L’Africa e il rinnovabile: in Kenya il parco eolico più grande del continente
Africa

L’Africa e il rinnovabile: in Kenya il parco eolico più grande del continente

Di Sara Nicoletti
25.11.2019

A luglio 2019 il Presidente del Kenya Uhuru Kenyatta ha inaugurato ufficialmente il Lake Turkana Wind Project (LTWP), il parco eolico più grande d’Africa, completato e messo in funzione dopo 13 anni dalla prima approvazione nel 2006. Il progetto, per cui sono stati spesi circa 650 milioni di euro, rendendolo il più grande investimento privato della storia del Kenya, si compone di 365 turbine di 50 m posizionate a circa 8 km dalla costa orientale del Lago Turkana, nell’area di Loiyangalani. Le stime prevedono una capacità installata di 310 megawatt da sommare a quella della rete nazionale, che aumenterebbe tra il 15 e il 20%. L’impianto è collegato alla rete elettrica nazionale da un elettrodotto lungo 428 km che va da Loiyangalani a Suswa e l’energia prodotta verrà venduta alla compagnia nazionale Kenya Power&Lighting Co. (KPLC) tramite un accordo di acquisto della durata di 20 anni.

Il LTWP doveva essere inaugurato nel 2017, ma dei problemi di finanziamenti alla linea di trasmissione, gestita dalla compagnia statale Kenya Electricity Transmission Company (KETRACO), hanno rallentato la connessione alla rete nazionale, che è avvenuta solo nel settembre 2018. Le diverse parti del progetto hanno avuto più finanziatori e creditori internazionali. In particolare, i primi creditori sono la European Investment Bank (EIB), che ha erogato un prestito di 200 milioni di euro, e un consorzio di compagnie africane ed europee (EU-Africa Infrastructure Trust Fund).

Questo progetto ha come obiettivo principale quello di garantire al Paese un’energia non solo pulita, ma anche più economica e più regolare di quella fornita, ad esempio, dagli impianti idroelettrici, che forniscono circa la metà dell’elettricità totale prodotta in Kenya. Inoltre, molte attività produttive che potrebbero rilanciare l’economia keniota, primo tra tutti il settore manifatturiero, richiedono un quantitativo di energia che non è sostenuto dall’attuale produzione e necessita pertanto di un potenziamento che non sia solo maggiore ma anche più costante.

Il parco eolico si pone all’interno di un’ampia prospettiva politica di sostenibilità. Infatti, esso è coerente sia con il Kenya Vision 2030, ovvero un piano di sviluppo a lungo termine per lo Stato keniota, sia con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. In particolare, il LTWP influirebbe positivamente sulla mitigazione del cambiamento climatico, essendo una fonte di energia che non produce emissioni nocive per l’atmosfera, garantirebbe un maggiore accesso a un’energia pulita ed economica, e influirebbe sullo sviluppo economico e sulla creazione di posti di lavoro.

Nell’ultimo decennio, la copertura elettrica in Kenya ha subito un forte miglioramento, posizionando il Paese costantemente al di sopra della media dell’Africa sub-Sahariana dal 2014 in poi. Secondo i dati della Banca Mondiale (2017), l’accesso della popolazione rurale all’energia elettrica in Kenya si attestava intorno al 57,6% contro una media sub-Sahariana al 22,6%. Con un accesso totale pari al 75% nel 2018, il Kenya è il Paese con il più alto tasso di accesso all’elettricità dell’Africa orientale. Tuttavia, le cifre riportate sono lontane dall’obiettivo fissato nel 2018 dalla Kenyan National Electrification Strategy (KNES) di avere un accesso universale entro il 2022. Inoltre, nonostante le percentuali siano relativamente alte per un Paese dell’Africa sub-Sahariana, l’elettricità disponibile è comunque intermittente e meno sicura, poiché è fornita prevalentemente dall’energia idroelettrica (su cui non si può fare affidamento durante la stagione secca) e dall’energia geotermica, che ha un impatto ambientale maggiore rispetto all’eolico. L’energia elettrica restante viene prodotta da impianti tradizionali, basati sulle importazioni di carburanti fossili, piuttosto costose. Secondo KETRACO, tramite il LTWP si potrebbero risparmiare circa 8 milioni e mezzo di euro grazie alla riduzione dell’import di carburanti fossili. Rendere l’energia più economica potrebbe portare a un miglioramento del quadro attuale, in cui nelle aree rurali una persona su 4 non ha accesso alla corrente elettrica.

La zona del Lago Turkana, dove si trova il progetto, è una delle aree più povere del Kenya, dove convivono tribù pastorali e agricolo-pastorali, con gravi problemi di infrastrutture e collegamenti con il resto del Paese. Il miglioramento di circa 200 km di strada a opera di alcune compagnie scandinave, volto ad agevolare il trasporto delle turbine dal porto di Mombasa a Loiyangalani, ha permesso la riduzione del tempo di percorrenza del tratto da 1-2 giorni a circa 4 ore. Inoltre, il trasporto di persone e merci è aumentato esponenzialmente, e il più facile approvvigionamento ha permesso un abbassamento dei prezzi dei generi alimentari nei mercati locali del 20-30%. Il guadagno netto dei pescatori è aumentato del 30%, e quasi 2000 posti di lavoro sono stati creati durante il periodo di costruzione del sito, trasformati in circa 350 posizioni lavorative permanenti. Il collegamento di aree più remote ha avuto un impatto positivo su istruzione e sanità, poiché ha facilitato il raggiungimento di scuole e ospedali. Pertanto, la costruzione del parco eolico ha delle conseguenze positive sia primarie, come un minor impatto ambientale e una maggiore affidabilità ed economicità dell’energia, che secondarie, come la riduzione dei costi dei trasporti e dei generi alimentari dovuta al miglioramento delle strade.

Tuttavia, un progetto di tale portata ha generato anche degli effetti collaterali o il rischio del loro verificarsi. Innanzitutto, l’arrivo nell’area di Loiyangalani di lavoratori stagionali potrebbe causare un aumento delle malattie infettive, prima fra tutte l’HIV/AIDS, dovuto a un’interazione più intensa tra gruppi precedentemente isolati tra loro. Lo stesso fenomeno potrebbe produrre anche una destabilizzazione degli equilibri tra le differenti tribù e comunità, a causa dell’inserimento di nuovi elementi nei loro stessi territori. Per il momento sembra che questi rischi siano tenuti sotto controllo, anche attraverso dei piani di compensazione messi a punto da organizzazioni internazionali e keniote. Nonostante ciò, l’equilibrio rimane precario e molti locali non sono soddisfatti dalle compensazioni ricevute. La stessa insoddisfazione si registra tra quelle tribù pastorali nomadi, molto diffuse intorno al Lago Turkana, che hanno perso gran parte delle terre da loro precedentemente utilizzate per la transumanza del gregge, a causa dell’installazione del progetto.

Per questo, sebbene esso apporti benefici da un punto di vista ambientale, economico, occupazionale e sanitario, bisogna tenere in considerazione la possibilità di ristrutturare i piani di compensazione in modo da minimizzare l’insoddisfazione locale prima che sfoci in delle vere e proprie tensioni comunitarie, vista la situazione di povertà estrema in cui già si trova l’area e la maggiore propensione di aree simili ad essere teatri di scontri etnici, specialmente quando degli elementi di cambiamento vengono inseriti.

Inoltre, per quanto progetti di portata ampia come quello del LTWP abbiano sicuramente un impatto positivo in termini di accesso all’elettricità, in alcuni casi dei progetti autonomi di dimensioni più ridotte potrebbero essere maggiormente funzionali a una distribuzione capillare dell’energia elettrica. Prendendo proprio l’esempio del LTWP, esso è stato progettato per fornire elettricità principalmente alle zone meridionali del Kenya, nonostante il Nord sia l’area che più ne ha necessità, dove invece si usano materiali nocivi e pericolosi come il cherosene e il carbone. Tuttavia, pur essendo stata dimostrata la loro efficacia, tali iniziative non attirano investitori internazionali, come la World Bank o l’European Investment Bank, che sono invece più propensi a finanziare grandi progetti.

In ogni caso, la rapida ascesa dell’accesso all’energia elettrica in Kenya permette un certo ottimismo nel guardare al futuro energetico del Paese, rimanendo tuttavia cauti nel considerarlo un modello da adottare anche in Occidente, poiché se è vero che i modelli europei non sempre sono efficaci quando applicati all’Africa, anche il principio contrario è valido. Infatti, i Paesi sviluppati necessitano di una quantità di energia che al momento non può essere soddisfatta esclusivamente dal rinnovabile, perciò sono necessarie formule diverse da quelle adottabili nei Paesi in via di sviluppo. Dall’altro lato, quello del Kenya rimane un messaggio positivo per due motivi: innanzitutto, dimostra la capacità di un Paese dell’Africa sub-Sahariana di intraprendere e portare a termine un’iniziativa di tale portata, attirando una quantità cospicua di investimenti; dall’altro, l’uso e lo sviluppo massiccio del rinnovabile in questi Paesi, che non sono mai passati per una completa industrializzazione tramite le fonti tradizionali, contraddice l’opinione secondo cui lo sviluppo deve passare necessariamente dai carburanti fossili prima di approdare alle più sofisticate energie pulite. La sfida rimane nel vedere se e come, nel momento in cui effettivamente i Paesi dell’Africa sub-Sahariana dovessero andare incontro a una maggiore industrializzazione anche grazie al potenziamento dell’energia elettrica, saranno in grado di continuare a soddisfare la crescente richiesta di energia tramite fonti rinnovabili.

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