Il futuro dell’export cerealicolo ucraino
Russia e Caucaso

Il futuro dell’export cerealicolo ucraino

Di Federica Troisi
11.08.2023

Uno dei temi più discussi dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina è quello legato alle esportazioni di grano da parte di Kiev. Difatti, nell’ultimo decennio, il mercato cerealicolo ucraino ha subito un’impennata, fino ad attestarsi come uno dei maggiori a livello globale in termini di export.

In particolare, a partire dal 2012, Kiev ha deciso di diversificare il proprio portafoglio di esportazioni, aumentando gli investimenti nel settore agricolo , fino a far divenire i cereali il secondo prodotto d’esportazione dopo i metalli, con un aumento di produzione doppio rispetto al 2011. Una ulteriore svolta è stata registrata nel 2019, quando i prodotti cerealicoli sono diventati la prima commodity dell’export ucraino , raggiungendo il 19,4% delle esportazioni totali, con il grano come prodotto principe di questo specifico settore (8,41% del totale).

Nel 2021, però, l’export cerealicolo viene nuovamente superato da quello metallurgico, anche se la differenza in termini reali è minima, in quanto la produzione agricola esportata ha un calo di solo lo 0,6%, arrivando a toccare una percentuale del 18,8% rispetto al totale delle esportazioni del Paese.

Dal 2022, a causa dello scoppio della guerra russo-ucraina, i dati della bilancia commerciale di Kiev risultano piuttosto incerti. Tuttavia, l’accordo sul grano sottoscritto a sei mesi dall’inizio delle ostilità ha permesso che le rotte commerciali nel Mar Nero continuassero a sussistere, così da garantire una continuità degli scambi di prodotti cerealicoli. A tal proposito, alcune fonti riportano che il corridoio umanitario marittimo istituito contestualmente all’accordo abbia favorito il passaggio di oltre mille navi, per un trasporto di quasi 33 milioni di tonnellate di prodotti agricoli ucraini (luglio 2022-luglio 2023).

Nel luglio 2023, però, sono sorte ulteriori complicazioni per la produzione e per le esportazioni ucraine. In primis, i continui bombardamenti hanno messo a dura prova il settore agricolo del Paese, come accaduto con il sabotaggio della diga di Kakhovka e con i danni all’oleodotto di ammoniaca al confine tra Federazione Russa e Ucraina.

Il crollo della diga , difatti, ha provocato vaste inondazioni, mettendo a rischio le aree che dipendevano da quel bacino di raccolta idrica, che riforniva più di 40.000 ettari di terreni agricoli, in cui si coltivavano semi oleosi, cereali, ortaggi e frutta. Nonostante l’area interessata dall’allagamento sia relativamente piccola, il crollo ha danneggiato il sistema di irrigazione di più di 500.000 ettari di terreni agricoli, portando alla scarsità idrica per le colture estive e per quelle invernali e inficiando sulle esportazioni. I danni all’oleodotto di ammoniaca, invece, sono rilevanti nella misura in cui il prodotto risulta essere fondamentale per la produzione dei fertilizzanti, andando a intaccare le colture che dipendono direttamente da essi. A questo bisogna aggiungere il fatto che le operazioni belliche, in maniera diretta o indiretta, hanno provocato danni ambientali da inquinamento del terreno i cui impatti, ad oggi, sono difficilmente stimabili.

In secondo luogo, il 17 luglio, la Russia ha comunicato la decisione di recedere dall’accordo sul grano, istituendo, di fatto, un blocco navale nel Mar Nero e costringendo Kiev ad affidarsi a nuove rotte commerciali più esose, via terra (rotaia o gomma) in direzione dei porti baltici o di quelli danubiani. Nonostante questa criticità, il Ministero della Politica Agraria dell’Ucraina ha dichiarato che, al 31 luglio 2023, l’Ucraina è riuscita a esportare 2,16 milioni di tonnellate di prodotti agricoli, a fronte degli 1,6 milioni dell’anno precedente nel medesimo periodo.

Specularmente all’incremento delle esportazioni, però, la quantità di prodotti agricoli raccolti e in stock risulta essere inferiore rispetto al 2022. Nello specifico, l’anno scorso c’erano 22 milioni di tonnellate di scorte, mentre all’inizio di luglio 2023 il Ministro dell’Agricoltura ucraino ha fatto riferimento “soltanto” ad alcuni milioni di tonnellate. Inoltre, nel maggio 2023, le statistiche avevano previsto una diminuzione del raccolto pari al 10% rispetto all’anno scorso, che, poi, grazie anche alle condizioni climatiche ottimali, si è attestata definitivamente intorno al 6%.

Al di là dei dati più o meno confortanti se si tiene conto delle condizioni in cui versa attualmente l’Ucraina, però, è doveroso precisare che gli agricoltori hanno deciso di sacrificare la semina di una notevole quantità di mais e di grano a favore dei semi di girasole e di soia. La decisione deriva dal fatto che quest’ultimi risultano essere meno impegnativi dal punto di vista della manodopera e dei costi logistici, nonostante in termini di resa il cambiamento sia abbastanza trascurabile.

Altro aspetto importante legato alle esportazioni dell’Ucraina è quello dei partner commerciali. Kiev, infatti, non ha limitato i suoi interessi al proprio “estero vicino”, ma ha fatto in modo di approntare una politica commerciale in grado di comprendere Paesi importatori nei continenti africano e asiatico.

Nonostante il conflitto tra Russia e Ucraina abbia portato alla ribalta il dilemma della sicurezza alimentare a livello globale, esso è maggiormente percepito nei Paesi dell’Africa, dell’Asia e del Medio Oriente in cui già da diversi decenni è aperto il dibattito legato a tale problematica.

I rischi connessi alla guerra russo-ucraina, difatti, continuano a creare shock rilevanti nel mercato agricolo e ciò ha indotto i Paesi a basso e a medio reddito a imporre restrizioni al commercio alimentare , adottando politiche di stampo protezionistico, in modo da aumentare l’offerta interna e da ridurre i prezzi, a scapito di politiche a supporto del reddito delle fasce di popolazioni meno abbienti.

Per quanto concerne il mercato asiatico, è sulla Cina che bisogna soffermarsi maggiormente. È a partire dal 2015 che essa ha iniziato ad approfondire in maniera decisiva i rapporti commerciali con Kiev, divenendo il primo Paese importatore di prodotti ucraini nell’area asiatica e, successivamente, anche a livello globale, toccando l’apice nell’anno di riferimento 2022/2023, con l’acquisizione del 24% del totale delle esportazioni agricole ucraine, pari a 8 milioni di tonnellate.

Tuttavia, le conseguenze della guerra si fanno sentire anche a Pechino, soprattutto in relazione all’abbandono dell’accordo sul grano da parte della Russia, che ha provocato una spinta inflazionistica non indifferente nel mercato alimentare (es. prezzo del grano +8%), costringendo il rappresentante permanente della Cina presso l’ONU a richiedere una ripresa delle esportazioni agricole ucraine e dei prodotti fertilizzanti russi attraverso la rotta del Mar Nero, in modo da diminuire i costi delle materie prime, in virtù della sicurezza alimentare e dell’accessibilità economica.

Alla luce della diminuzione dell’offerta di prodotti cerealicoli ucraini e dell’aumento generale dei prezzi, si potrebbe prospettare una crisi alimentare globale ; ma ciò non sarebbe realisticamente realizzabile.

In primis, perché le spinte inflazionistiche colpirebbero in maniera eterogenea il mercato globale, dato che ci sarebbe un accesso ai prodotti cerealicoli in base alle possibilità economiche di ogni Paese. In questo modo si approfondirebbe il divario tra gli Stati in via di sviluppo e quelli già sviluppati e, pertanto, la crisi alimentare sarebbe limitata ai primi.

In secondo luogo, i Paesi in questione potrebbero pensare a una diversificazione del proprio paniere alimentare, sostituendo prodotti cerealicoli difficili da pervenire o troppo costosi con materie prime che possano essere complementari e più accessibili economicamente.

Inoltre, subito dopo l’annuncio del recesso dall’accordo sul grano, la Russia ha dichiarato di essere ben disposta a inviare forniture di grano gratuite ai Paesi africani che ne faranno domanda, arginando le preoccupazioni degli stessi. Una mossa dal profondo significato simbolico che punta a costruire un fronte filorusso basato sulla necessità più che sulla convinzione ideologica e politica.

Se dovesse concretizzarsi un simile scenario, Mosca riuscirebbe a beneficiarne in due modi: da un lato, riuscirebbe a snellire le notevoli scorte di grano che ha a disposizione sin dalla stagione scorsa, dato che, dall’inizio della guerra, non può più commerciare liberamente con gli Stati che hanno aderito alle sanzioni a sfavore della stessa. Dall’altro lato, invece, aumenterebbe la propria presenza nei Paesi africani, ottenendo vantaggi per l’acquisto e per la fornitura di terre rare, mantenendo alta la concorrenza con gli altri Stati, nonostante le limitazioni imposte dai pacchetti sanzionatori. Tuttavia, in molti Paesi africani, il comportamento russo è stato percepito come predatorio e cinico. In sintesi, al di là delle dichiarazioni pubbliche, esiste la consapevolezza, anche in Africa, di un autentico ricatto da parte del Cremlino.

Infine, la carenza di grano ucraino, sul medio e sul lungo periodo, indurrà la ricerca di nuovi attoir che siano in grado di soddisfare la domanda globale di prodotti cerealicoli. Tra i Paesi che cercano di imporsi sul mercato del grano spicca il Kazakhstan , che, consapevole di essere il maggior produttore di grano di tutta l’Asia Centrale, ha avviato delle politiche volte a espandere le proprie rotte commerciali, attraverso un’intricata rete di dialogo e di cooperazione, così da aggirare il " Northern Corridor ”, che coinvolge la Russia, a favore dello sviluppo di un “ Southern Corridor ”, che colleghi la Cina e l’Asia Centrale, attraverso la regione caspica, con il Caucaso Meridionale, con la Turchia e con l’Europa.

In questo modo, da un lato il Kazakhstan acquisirebbe un ruolo estremamente rilevante tra i Paesi dell’Asia Centrale, ponendosi come traino per tutte le altre economie agricole dell’area; dall’altro lato, invece, si riuscirebbe a limitare in maniera considerevole la penuria di grano e di altri prodotti cerealicoli a livello globale, dato che, attraverso la fitta rete del “Southern Corridor” (se dovesse essere realmente attuato) potranno essere redistribuiti in tutte le aree che ne richiederanno l’acquisto.

In sintesi, l’Ucraina continua a essere fortemente convinta di voler continuare a produrre grano e prodotti cerealicoli per l’esportazione, ma, a causa di tutte le limitazioni imposte dalla guerra e dall’eventuale futura ricostruzione post-bellica, nel giro di pochi anni potrebbe non essere più considerata il granaio d’Europa, cedendo il passo ad altri Stati che potranno divenire leader nel campo dell’export di grano e di cereali.

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