Hezbollah e il Libano a un anno dalla morte di Nasrallah
Tra il 25 e il 27 settembre Hezbollah ha celebrato il primo anniversario della morte del suo leader storico, Hassan Nasrallah, ucciso il 27 settembre 2024 da un bombardamento israeliano nella periferia sud di Beirut. Varie commemorazioni hanno avuto luogo in tutto il Paese, in particolare nella capitale, scontrandosi con la volontà governativa che aveva tentato di limitare le manifestazioni. Il Primo ministro Nawaf Salam aveva vietato di proiettare sui faraglioni rocciosi le immagini del defunto segretario di Hezbollah, divieto che è stato poi disatteso.
Lo scontro fra Israele e Hezbollah aveva raggiunto la massima intensità nel settembre 2024. L’intelligence israeliana aveva completato un’operazione preparata da anni, che aveva permesso di sabotare cercapersone, radio e altri strumenti di comunicazione usati dai miliziani. In seguito, una serie di raid mirati aveva colpito la leadership del movimento sciita: oltre a Nasrallah, era stato ucciso nello stesso periodo anche Hashem Safieddine, considerato il suo successore naturale, insieme a numerosi comandanti di alto rango. L’eliminazione dei leader è stata presentata da Israele come il risultato di una strategia di lungo periodo, iniziata già dopo i falliti tentativi di assassinio di Nasrallah nel 2006.
La partecipazione delle milizie libanesi alla guerra in Siria nel 2011 era stata una buona occasione per Israele per provare ad infiltrarsi tra le sue fila e carpire così indicazioni preziose. La partecipazione al conflitto civile siriano a sostegno di Bashar al-Assad aveva, infatti, reso i miliziani di Hezbollah più vulnerabili e costretti a condividere informazioni con un esercito diverso dal proprio. Israele è stato in grado di inserirsi in questa frattura, penetrando in profondità e acquisendo dati essenziali sull’organizzazione. Questa minuziosa attività di controllo ha permesso di giungere al preciso bombardamento del settembre 2024.
Dopo la perdita del suo leader più carismatico e di parte della sua classe dirigente, Hezbollah si è ritrovata in una fase di forte disorientamento interno, sfociato poi in un momento di riorganizzazione politica e militare complessa, che sembra ancora ora lontana dall’essere completata.
La guida del movimento, a quel punto, è stata affidata a Naim Qassem, vicesegretario generale dal 1991 e membro storico del partito. Meno carismatico dei suoi predecessori Abbas al-Musawi e Nasrallah, Qassem vive in clandestinità e non appare mai in pubblico. La sua carriera politica era iniziata tra le file del movimento sciita Amal, da cui si era distaccato dopo la rivoluzione iraniana per fondare Hezbollah nel 1982. Nel videomessaggio diffuso durante le commemorazioni di settembre 2025, Qassem ha riaffermato la centralità della lotta armata contro Israele e ha ribadito il rifiuto di trasformare Hezbollah in un semplice partito politico.
Proprio la questione del disarmo di tutti i gruppi armati, Hezbollah in testa, rimane uno dei principali nodi della politica libanese attuale. Sostenuto dagli Stati Uniti, dalla Francia, da Israele e dal Golfo, il governo ha avviato un piano che mira a garantire il monopolio delle armi all’esercito regolare. L’iniziativa, presentata con il supporto dell’inviato speciale statunitense Tom Barrack, ha già portato ad alcune prime consegne di armamenti da parte di gruppi palestinesi all’esercito libanese, come accaduto il 21 agosto 2025 nel campo di Burj al-Barajneh, a sud di Beirut. Si tratterebbe di un primo tentativo verso il rafforzamento della sovranità statale e della stabilità interna, in un contesto in cui il Libano è da decenni caratterizzato dalla presenza di milizie armate non statali.
Il disarmo di Hezbollah viene considerato dagli alleati occidentali e arabi un passaggio imprescindibile per garantire la stabilità del Paese e sbloccare aiuti economici. Di recente, l’amministrazione Trump ha approvato lo stanziamento di 230 milioni di dollari per le forze di sicurezza libanesi, proprio nell’ambito di questo impegno a disarmare il gruppo sciita guidato da Qassem. Il finanziamento sembra riflettere anche la priorità data dalla Casa Bianca al tentativo di risolvere il conflitto a Gaza.
Dopo la crisi valutaria del 2019, che aveva portato a un crollo dell’80% del valore della moneta, e l’esplosione al porto di Beirut del 2020, l’economia libanese non si è mai ripresa. Anche Arabia Saudita e Qatar hanno promesso di sostenere finanziariamente il Paese, a condizione che il governo riesca a sradicare l’influenza armata del Partito di Dio entro la fine dell’anno. Il disarmo si inserisce dunque in un contesto geopolitico di ampio respiro, benché questa prospettiva presenti un rischio sociale significativo: Hezbollah non è soltanto una milizia, ma altresì una rete di servizi e assistenza che assicura sussistenza a una parte rilevante della popolazione sciita. Un sondaggio del 2020 riportava come l’89% della comunità avesse un’opinione positiva della milizia libanese.
Qassem, nel ripetere l’irrealizzabilità del piano di disarmo, ha paventato lo spauracchio della guerra civile, circostanza da scongiurare per il governo di Beirut, così come per i suoi alleati regionali e internazionali. Non sarebbe sostenibile, infatti, per l’esercito regolare fronteggiare Hezbollah senza conseguenze catastrofiche, senza contare che un eventuale conflitto rischierebbe di creare spaccature anche in seno alle stesse forze armate, divise nelle sue componenti confessionali. Per gran parte della comunità sciita, le armi di Hezbollah rappresentano una forma di protezione in assenza di uno Stato capace di garantire pienamente diritti e sicurezza. Un’altra criticità per gli sciiti è inoltre legata all’ulteriore emarginazione politica, in un momento in cui a livello governativo è avvenuto un decremento relativo di rappresentanza a seguito della nomina di Joseph Aoun come Presidente della Repubblica e Nawaf Salam come Primo ministro.
Sul piano istituzionale, il Libano è uscito solo di recente da un lungo stallo politico. Nel gennaio 2025, dopo più di due anni di vuoto presidenziale iniziato con la fine del mandato di Michel Aoun nell’ottobre 2022, il Parlamento ha eletto Joseph Aoun, comandante dell’esercito e cristiano maronita, come nuovo Capo dello Stato, in ossequio alla consuetudine secondo cui tale carica spetta a esponenti della sua confessione religiosa. Il sistema politico libanese rimane però intrinsecamente fragile, basato su un rigido equilibrio confessionale che ripartisce le principali cariche dello Stato in base all’appartenenza religiosa. Nato con l’intento di garantire la coesistenza tra comunità, questo meccanismo ha spesso prodotto l’effetto opposto, accentuando la polarizzazione e alimentando tensioni, fino a episodi di violenza politica, come l’assassinio dell’ex premier Rafiq Hariri nel 2005.
Oggi Hezbollah sembra avere meno potere anche sul piano istituzionale: nel nuovo esecutivo il gruppo e i suoi alleati non dispongono più di un numero di ministri tale da garantire un blocco di tipo “terzo veto” sulle decisioni che richiedono una maggioranza dei due terzi. Questo rappresenta una limitazione concreta rispetto al passato, quando talvolta riusciva a esercitare una influenza decisiva su delibere fondamentali grazie alla capacità di coalizione.
Anche a livello regionale il movimento si trova in difficoltà. La caduta a Damasco del regime di Bashar al-Assad a dicembre 2024 ha privato Hezbollah di un sostegno cruciale, sia sul piano politico che su quello logistico. È venuto meno, infatti, l’importante corridoio della Siria che consentiva a Hezbollah di ricevere equipaggiamenti dall’Iran, suo principale foraggiatore. Quest’ultimo sta vivendo a sua volta un periodo non florido, dopo la “guerra dei 12 giorni” con Israele e l’annuncio della reintroduzione delle sanzioni, che rischiano di influire pesantemente sull’economia già precaria della Repubblica Islamica. Sembra difficile che l’Iran nel prossimo futuro possa fornire lo stesso supporto del passato ai miliziani libanesi, nonostante le recenti visite a Beirut da parte di Ali Larijani, Segretario del Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale iraniano.
Rimane aperto il fronte sud nel Paese dei cedri, in cui il confronto sostanziale tra Israele e Hezbollah non è mai terminato. Nonostante un cessate il fuoco e una scadenza per il ritiro delle truppe israeliane fissata al 18 febbraio 2025, infatti, Tel Aviv ha continuato a mantenere cinque avamposti strategici lungo il confine. Il motivo sarebbe da ascrivere all’incapacità delle forze libanesi di garantire un controllo effettivo su tali territori. In realtà la scelta sembra rientrare nella strategia israeliana di creazione di una zona cuscinetto in un confine labile, mirata a proteggersi dai suoi nemici. Permane quindi un vantaggio tattico da parte di Israele che, posizionato su alture strategiche, è in grado di monitorare e controllare varie aree.
Il futuro del Libano dipenderà dalla capacità del governo di gestire il delicato equilibrio tra pressioni esterne, consenso interno e rapporti di forza militari. Se il piano di disarmo dovesse avere successo, Beirut potrebbe consolidare la propria sovranità e rafforzare il suo esercito regolare. D’altro lato però, Hezbollah appare ancora ben lontano dall’accettazione della proposta. Fino a che Israele continuerà le sue operazioni militari, appare difficile che il Partito di Dio possa a rinunciare unilateralmente alle armi. Forte del suo radicamento sociale e politico, il movimento sciita rimane in grado di mobilitare ampi settori della popolazione, rischiando di trasformare il processo di disarmo in un nuovo terreno di scontro interno.