiche interne, soprattutto tra le fazioni filo-iraniane che considerano l’ex leader jihadista una minaccia alla memoria storica delle vittime del terrorismo.

Dal punto di vista istituzionale, le elezioni del novembre 2025 si svolgeranno nuovamente secondo un sistema proporzionale basato sul metodo Sainte-Laguë, abbandonando il sistema SNTV (Single Non-Transferable Vote) introdotto dopo le proteste di Tishreen del 2019. Tale ritorno al proporzionale tende solitamente a favorire le forze politiche consolidate o comunque più strutturate, penalizzando le liste indipendenti e locali che avevano trovato spazio nelle urne durante l’analoga tornata del 2021.

Ad ogni modo, le elezioni provinciali del dicembre 2023 avevano evidenziato l’emergere di una nuova classe politica locale, rappresentata da governatori e amministratori che, capitalizzando su bilanci locali crescenti e promesse di servizi, sono riusciti a imporsi contro le vecchie élite. Il caso emblematico è quello di Nassif al-Khattabi a Karbala, ex alleato di Maliki, adesso vicino a Sudani. La nuova coalizione “Ricostruzione e Sviluppo” lanciata da Sudani, che raggruppa insieme Corrente dell’Eufrate, Alleanza del patto nazionale, Coalizione nazionale, Alleanza creativa di Karbala, Raggruppamento sumero, Raggruppamento delle generazioni e Alleanza delle Soluzioni Nazionali, mira a integrare tali figure locali al fine di irrobustire il proprio radicamento territoriale. Tuttavia, la frammentazione del campo sciita, con la decisione del Quadro di Coordinamento sciita di presentarsi unito in alcune province e diviso in altre (come a Baghdad), prefigura una competizione interna (intra-sciita) che potrebbe compromettere la stabilità post-elettorale.

L’altro grande elemento di incertezza è rappresentato dalla posizione del Movimento Sadrista (al-Tayyār al-Sadri). Dopo il ritiro del leader Muqtada al-Sadr dalla vita politica nel 2022, il Movimento ha boicottato le elezioni del 2023 e annunciato che non parteciperà neppure a quelle venture del 2025. Nondimeno, i recenti appelli rivolti ai suoi sostenitori per aggiornare le tessere elettorali hanno innescato speculazioni su un possibile ritorno indiretto dei sadristi, attraverso liste di “indipendenti” o candidati affiliati.

Il Quadro di Coordinamento Sciita sembra puntare su una strategia ambivalente: da un lato, tentare di attrarre l’elettorato sadrista con retoriche populiste e campagne nelle periferie; dall’altro, diffondere la narrazione secondo cui Sadr potrebbe comunque tornare in campo, nel tentativo di ridurre il tasso di astensione, soprattutto nelle roccaforti sciite del sud.

Secondo dati preliminari, oltre 9 milioni di elettori iracheni potrebbero scegliere di non votare: un segnale allarmante per la legittimità del sistema, che si aggiunge alle critiche già rivolte alla Commissione elettorale per l’uso di criteri opachi nel calcolo dell’affluenza.

Nel quadro pre-elettorale si inseriscono anche tre dossier strategici: la gestione del petrolio, la sicurezza interna e il ruolo delle milizie.

Sul piano energetico, il conflitto tra Baghdad ed Erbil sulla gestione del petrolio curdo rimane irrisolto: la mancata attuazione delle sentenze della Corte Federale e il blocco delle esportazioni attraverso la Turchia (con cui i negoziati per la ripresa dei flussi rimangono in stallo) stanno compromettendo le entrate statali e creando qualche frizione con l’OPEC. In una sentenza emessa nel 2022, la Corte Federale irachena ha dichiarato incostituzionale una legge sul petrolio e sul gas che regola l’industria estrattiva nel Kurdistan iracheno e ha chiesto alle autorità curde di consegnare alle autorità centrali le forniture di greggio. Il Ministero del Petrolio iracheno ritiene che il mancato rispetto della legge da parte del Governo Regionale Curdo (KRG) abbia danneggiato sia le esportazioni di petrolio che le entrate pubbliche, costringendo Baghdad a rimodulare la produzione da altri giacimenti per raggiungere le quote OPEC. Di recente, peraltro, lo stesso Ministero ha dichiarato di ritenere il KRG legalmente responsabile del continuo contrabbando di petrolio dalla regione curda al di fuori del Paese. Di recente, il Ministero delle Finanze iracheno ha annunciato (29 maggio) che il governo federale iracheno interromperà il trasferimento di fondi al KRG a causa del mancato trasferimento di entrate petrolifere e non petrolifere a Baghdad, dopo che il 20 maggio lo stesso KRG aveva stipulato un accordo multimiliardario su petrolio e gas con due società statunitensi.

Nell’ottica di diversificare la dipendenza economica dai settori petrolifero e gasifero, peraltro, Baghdad sta pianificando di sviluppare il suo settore minerario, firmando Memorandum d’intesa con aziende internazionali per esplorare e sviluppare risorse come fosfati, zolfo, litio e rame: secondo stime governative, si prevede che il settore minerario possa contribuire ad almeno il 10% del PIL iracheno durante la sua fase iniziale di sviluppo.

Sul fronte della sicurezza, la progressiva riduzione della presenza militare statunitense, prevista entro il 2026, solleva interrogativi circa la capacità di Baghdad di affrontare con le proprie forze la minaccia di Daesh (ISIS), soprattutto alla luce del parallelo disimpegno degli USA dalla Siria. Alcuni settori del governo iracheno starebbero valutando la possibilità di rinviare il ritiro delle truppe di Washington, mentre le milizie filo-iraniane, a partire da Kataib Hezbollah, minacciano di riprendere gli attacchi contro le truppe americane in caso di ritardi.

Per quanto attiene alle milizie, le Forze di Mobilitazione Popolare restano un attore ambivalente. Per un verso sono parte integrante del sistema di sicurezza; dall’altro, alcuni episodi recenti suggeriscono un uso politico dei tali strutture paramilitari, con detenzioni arbitrarie e pressioni per l’ottenimento di voti, in palese violazione della legge del 2016 che ne vieta l’associazione con partiti politici.

Sul piano internazionale, il governo Sudani ha cercato di rilanciare il ruolo di Baghdad come attore di mediazione regionale, al punto che la doppia organizzazione del 34° vertice della Lega Araba e della riunione ministeriale del Consiglio Economico e Sociale (svoltasi a Baghdad a metà maggio 2025, nell’ambito dei preparativi per il 5° Vertice Arabo sullo Sviluppo Economico e Sociale) è stata presentata come la consacrazione del “nuovo Iraq”. Per altro verso, l’assenza di 16 Capi di Stato e le polemiche interne sull’invito al siriano al-Sharaa hanno palesato la fragilità dell’apparato statale e la difficoltà di costruire un consenso regionale autentico, rendendo visibile quanto la politica estera irachena sia ancora assoggettata agli equilibri interni. In aggiunta, le critiche per la “diplomazia del grano” (una donazione di 50.000 tonnellate a Tunisi per incentivare la partecipazione al vertice di Baghdad) hanno rafforzato la percezione che l’Iraq stia tentando di acquisire legittimità diplomatica senza affrontare preliminarmente le proprie vulnerabilità strutturali.

In conclusione, le elezioni del novembre 2025 si profilano come un banco di prova per la tenuta del sistema istituzionale e la capacità dell’Iraq di superare le logiche settarie. Qualora il Premier Sudani dovesse riuscire a confermare il suo mandato e a mantenere il sostegno di una coalizione stabile, potrà consolidare una linea pragmatica fondata su sviluppo, sicurezza e apertura diplomatica in una cornice regionale dove sono emersi nuovi equilibri a seguito degli eventi post-7 ottobre 2023. Tuttavia, la persistenza di divisioni intra-sciite, la dialettica col Governo Regionale Curdo, le interferenze iraniane e il ruolo delle milizie rappresentano ostacoli significativi. La grande incognita rimane l’affluenza elettorale: un’ampia astensione rischierebbe di svuotare di legittimità il nuovo Parlamento, con ricadute sul piano della stabilità interna e delle relazioni esterne.

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