La complessa partita sulla Diga del Rinascimento Etiope
Africa

La complessa partita sulla Diga del Rinascimento Etiope

Di Simone Acquaviva
26.12.2019

Il governo statunitense ha ospitato a Washington, rispettivamente lo scorso 6 Novembre e 9 dicembre, i primi due round dell’ultima tranche negoziale tra Etiopia, Egitto e Sudan riguardanti la gestione e l’impatto delle attività della Diga del Rinascimento Etiope (GERD, utilizzando l’acronimo anglosassone). Agli incontri hanno partecipato ministri degli esteri dei tre Paesi, il Presidente della Banca Mondiale David Malpass e del segretario al tesoro statunitense Steven Mnuchin. Le parti in causa si aggiorneranno 13 gennaio sempre a Washington, con l’obiettivo di trovare un accordo definitivo entro il 15 gennaio.

La  ripresa dei negoziati sulla diga avviene dopo mesi di stallo. I primi segnali di apertura erano arrivati a seguito dell’incontro tra il presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi ed il suo omologo etiope Abiy Ahmed Ali, avvenuto lo scorso 25 ottobre a margine del meeting “Summit e Forum economico Russia-Africa” di Sochi. A pochi giorni di distanza sarebbe arrivato l’invito della Casa Bianca ad ospitare il dialogo a Washington. La presenza statunitense è frutto della richiesta avanzata al-Sisi, dopo che le pressioni del Cairo volte a garantire un mediatore terzo erano state finora rifiutate dall’Etiopia.

La costruzione della Diga del Rinascimento Etiope, che sarà la più grande del continente, porta in dote diverse  implicazioni politiche,  energetiche, ambientali e securitarie. La GERD sorge nell’ovest dell’Etiopia a 15 km dal Sudan, ed è destinata ad operare sul Nilo Blu, uno dei i maggiori affluenti del Grande Nilo. L’imponente opera dovrebbe costare poco meno di 5 miliardi di dollari, 3 dei quali stanziati dall’Etiopia e 1,8 dalle aziende cinesi Voith Hydro Shanghai e China Gezhouba Group, responsabili della costruzione di turbine e generatori. La costruzione della diga, la cui realizzazione dovrebbe esser completata per il 2022, è stata affidata all’azienda italiana Salini Impregilo, attiva in Etiopia fin dagli anni ‘60 ed attualmente al lavoro su diverse opere nel settore idroelettrico del Paese. A pieno regime, la GERD dovrebbe produrre circa 16400 GWh (Gigawattora) per anno, quantità necessaria a coprire il consumo interno di un Paese di 102 milioni di abitanti con un tasso di crescita della popolazione del 2,88%, oltre a garantire rilevanti quote di export.

La disputa sulla GERD rientra nella storica contesa sui diritti di sfruttamento delle acque del Nilo. Il Cairo giustifica le proprie pretese sulla base di diritti storici, codificati dalle autorità coloniali britanniche in trattati internazionali negoziati in favore di Egitto e Sudan (l’allora Sudan anglo-egiziano) nel 1902 e 1929. Successivamente, nel 1959, i due Paesi, divenuti indipendenti, stipularono un accordo sul razionamento degli 84 miliardi cubi di acqua annui d’acqua del fiume, assegnandone 55,5 a favore del Cairo. D’altro canto l’Etiopia, parte non contraente dei trattati precedentemente menzionati, iniziò a valutare la possibilità di costruire una diga sul fiume fin dalla metà degli anni ’50. Nonostante ciò, le tensioni interne e internazionali degli anni della Guerra Fredda, segnatamente la guerra civile iniziata nel 1974 con il rovesciamento dell’Imperatore Haile Selassie da parte del governo militare provvisorio dell’Etiopia socialista e la guerra dell’Ogaden con la Somalia, assieme al ruolo di potenza regionale dell’Egitto, hanno reso difficile l’avvio del progetto, la cui concretizzazione si deve al lavoro del Presidente etiope Meles Zenawi, che ha dato il via ai lavori nel 2010.

Al fine di trovare un’intesa sulla gestione delle acque del Nilo che comprendesse tutti i Paesi riveraschi, nel 1999 nacque la Nile Basin Initiative (NBI), forum che al momento racchiude tutti i 10 Stati attraversati dal fiume (Egitto, Sudan, Sudan del Sud, Etiopia, Uganda, Kenya, Tanzania, Burundi, Ruanda, Repubblica Democratica del Congo), oltre all’ Eritrea in qualità di osservatore. Fin della sua creazione, la NBI ha promosso un accordo complessivo in materia di sfruttamento delle acque del Nilo. Nel 2010 è stato aperto alla firma il Cooperation Framework Agreement (CFA), anche noto come Accordo di Entebbe, strumento giuridico atto a superare il trattato tra Egitto e Sudan del 1959. Il CFA sancisce la volontà di una gestione congiunta delle acque tramite l’utilizzo di organismi intergovernativi predisposti a supervisionare l’applicazione dell’accordo. Ad oggi il CFA vanta solamente la ratifica di Etiopia, Ruanda e Tanzania, mentre Burundi, Kenya e Uganda lo hanno firmato ma non ancora ratificato. Egitto e Sudan non hanno aderito, contrari alle modalità di funzionamento degli organismi di controllo, nel timore che gli interessi degli Stati a monte del fiume, maggiormente numerosi, possano sovrastare i propri. L’annuncio della costruzione della GERD ha contribuito allo stallo negoziale ed ha rappresentato un ulteriore elemento di disputa nella complessa partita dello sfruttamento delle acque del Nilo.

Nell’attesa di un accordo complessivo, l’Etiopia ha continuato a portare avanti la costruzione dell’opera, al momento completata per circa il 70%. La realizzazione della GERD rappresenterebbe un passo fondamentale nello sviluppo economico del secondo Paese più popoloso dell’Africa. Nelle intenzioni del Presidente Zenawi, la Diga del Rinascimento Etiope avrebbe trasformato l’Etiopia in un cosiddetto middle income country, secondo la definizione delle Banca Mondiale uno Stato con un reddito nazionale lordo (GNI, utilizzando l’acronimo anglosassone) pro capite compreso tra i 1025 e i 12375 dollari_._ Da allora gli etiopi sono stati protagonisti di una rapida crescita economica, tanto che il GNI pro capite è più che raddoppiato, passando da 350 a 780 dollari tra il 2011 e il 2018. I benefici della GERD potrebbero ulteriormente contribuire ad accelerare tale processo.

Nell’immaginario collettivo etiope, la costruzione della GERD rappresenta quindi il simbolo dello sforzo comune della nazione impegnata verso tale obiettivo, tant’è che l’opera è sostenuta da ingenti contributi dei cittadini e della diaspora.

Una volta in funzione, la GERD potrà fornire forme alternative di energia a quei circa 70 milioni di etiopi che non hanno accesso all’elettricità e guidare la trasformazione economica del Paese, che scotta ritardi industriali dovuti anche alla mancanza di una rete elettrica che supporti l’attività produttiva. Inoltre, l’export di energia può consentire un afflusso importante di riserve in moneta internazionale necessarie per supportare l’import futuro.

Dal momento della sua elezione, nell’aprile 2018, il Presidente etiope Ahmed ha imposto una nuova rotta al progetto della diga, a livello interno quanto internazionale. I benefici connessi al funzionamento della diga potrebbero di fatti alleviare le tensioni sociali, supportando così l’agenda riformatrice di Ahmed, impegnato a livello interno nella gestione delle tensioni etniche e nell’ardua transizione del Paese verso il pluralismo politico.

Chiave per lo sviluppo economico e sociale del Paese, d’altronde, sarà la modalità con la quale i benefici derivanti dalla produzione energetica verranno distribuiti. Nel novembre scorso Ahmed ha estromesso dalla gestione della diga il conglomerato industriale METEC, guidato da gruppi vicini ai militari e primo appaltatore domestico per la costruzione della GERD, più volte accusato di corruzione, cattiva gestione dei fondi e responsabile dei ritardi nel completamento dell’opera. Con tale gesto, Ahmed ha lanciato un messaggio contro la corruzione legata all’opera ed ha aperto ad ulteriori investimenti stranieri, necessari per il completamento dei lavori. L’estromissione del METEC, legato all’élite di etnia tigrina che ha guidato il Paese precedentemente all’avvento di Ahmed, rientra  inoltre nella strategia di pacificazione interetnica promossa dal Presidente, che passa dall’allontanamento dai gangli del potere politico ed economico del gruppo militare e della classe dirigente tigrina ed amhara, e dal coinvolgimento nella vita politica dell’etnia maggioritaria, ma tradizionalmente discriminata, degli Oromo.

Per quanto riguarda il dialogo con l’Egitto, il Presidente etiope ha fin da subito adottato un atteggiamento di maggiore apertura rispetto ai propri predecessori, intenzionato a cercare una soluzione di compromesso che preservi le ambizioni etiopi ma che allevi le tensioni con il proprio importante vicino.

La preoccupazione egiziana nei confronti dell’opera deriva della riduzione del regime fluviale che questa avrebbe sull’afflusso del Nilo nel Paese (55,5 miliardi cubi di acqua), che da solo rappresenta il 90% delle riserve d’acqua egiziane, utilizzate per il consumo potabile (11 miliardi), per l’industria (8 miliardi ) e soprattutto per il settore agricolo (i restanti 30 miliardi), con danni rilevanti verso l’agricoltura di sussistenza e quindi forti ricadute in termini di stabilità sociale. Dall’Etiopia, d’altronde, provengono circa il 70% delle acque che riforniscono l’Egitto.

Per questo motivo il Cairo ha storicamente avversato l’eventualità di una diga in Etiopia, poiché vede la possibile dipendenza, in termini di approvvigionamento d’acqua da Addis Abeba, come rischio primario a livello di sicurezza nazionale.

Il Cairo teme le conseguenze, in termini di stabilità sociale, che una diminuzione improvvisa dei volumi d’acqua potrebbe comportare sugli agricoltori, una frazione della popolazione rilevante in termini numerici e particolarmente vulnerabile. L’Egitto, indipendentemente dalle conseguenze derivanti dal funzionamento della diga etiope, vedrà una diminuzione della quantità di acqua disponibile per via del combinato disposto tra cambiamento climatico, incremento demografico e urbanizzazione. Per questo motivo, Il Cairo è destinato a dover ripensare un modello di produzione agricola altamente intensivo in termini di consumo di risorse idriche e a doverne affrontare i costi economici e sociali collegati. La messa in funzione della GERD nel volgere di pochi anni accelererebbe questo processo, aggravando la classe dirigente egiziana di una enorme problematica interna.

Terzo Paese direttamente coinvolto nella costruzione della diga è il Sudan, nella cui capitale convergono i maggiori affluenti del fiume (Nilo Bianco e Nilo Blu, entrambi provenienti dall’Etiopia) per poi continuare il proprio tragitto verso l’Egitto fino al Mar Mediterraneo.

Al momento dell’annuncio della costruzione del GERD, il Sudan appoggiava l’Egitto nel contrastare l’opera adducendo simili motivazioni. Tuttavia, nel breve volgere di due anni, Khartoum ha maturato una posizione di maggiore apertura verso la GERD. La diga etiope, di fatti, permetterebbe una maggiore regolazione dei flussi d’acqua, provocando così una riduzione delle inondazioni dannose per l’agricoltura locale. In questo modo il Sudan (40 milioni d’abitanti), molto meno popoloso dei vicini Etiopia ed Egitto, potrebbe sviluppare il proprio settore primario, destinandone una quota significativa all’export, diretto soprattutto verso le vicine Monarchie del Golfo, attirate dalle potenzialità del Paese. Inoltre, la regolazione di flussi potrebbe beneficiare il settore idroelettrico locale, ed il Sudan potrebbe beneficiare di energia a basso prezzo di produzione etiope.

Con l’opera oramai in fase di definizione, la disputa tra i Paesi non verte tanto sulla costruzione, oramai difficile da impedire, bensì sulla velocità di riempimento dei 74 miliardi di metri cubi di riserve della diga. L’Etiopia è di fatti interessata ad accelerare il processo, al fine di rendere la GERD operativa già dal 2025. Di opinione opposta l’Egitto, intenzionato a dilatare i tempi fino a 15 anni, in modo da attenuare la riduzione dell’afflusso di acqua nel Paese. In questo momento l’ostacolo maggiore rimane quello della fiducia tra le parti, pur nella consapevolezza dei potenziali mutui benefici della cooperazione. Una tematica del genere, inoltre, attira facili afflati nazionalistici che potrebbero essere utilizzati, in Egitto come in Etiopia, al fine di rafforzare il consenso interno a scapito di una fruttuosa cooperazione.

Il principale timore etiope è quello che l’Egitto possa portare avanti una vera e propria azione militare per impedire il completamento della diga, sebbene appaia più probabile che opere di boicottaggio vengano condotte dal Cairo in maniera asimmetrica, ad esempio soffiando sul fuoco delle tensioni etniche etiopi alla vigilia delle elezioni del 2020. A livello internazionale, l’Egitto cerca una maggiore cooperazione politico-economica con Paesi rivieraschi quali Burundi e Sud Sudan, in modo da intensificare la pressione su Etiopia e Sudan all’interno della Nile Basin Initiative o, in un prossimo futuro, nel contesto del costituendo Red Sea Forum. Parallelamente, non è escluso un appoggio del Cairo all’Eritrea, in modo da minare il processo di pacificazione nella regione (Asmara ha dispute territoriali sia con Khartoum che con Addis Abeba). D’altronde, già nel gennaio 2018, poco prima dell’accordo di pace tra Etiopia ed Eritrea, Addis Abeba aveva accusato il Cairo di aver inviato delle truppe in territorio eritreo, mentre il Sudan aveva risposto rafforzando il proprio contingente al confine con Asmara.

Nonostante l’offensiva egiziana, l’Etiopia sembra poter controllare il processo negoziale, forte dello stato di avanzamento dell’opera, delle divergenze all’interno della NBI, tali da rendere improbabili iniziative alternative, e dell’appoggio di alcune potenze internazionali favorevoli alla GERD, su tutte la Cina. Sebbene Addis Abeba sia interessata nell’accelerare il processo di riempimento del serbatoio della diga, il Presidente Ahmed potrebbe trovar conveniente ricercare un compromesso sulle richieste di rallentamento egiziano, in cambio di una risoluzione controllata della disputa. L’Etiopia è d’altronde interessata a vendere energia allo stesso Egitto e ad evitare che il Cairo contribuisca a destabilizzare l’area, in modo da poter proseguire la propria strategia di apertura al commercio internazionale tramite l’accesso ai porti eritrei e del Somaliland, funzionale a guidare il processo di transizione economica del Paese.

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