L’Egitto verso l’emissione di obbligazioni in Yuan
Geoeconomia

L’Egitto verso l’emissione di obbligazioni in Yuan

Di Carlo Palleschi
09.09.2022

Secondo quanto annunciato il 29 agosto dal Ministro egiziano delle Finanze, Mohamed Maait, in un incontro con l’Ambasciatore cinese al Cairo, Liao Liqiang, l’Egitto sta valutando la possibilità di emettere obbligazioni denominate in yuan e destinate al mercato cinese. Negli obiettivi del governo, questa importante novità dovrebbe permettere all’esecutivo di attingere a nuove consistenti risorse nel mercato obbligazionario cinese, che è il secondo a livello globale, favorendo così una diversificazione degli strumenti finanziari e contribuendo ad attrarre nuovi investitori e a ridurre i costi di finanziamento degli investimenti necessari per lo sviluppo del Paese.

In questo momento, infatti, l’Egitto necessita di ingenti capitali per far fronte al momento congiunturale particolarmente complesso derivante dalla crisi globale innescata dalla guerra russo-ucraina. Nonostante la “questione del grano” abbia trovato una tregua momentanea grazie alla mediazione turca e delle Nazioni Unite, gli effetti del conflitto sulla sicurezza alimentare del Paese, e quindi sulla sua tenuta sociale, sono ancora persistenti. In base ai dati dell’UNCTAD, l’Egitto importa circa l’80% del grano dalla Russia e dall’Ucraina e dallo scoppio della guerra ha registrato una fuga di 15 miliardi di dollari dal mercato locale all’estero. Inoltre, l’Egitto, così come altri Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, è fortemente impattato, a causa dell’elevato debito denominato in dollari, dalla decisione Federal Reserve di alzare i tassi interessi. Un dollaro più forte significa un aumento del costo del servizio del debito denominato in dollari. Il debito esterno egiziano è aumentato significativamente nel corso degli ultimi anni: a marzo 2021 ha raggiunto quota 134,8 miliardi di dollari, con un aumento di 11 miliardi rispetto a giugno 2020 e di circa 100 miliardi rispetto al 2010, quando si aggirava introno a 33,7 miliardi.

In questo contesto di crisi ed incertezze, l’emissione di bond in yuan rappresenterebbe per Il Cairo una maniera efficace per raccogliere i capitali di cui il Paese necessita per far fronte al debito crescente, estendere le scadenze e trovare le risorse finanziarie necessarie per contrastare la crisi economico-sociale. L’Egitto aveva già compiuto un passo analogo lo scorso marzo, quando il governo aveva emesso titoli in Giappone denominati in valuta nipponica per un valore di 60 miliardi di yen (circa 427 milioni di dollari).

Al netto del significato e dell’importanza di questa iniziativa per l’Egitto, la notizia dell’emissione di titoli in yuan acquisisce un valore particolarmente importante se inserita nel quadro della sfida globale tra Stati Uniti e Cina. Il dollaro, infatti, è da sempre considerato la moneta di riserva ed è largamente usato dai Paesi africani e del Medio Oriente come moneta sia per le transazioni commerciali sia per la denominazione dei titoli obbligazionari statali. Dinanzi alle difficoltà economiche statunitensi, la scelta della Cina offre di fatto nuove prospettive di cooperazione commerciale e finanziaria per questi Paesi, rappresentando al contempo un’opportunità per Pechino per mettere in difficoltà il monopolio valutario rappresentato dal dollaro. In questo senso si inserisce, inoltre, la notizia circolata qualche mese dopo lo scoppio della guerra russo-ucraina relativa all’ipotesi secondo cui Pechino e Riyadh starebbero valutando l’utilizzo dello yuan come valuta per la vendita del petrolio saudita alla Cina. Per Pechino, l’utilizzo dello yuan come moneta di scambio e denominazione di titoli obbligazionari costituisce un’iniziativa importante per dare sostanza alle proprie ambizioni globali, che passano anche attraverso l’internazionalizzazione della propria moneta. Sebbene sia improbabile che il dollaro possa perdere la sua rilevanza internazionale, il fatto stesso di considerare lo yuan come una valuta solida e alternativa al dollaro statunitense rappresenta un motivo di preoccupazione per gli Stati Uniti, che dovrebbero riflettere circa la debolezza tanto economica quanto anche, e soprattutto, politica con cui sono percepiti dai Paesi africani e del Medio Oriente.

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