Il concetto di Missile Carrier nel futuro del dominio marittimo
Difesa e Sicurezza

Il concetto di Missile Carrier nel futuro del dominio marittimo

Di Daniele Ferraguti e Filippo Massacesi
15.10.2025

La Marina Militare tedesca, con la recente pubblicazione del documento Kurs Marine, ha delineato una serie di requisiti operativi, congiunti ad una più ampia visione prospettica, per quanto concerne le capacità della propria flotta nel prossimo decennio. In questo contesto, di particolare rilievo è stato l’annuncio di volersi dotare entro il 2035 di una nuova classe di grandi unità a controllo remoto dotate di capacità missilistica (LMRV – Large Remote Missile Vessel). Un’ambizione che richiama l’applicazione del concetto di Missile Carrier, assetti concepiti principalmente per fungere da riserve aggiuntive di missili, integrando le capacità di impiego di vettori delle unità convenzionali nelle fasi di sortita navale. L’iniziativa tedesca, tuttavia, è solamente l’ultimo tassello all’interno di un panorama più complesso e strutturato, il quale riprende evoluzioni tecnologiche ed investimenti economici già avviati da diversi Paesi. Valutazioni dettate dalle criticità attuali e potenziali, proiettate in un contesto di warfighting convenzionale ad alta intensità, attinente al necessario incremento di Vertical Launch Systems (VLS) nella composizione delle flotte del futuro. Un segmento che rappresenta una diretta conseguenza della crescente importanza che sistemi d’arma, intercettori e vettori d’attacco hanno assunto nell’utilizzo dello strumento militare marittimo. La diversificazione delle minacce, nonché i progressi capacitivi in termini di difesa aerea, bersagliamento terrestre e possibilità di implementare (o fronteggiare) delle credibili strategie di Anti Access/Area Denial (A2/AD), richiedono lo sviluppo di capacità multiruolo e, in alcuni casi, l’esternalizzazione di specifiche capacità anche su altri assetti. Il concetto di Missile Carrier, pertanto, offre in quest’ottica una soluzione innovativa per l’aumento della capacità missilistica di una formazione navale, sfruttando l’aumento della componente expendable in termini materiali e la contestuale riduzione del personale impiegato. L’ibridizzazione degli assetti dispiegati potrebbe abilitare una rimodulazione operativa delle capital ships, potenzialmente sempre più esposte a fuoco multiplo e massivo in scenari di sea control contestato e conteso.

Le riflessioni sulla potenziale utilità di questi assetti hanno trovato terreno fertile dapprima negli Stati Uniti, dove non solo è nato tale concetto, ma sono anche stati implementati i primi progetti volti alle successive fasi di sperimentazione ed applicazione. In quest’ottica si inseriscono i piani per lo sviluppo di Medium Unmanned Surface Vessels (MUSVs) e Large Unmanned Surface Vessels (LUSVs), unità navali concepite con equipaggio opzionale e con dislocamento massimo rispettivamente di 500 e 2.000 tonnellate. Proprio le dimensioni maggiori dei LUSVs li renderebbero concettualmente simili ai LMRVs che la Germania pianifica di realizzare. Tuttavia, se da un lato i medi e grandi USVs sono stati ideati appositamente con una notevole dotazione di celle VLS incorporate, dall’altro lato la US Navy le ha concepite come imbarcazioni con una notevole modularità, la quale viene strutturata sull’impiego di containerized payloads. Si tratta di moduli in grado di ospitare al proprio interno diversi carichi paganti, tra cui VLS, oltre ad apparati di guerra elettronica (EW – Electronic Warfare) e per intelligence, sorveglianza e ricognizione (ISR – Intelligence, Surveillance and Reconnaissance), abilitanti alla creazione di dilemmi strategici all’avversario. Nello specifico, la peculiarità distintiva tra LUSVs e MUSVs sotto un profilo operativo risiede nel fatto che i primi sono stati sviluppati per trasportare unicamente vettori d’attacco, mentre i secondi per l’impiego di sistemi ISR.

In questo quadro, pertanto, è opportuno evidenziare l’emersione di due concezioni distinte circa quali dovrebbero essere la configurazione e le applicazioni operative delle unità navali adibite a Missile Carrier. Da un lato c’è la visione dottrinale statunitense, che ha indirizzato lo sviluppo di imbarcazioni unmanned in relazione al concetto operativo di Distributed Maritime Operations (DMO). Tale approccio si basa sulla dispersione della flotta e sulla distribuzione spaziale di sensori ed effettori su una molteplicità di piattaforme, al fine di limitarne la vulnerabilità, moltiplicarne la capacità di generare fuoco, conservandone un impiego integrato e coordinato. In virtù di ciò, nel Luglio 2025 i concetti di LUSV e MUSV sono stati incorporati in un nuovo programma, il Modular Attack Surface Craft (MASC), che ha sancito la predilizione di un modello imperniato sul MUSV. Il MASC, plasmato intorno al concetto di containerized payload, intende sviluppare tre unità distinte in base al numero di payloads di vario genere trasportabili. Nel dettaglio, è prevista la produzione di due piattaforme in grado di trasportare due moduli di carichi paganti ed altre quattro piattaforme ad alta capacità, implementanti il doppio del carico. A ciò si aggiunge anche un MUSV configurato per la lotta antisommergibile (ASW – Anti Submarine Warfare). Tale approccio è stato ripreso in maniera piuttosto evidente anche dal Giappone, che nel 2025 ha reso pubblico un progetto del proprio Ministero della Difesa e delle Mitsubishi Heavy Industries Ltd per la creazione di un nuovo USV dotato di sensori ISR ed equipaggiato con containerized payloads che lo renderebbero in linea con i requisiti tecnici del MASC statunitense. Su un profilo diverso, invece, si colloca la visione applicativa tedesca, intesa esclusivamente come piattaforma missilistica di supporto da affiancare ad unità navali tradizionali. L’approccio tedesco trova continuità con gli sviluppi di settore sostenuti dal Regno Unito, collocato in una fase di valutazione tecnico-operativo dell’USV classe Type 91, concepito per complementare i futuri cacciatorpediniere classe Type 83 come piattaforme missilistiche, similmente a come i LMRV tedeschi faranno con le fregate classe F127. Nell’attuare ciò, entrambi i modelli prefigurati si affiderebbero alla sensoristica di imbarcazioni terze, le quali verosimilmente costituiranno le mother ships degli assetti unmanned. Inoltre, l’eventuale assenza di sensori di bordo e capacità ISR autonome, implicherebbe anche la delega dei cicli di targeting, plausibilmente trasmessi mediante comunicazioni satellitari. Tali configurazioni da un lato potrebbero costituire un fattore limitante rispetto ai possibili impieghi degli USVs e, dall’altro lato, renderebbero fattibile un rateo di produzione con costi contenuti e tempistiche ridotte.

In una posizione mediana, invece, si colloca l’Australia, che nel Febbraio 2024 ha annunciato l’intenzione di voler acquistare dagli Stati Uniti sei Large Optionally-crewed Surface Vessels (LOSVs), sostanzialmente dei LUSVs equipaggiati con 32 celle VLS. Anche la Repubblica Popolare Cinese segue una medesima tipologia di impianto concettuale simile a quelli della classe Sea della US Navy. La China State Shipbuilding Corporation ha infatti sviluppato il Jari-USV-A Orca, una nave drone con scafo trimarano dotata di celle VLS a vettore variabile per ospitare missili antinave, antiaerei ed antisommergibile. Anche altri Paesi, infine, come la Francia e la Corea del Sud hanno avviato ed integrato i concetti di MUSV e LUSV, attraverso rispettivamente le aziende Naval Group dal 2022 e Daewoo Shipbuilding & Marine Engineering dal 2023. Gli sviluppi applicativi, tuttavia, risultano ancora in una fase embrionale e definitoria, distanti dal produrre significativi e fattuali riscontri nel breve termine.

Nel complesso, quindi, si delineano una serie di iniziative, tanto sul profilo dottrinale quanto sotto quello industriale, identificative delle specifiche esigenze e capacità dei singoli Stati. Da una parte, infatti, si configura la postura statunitense, focalizzata sull’espletamento delle DMO in un contesto ad alta intensità in uno scenario overseas. Dall’altra parte, invece, il paradigma anglo-tedesco è articolato tenendo prioritariamente in considerazione della necessità di incrementare le capacità missilistiche antiaeree, antidrone, antimissile e di attacco al suolo delle proprie formazioni navali, le cui unità sono dotate di un numero di vettori limitato. In questo senso, le navi drone andrebbero parzialmente a svolgere il ruolo oggi associabile a quello ricoperto dagli incrociatori missilistici, assetti dei quali le Marine Militari europee alleate sono prive. Pertanto, l’introduzione di navi drone con funzione di arsenale potrebbe contribuire a mutare l’intera architettura delle flotte militari del futuro sotto due fondamentali segmenti. Il primo concerne la sostenibilità industriale di una crescente ibridizzazione delle flotte, orientabile verso l’incremento delle diverse componenti unmanned e la parziale riduzione di assetti high-end. Il secondo fattore è rappresentato dall’eventuale transizione verso unità navali modulabili e multiruolo, volte a ridurre il tonnellaggio complessivo delle future flotte. La commistione tra requisiti tecnici, operativi e capacità di supporto delle filiere produttive ed industriali coinvolte, determinerà verosimilmente la pervasività che questi assetti avranno negli schieramenti navali del futuro. Una parziale introduzione, d’altra parte, è ampiamente immaginabile in contesti operativi reali di medio termine, mentre rimangono in divenire le valutazioni circa la piena interoperabilità di questi battelli all’interno di uno scenario ad elevato tasso di attrito.