L’inedita “Große Koalition” e la Presidenza del G20: nuove sfide per il Sudafrica
Il prossimo vertice finale del G20, che riunirà i Capi di Stato delle venti maggiori economie mondiali, verrà ospitato a Johannesburg dal 22 al 23 novembre 2025 e rappresenterà il momento apicale della presidenza sudafricana. La riunione non solo traccerà un bilancio dell’operato della cosiddetta “Nazione Arcobaleno”, ma permetterà di capire come e quanto Pretoria sia stata in grado di gestire una duplice e delicata fase di transizione sia sul piano interno che internazionale.
È la prima volta che uno Stato africano assume la guida del forum delle principali economie mondiali in un momento storico caratterizzato da numerosi focolai di crisi (Ucraina, Medio Oriente) e scosse alla stabilità economica globale (politiche tariffarie di Trump, guerra commerciale Stati Uniti-Cina e Stati Uniti-Europa). Pretoria, dunque, ha l’occasione di sottolineare le posizioni africane e dei BRICS di fronte a tali sfide internazionali.
Sul piano interno, il Sudafrica affronta una fase inedita nella sua storia post-apartheid. Infatti, lo scorso anno, una crescente insoddisfazione si era acuita nei confronti dell’African National Congress (ANC, il più antico movimento di liberazione del continente salito al potere con Nelson Mandela nel 1994) a fronte di reiterati giochi di potere, scarsa trasparenza e inefficaci strategie di contrasto alle problematiche economiche, tra cui l’alto tasso di disoccupazione e la crisi energetica.
A seguito di un lento deterioramento cominciato già qualche anno prima, l’ANC guidato da Cyril Ramaphosa si era frammentato al suo interno tra fazioni moderate e radicali, aveva perso sempre maggiori consensi e si era rivelato su più fronti impreparato nella gestione delle diverse sfide che interessano il suo tessuto sociale ed economico. Il partito aveva già toccato il punto più basso della sua storia con il cosiddetto State Capture: l’allora Presidente Jacob Zuma era tra gli artefici di un circolo vizioso di corruzione e nepotismo all’interno delle istituzioni, favorendo gli interessi di un’élite ristretta a cui venivano assegnati ruoli di vertice nei settori chiave dello Stato.
Il progressivo logoramento degli equilibri interni aveva portato inesorabilmente ad un punto di non ritorno, ufficialmente confermato dall’esito dell’ultima tornata elettorale. Le elezioni del maggio 2024 hanno marcato la fine di un trentennio contraddistinto dal monopolio politico da parte dell’ANC. Sceso per la prima volta sotto la soglia del 50% dei seggi, il Congresso Nazionale Africano ha dovuto aprirsi alla collaborazione con le opposizioni, formando un governo di coalizione inedito con la Democratic Alliance (DA) di John Steenhuisen, partito di raccolta delle minoranze bianca afrikaner, meticcia e indiana e di una piccola parte della popolazione nera delle grandi città. Di ispirazione liberale, la DA è sempre stata propensa a riforme economiche profonde, tagli alla spesa e interessata ad esprimere la sua influenza filoccidentale e internazionalista in rinnovati legami culturali ed economici con l’Europa.
Tuttavia, in una società già marcata dalla diversità sociale, etnica, linguistica e razziale, il nuovo assetto politico ha mostrato un’eterogeneità di visioni, differenze di approccio e di interessi spesso sfociati in aspri disaccordi. Mostrando tutta la fragilità e gli equilibri precari su cui si poggia il patto di governo di coalizione, nel mese di aprile vi sono state tensioni in merito all’approvazione del budget: la DA si è ritrovata a condividere la posizione dei due maggiori partiti populisti di opposizione, ossia il uMkhonto weSizwe (MK) di Jacob Zuma e l’Economic Freedom Fighters (EFF) di Julius Malema. Inoltre, a fronte dell’ipotesi di aumento dell’IVA, la DA ha presentato davanti all’Alta Corte accuse di incostituzionalità della misura. Per scongiurare la rottura della fiducia che avrebbe compromesso la tenuta dell’esecutivo, lo scorso 24 aprile il ministro delle Finanze Enoch Godongwana ha annunciato che non vi saranno aumenti dell’IVA.
In politica estera, invece, il governo di coalizione ha avuto la necessità di adottare una strategia di multi-allineamento. Da un lato, le relazioni con l’Europa sono tornate ad essere rilevanti dopo un decennio in cui le connessioni commerciali erano passate in secondo piano per volontà dell’ANC. D’altro canto, appare chiaro l’obiettivo di Pretoria di continuare ad essere portavoce autorevole delle esigenze del suo continente, assicurandosi di mantenere l’allineamento con il blocco africano per riaffermare l’autonomia dell’Africa in diversi ambiti e livelli nei più importanti fora internazionali.
In contesti multilaterali su vari tavoli negoziali il nuovo governo sta proseguendo nella linea di azione già tracciata dagli esecutivi precedenti, scegliendo una posizione di equilibrio tra il blocco del G7 e quello dei BRICS, aprendo una via privilegiata per confermarsi come leader continentale oltre che pivot geostrategico tra Est e Ovest, tra Paesi emergenti e democrazie occidentali, seppur con qualche differenza tra Europa e Stati Uniti, soprattutto dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Nonostante la storica vicinanza a Washington, oggi i rapporti tra i due Paesi hanno raggiunto i minimi storici: Trump ha criticato duramente il Sudafrica per il programma di esproprio delle terre a fini pubblici, interpretato come una persecuzione della popolazione bianca e per aver portato Israele di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia con l’accusa di genocidio nella Striscia di Gaza. A complicare ulteriormente il quadro vi è la situazione della compagnia Starlink di Elon Musk, cittadino sudafricano in aperto contrasto con il governo di Pretoria. Per operare secondo la legge, in Sudafrica l’azienda dovrebbe ottenere licenze di rete e di servizio che impongono una partecipazione del 30% da parte di gruppi storicamente svantaggiati nel rispetto del black empowerment (uno dei pilastri della politica economica dell’ANC). Inoltre, a testimonianza della rete di connessioni tra autorità dei rispettivi Stati vi sono anche gli stretti legami tra gruppi sudafricani bianchi di estrema destra con alcuni politici repubblicani. In risposta a questi screzi, l’amministrazione Trump ha deciso di sospendere tutti gli aiuti destinati al Sudafrica, espellere l’ambasciatore sudafricano a Washington Ebrahim Rasool e applicare l’esclusione del Sudafrica dall’accordo di libero scambio che garantisce vantaggi tariffari agli Stati africani.
Invece, in relazione alle dinamiche degli Stati emergenti, in qualità di membro fondatore dei BRICS il Sudafrica continua a consolidare la propria posizione all’interno del gruppo per ragioni economiche e diplomatiche. Cina e India in primis rappresentano fonti di accesso agli investimenti e sono partner commerciali fondamentali a fronte del calo strutturale della presenza occidentale in Africa. Oltre alla sfera economica, i BRICS offrono un’eccellente opportunità diplomatica che eleva il suo status ad attore globale. Il blocco, rafforzatosi con gli ingressi di Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Iran nel 2024 e Indonesia nel 2025, rappresenta e supporta il desiderio sudafricano di riforma del modello di governance politica ed economica globale di stampo occidentale, condividendo pienamente la sua posizione in settori cruciali come la transizione ecologica e lo sviluppo economico.
Lo scorso 28 e 29 aprile a Rio de Janeiro si è svolta la riunione plenaria tra i ministri degli esteri dei BRICS a cui hanno partecipato sia gli Stati membri che gli Stati partner. In questa sede sono stati affrontati il ruolo e il contributo che il gruppo può apportare nel rafforzamento del multilateralismo, la riforma delle istituzioni internazionali per una governance più rappresentativa delle economie emergenti e una nuova architettura di cooperazione internazionale incentrata su solidarietà, sviluppo e pace. Inoltre i BRICS, che rappresentano il 40% del PIL globale e metà del mondo (circa 4 miliardi di persone complessivamente), hanno espresso l’esigenza di una risposta coordinata ai dazi imposti da Trump, difendendo la centralità dei negoziati commerciali multilaterali come asse principale di azione. Per le questioni monetarie i Paesi sono stati concordi nell’incentivare l’uso delle valute nazionali negli scambi reciproci, riducendo l’uso delle valute occidentali e in particolare del dollaro. Il ministro degli esteri brasiliano Mauro Vieira ha concluso i lavori: “rappresentando quasi la metà dell’umanità e un’ampia diversità geografica e culturale, i BRICS sono in una posizione unica per promuovere la pace e la stabilità” in aree di crisi come nel caso del conflitto israelo-palestinese e di quello russo-ucraino. Tuttavia, al termine del summit non è stato pubblicato un comunicato congiunto: i capi delle diplomazie del blocco non hanno raggiunto l’unanimità sul paragrafo 8 del documento finale che riguarda la riforma del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: Egitto ed Etiopia non concordano che in caso di un ampliamento la rappresentanza per i Paesi africani venga affidata solo al Sudafrica. Gli Stati sono dunque al lavoro per appianare le divergenze sui temi principali in vista del 17° vertice dei leader dei BRICS che si terrà in Brasile il prossimo 6 e 7 luglio.
In linea con il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e con la promozione delle rivendicazioni degli interessi africani e del Sud Globale, l’approccio sudafricano alla presidenza del G20 si è posto in continuità con gli ultimi mandati degli altri Paesi emergenti (Indonesia, India e Brasile) e in connubio con lo spirito Ubuntu (spesso tradotto come "Io sono perché noi siamo”), una filosofia africana che enfatizza l’esigenza di interconnessione degli individui in un contesto sociale più ampio. Alla luce del mandato originario del forum per una crescita forte, sostenibile, bilanciata e inclusiva, Il Presidente Ramaphosa ha delineato l’agenda della presidenza sudafricana del G20 con un focus su tre temi principali (solidarietà, uguaglianza e sviluppo sostenibile) e quattro priorità.
La prima priorità riguarda la risposta ai disastri naturali e al cambiamento climatico, focalizzata sulla necessità di incrementare significativamente finanziamenti destinati a prevenzione e risposta alle catastrofi ambientali che hanno già avuto un impatto devastante sull’Africa. Un secondo aspetto è relativo all’esigenza di riforma delle istituzioni finanziarie internazionali per consentire maggiore accessibilità ai prestiti per infrastrutture, assistenza sanitaria e istruzione per i Paesi in via di sviluppo senza gravare eccessivamente sul costo del debito. Il terzo punto di attenzione concerne i finanziamenti per una transizione energetica equa. Come altri Paesi del Sud Globale, il Sudafrica lamenta i costi ingenti che la transizione a fonti rinnovabili presenta in Paesi a basso reddito, dove l’urgenza principale rimane quella di garantire l’accesso universale all’elettricità e all’acqua. Per questo motivo Pretoria è in prima linea per ottenere un impegno finanziario consistente per l’espansione delle fonti rinnovabili laddove gli stati non possano ancora affrontare gli alti costi della transizione ecologica.
Come quarta priorità il Sudafrica è capofila di un’iniziativa mirata al rafforzamento della filiera dei minerali critici in Africa, desiderando installare impianti di lavorazione e raffinazione in loco per evitare l’export di materie prime grezze.
Infine, il Sudafrica ha istituito tre task-force per cercare politiche condivise su crescita economica inclusiva e riduzione delle disuguaglianze, sicurezza alimentare, intelligenza artificiale e innovazione per lo sviluppo sostenibile, argomenti di stretta attualità nelle agende globali oltre che aspetti prioritari della cooperazione tra il Paese e i suoi partner europei.
La recente frattura aperta con Washington si è concretizzata in una dura opposizione anche su ogni obiettivo presentato dalla presidenza sudafricana del G20. Negli ultimi mesi gli Stati Uniti hanno bloccato i finanziamenti destinati ai progetti climatici e alla transizione energetica, frenato le riforme del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale e limitato la cooperazione sui minerali critici. Di fatto, questo raffreddamento da parte americana finora ha ostacolato il raggiungimento di accordi durante i primi incontri ministeriali del G20, svolti nel primo quadrimestre dell’anno. In attesa di una risoluzione delle controversie con l’amministrazione Trump che ha già minacciato di disertare i prossimi incontri del G20, i rapporti tra Unione Europea e Sudafrica acquisiscono una rilevanza crescente. A tal proposito, l’Unione Europea ha intensificato il dialogo con il Sudafrica, non solo nel corso del G20 di Johannesburg, ma anche durante il vertice ministeriale UE-Sudafrica del 13 marzo scorso, annunciando un piano di investimenti da 4,7 miliardi di euro per la transizione energetica, le infrastrutture, la connettività, i vaccini e il settore farmaceutico.
In conclusione, Pretoria dovrà declinare le sue diverse aspirazioni di Stato “ponte” tra Est e Ovest, “moderatore” tra economie emergenti e democrazie occidentali e portavoce delle istanze nazionali e continentali in termini nuovi che tengano conto delle evoluzioni e delle tensioni emergenti a livello globale. Parallelamente, sul piano domestico il nuovo governo di unità nazionale dovrà evitare di rompere il patto su cui si basa la gestione del power-sharing, andando oltre le differenze ideologiche e conciliando l’eterogeneità di visioni per affrontare le gravi sfide a più livelli che interessano il Paese, cosa essenziale per la stabilità dell’economia e della stessa democrazia sudafricana.