Operazione Midnight Hammer: la mezzanotte del programma nucleare iraniano
Nella notte tra il 21 ed il 22 Giugno gli Stati Uniti hanno condotto un attacco mirato ai tre principali siti del programma nucleare della Repubblica Islamica dell’Iran: Fordow, Isfahan e Natanz. L’Operazione, denominata Midnight Hammer, ha previsto l’impiego, tra gli altri, di sette bombardieri strategici B-2 Spirit equipaggiati ciascuno con due bombe guidate anti-bunker (bunker buster) GBU-57/B Massive Ordnance Penetrator (MOP), concepite per distruggere infrastrutture situate nell’estrema profondità del terreno. Nel complesso, l’articolata azione di bersagliamento a lunghissimo raggio ha coinvolto un vasto e strutturato dispositivo aereo, composto da circa 125 velivoli, volto ad abilitare e supportare il bombardamento, in uno scenario operativo già selettivamente modellato da nove giorni di bombardamenti dell’Israeli Air Force (IAF), nel contesto dell’Operazione Rising Lion.
La penetrazione dello spazio aereo iraniano è infatti avvenuta mediante l’impiego di squadriglie multiple di caccia di 5a e 4a generazione, plausibilmente F-16 Viper, F-22 Raptor ed F-35 Lightning II, in volo ad alta velocità ed alta quota, con l’obiettivo di eludere e depistare le già disarticolate difese aeree iraniane ed eventualmente neutralizzare postazioni rimanenti con l’utilizzo di missili AGM-88 High Speed Anti Radiation Missile (HARM). La diversificazione di tali assetti è riconducibile alla contemplazione di eventuali, seppur di marginale probabilità, tipologie di ingaggio differenti: dalle missioni di soppressione e distruzione delle difese aeree nemiche (SEAD/DEAD – Suppression/Destruction of Enemy Air Defenses), fino a quelle più remote di Offensive Counter-Air (OCA), in un quadro di allerta e prontezza nel caso di una risposta maggiormente articolata da parte delle Forze Armate iraniane. La restante componente ad ala fissa, inoltre, ha integrato i centri di Comando e Controllo (C2 – Command and Control) e fornito supporto logistico, divisi tra assetti per la conduzione di guerra elettronica e diversi aerei rifornitori per il sostentamento a lungo raggio dei velivoli coinvolti nell’operazione. Le bombe sganciate dai velivoli della US Air Force hanno colpito i siti di Fordow e Natanz, mentre quello di Isfahan è stato bersagliato con circa trenta missili da crociera Tomahawk (TLACM – Tomahawk Land Attack Cruise Missile), lanciati da un sottomarino classe Ohio, in navigazione in prossimità del Mar Arabico. Tale scenario evidenzia, ancora una volta, la significativa capacità degli Stati Uniti di condurre operazioni su vasta scala a lunghissimo raggio, unito al massivo volume di forza proiettato, nonché alla successiva rapida dispersione delle forze impiegate. Elementi che, congiuntamente, hanno permesso il raggiungimento degli obiettivi dell’operazione nella massima sicurezza.
Dalle immagini satellitari, è possibile supporre che gli obiettivi bersagliati abbiano subito ingenti danni, con una rilevante degradazione dello stato di avanzamento del programma nucleare iraniano. Al netto di ciò, però, risulta pressoché impossibile effettuare una precisa ed accurata stima dei danni provocati, dipendenti anche dalle reali e specifiche componenti colpite e da fattori geologico-infrastrutturali plurimi. La rapida escalation in corso, inoltre, è plausibile che abbia incentivato Teheran ad agire per la dispersione e l’occultamento di parte delle centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, potenzialmente stoccabili in container o depositi protetti. Contestualmente, non è possibile escludere la detenzione di parziali componenti del programma nucleare in siti industriali e militari camuffati, nonché in strutture ed arterie sotterranee, facenti parte di impianti dual use appartenenti al Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC – Islamic Revolutionary Guard Corps). Se dunque l’attacco appare completare il degradamento del pilastro infrastrutturale del programma nucleare iraniano, al quale si aggiunge l’eliminazione di una non trascurabile quota di personale tecnico e scientifico attuata dall’Israel Defense Forces (IDF), permane un serio rischio di proliferazione per quanto attiene l’ubicazione e la destinazione del combustibile nucleare arricchito al 60% in possesso di Teheran.
Gli effetti generati da Rising Lion prima e Midnight Hammer poi, pongono la Repubblica Islamica in una condizione dirimente in relazione alla volontà, ed alla possibilità, di perseguire i propri interessi ritenuti strategici, aprendo a molteplici scenari in divenire. L’uso della forza, verosimilmente protraibile nel breve termine soprattutto da parte israeliana, sembra aver chiuso un’ipotesi di qualsivoglia prosieguo del programma nucleare iraniano, se non in forme strettamente controllate e dipendenti dall’esterno per l’arricchimento. L’oggettiva ed appurata superiorità militare delle forze israeliane e statunitensi, inoltre, comprime ulteriormente il margine di risposta iraniano che, nonostante possa operare ritorsivi bersagliamenti missilistici di saturazione con intensità decrescente, potrebbe esporsi ad un sensibile innalzamento del rapporto costi-benefici qualora perseguisse una regionalizzazione del conflitto. D’altra parte, Teheran affronta un sempre più negativo bilanciamento tra deterrenza ed irrilevanza, in cui la commistione tra obiettivi politici e sensibilità strategica potrebbe condurre a pericolosi tentativi di proseguire il programma nucleare attraverso soluzioni laterali e parallele. Nello scenario attuale, l’apparato politico iraniano non sembra intenzionato ad accettare una sostanziale sconfitta, implicante una fattuale rinuncia alle proprie ambizioni nucleari, rendendo pertanto possibile che nel breve termine la Repubblica Islamica possa optare per un ingaggio asimmetrico e continuato con i propri avversari. Da un lato ciò porterebbe Israele a sostenere una guerra d’attrito per quanto riguarda la scorta ed il sostentamento di vettori intercettori e d’attacco nel lungo termine, dall’altro costringerebbe gli Stati Uniti a permanere in un teatro dispendioso e non prioritario. La crescente estensione degli obiettivi perseguiti nel contesto dell’Operazione Rising Lion e la ricorrente prospettiva di un negoziato imposto alla controparte iraniana, non permettono di escludere l’eventualità di un cambio di regime, necessariamente sostenuto da fazioni interne al Paese.