Il finanziamento al terrorismo dopo la disfatta del califfato: risorse, metodologie e attori coinvolti
Terrorismo e Radicalizzazione

Il finanziamento al terrorismo dopo la disfatta del califfato: risorse, metodologie e attori coinvolti

Di Daniele Maria Barone
19.08.2019

La perdita delle ultime roccaforti di Daesh (Stato Islamico o IS) in Siria ha rappresentato una disgregazione senza precedenti del gruppo. Ciononostante, la frammentazione dell’organizzazione resta solo apparente per ora: un cospicuo numero di membri milita e si riorganizza in Iraq e Siria, altri sono tornati nelle proprie nazioni di origine, mentre cellule sempre più numerose sono attive in Afghanistan, Egitto, Libia, Asia, Africa Occidentale, Somalia, Yemen, Sinai e nel Sahel.

La resilienza del gruppo risiede in diversi fattori ideologici, propagandistici, identitari e, nondimeno, in una inestinguibile competenza nel trovare fonti di finanziamento in grado di dare solidità e concretezza alle idee del gruppo.

E’ proprio nella stabilità delle risorse economiche di Daesh che, ove documentabile e tracciabile, risiede la possibilità di leggere e comprendere le sue strategie attuali e future. E’ infatti tra le pieghe della quasi assoluta liquidità ed intangibilità del terrorismo di matrice islamista estremista che risiede, seppur attraverso metodi clandestini ed illegali, la tangibilità delle sue risorse economiche: catalogabili in termini quantitativi, metodologici e preventivi.

Al culmine della dominazione dei territori in Siria ed Iraq, IS aveva prodotto approssimativamente un patrimonio di 6 miliardi di dollari che l’ha reso il gruppo terroristico più facoltoso della storia. Grazie al controllo territoriale, il gruppo si finanziava attraverso lo sfruttamento di giacimenti petroliferi, di gas ed altre risorse naturali, la tassazione della popolazione, la gestione dei rami bancari o attività illecite come estorsioni, rapimenti, furti e contrabbando di opere d’arte (facendosi scudo delle falle nel sistema di controllo del mercato nero in Iraq) e donazioni da individui facoltosi provenienti dai Paesi del Golfo.

Con queste premesse, nonostante lo sgretolamento del califfato, Daesh è comunque riuscito a trattenere ingenti somme in denaro contante, oro e opere d’arte. Inoltre, la perdita delle sue roccaforti ha privato l’organizzazione terroristica degli introiti ordinari, ma l’ha anche liberata dai costi fissi causati dalla sua gestione simil-statale di intere province nel Medio Oriente.

Già dalle prime ritirate strategiche dei leader dell’organizzazione dai territori del califfato nel 2017/2018, Daesh ha trasportato presumibilmente 400 milioni di dollari in contanti dalla Siria e dall’Iraq. Questi ed altri beni trasferiti sono stati riutilizzati per essere riciclati in attività commerciali legittime, come alberghi, ospedali, attività agricole e rivendite di automobili, al fine di fornire lavoro salariato ai propri membri. Inoltre il gruppo ha acquisito vantaggi economici anche attraverso la richiesta di finanziamenti da banche e da finanziarie (prestiti, compresi quelli agli studenti) e reinvestendo le proprie risorse economiche acquistando oro in Turchia.

Come esplicitato nel rapporto di marzo della Fondazione ICSA “Terrorismo, criminalità e contrabbando - Gli affari dei jihadisti tra Medio Oriente, Africa ed Europa”, non c’è contrabbando o traffico illecito in cui il terrorismo jihadista non faccia la sua comparsa, anche affiancato dalle mafie, dal crimine organizzato e dalla microcriminalità. Tra le merci contrabbandate le più ricorrenti riguardano: Idrocarburi, trasportati su camion verso il confine turco per essere venduto a broker petroliferi e trader che lo acquistano in contanti; reperti archeologici, che rappresentano un’ingente fonte di guadagno seconda solo al petrolio; armi, smerciate soprattutto nei Balcani. Su altri beni, quali sigarette, droga e migranti, gli uomini di Daesh hanno imposto esclusivamente “tasse di transito” o il pagamento di “servizio scorta”.

La poliedricità delle forme di traffico illecito che interessa Daesh dimostra che le potenzialità del gruppo di trovare sostentamento si diramano ed adattano sia a livello territoriale, servendosi di rotte africane, europee e mediorientali, che di diversificazione del prodotto trasportato. Infatti, con il multiple consignment contraband, ovvero “traffico multi-carico”, il gruppo ha la possibilità di movimentare nella stessa spedizione beni e merci illegali di diversa natura, ampliando e diversificando le sue modalità di diramazione tramite la sovrapposizione delle rotte del contrabbando ai territori in cui ci sono delle cellule del gruppo e allargando le proprie possibilità di collaborazione con le organizzazioni criminali.

Oltre al contrabbando, una fonte di finanziamento non trascurabile riguarda quella legata alle donazioni, più o meno volontarie, di specifiche categorie di fedeli non sempre consapevoli della destinazione ultima del proprio denaro.

Facendo leva sulla distorsione dei principi dell’Islam che riguardano la “purificazione della ricchezza” attraverso le donazioni e la carità, Daesh utilizza una terminologia specifica nella richiesta di denaro al fine di per giustificare le estorsioni o le richieste periodiche di finanziamenti. Tra i principi maggiormente diffusi si riscontra: Zakat, una vera e propria tassa per donare una quota del proprio capitale (solitamente il 2,5%, ma in tempi di guerra, come durante l’occupazione dei territori del califfato, anche di più); S_adaqa,_ la carità volontaria secondo la religione islamica; Jihad bil maal, la jihad non combattuta con le armi ma attraverso il finanziamento ai miliziani.

I più diffusi metodi informali e clandestini di donazione all’organizzazione da parte dei suoi membri sono: l’Hawala, un sistema informale di invio di denaro molto diffuso nelle popolazioni dei Paesi del Medio Oriente, Nord Africa, nel Corno d’Africa ed in Asia meridionale le cui modalità informali non consentono di avere una documentazione esaustiva sulle transazioni finanziarie; il money transfer**,** che peremtte di eludere i controlli tramite l’invio di piccole somme e il frazionamento sia orizzontale che verticale (un versamento ad un solo soggetto viene effettuato in diversi money transfer senza mai superare la soglia di attenzione, oppure si invia il denaro allo stesso soggetto ma in diverse porzioni, con versamenti disposti da più persone); le campagne di crowdfunding in bitcoin**,** che affiliati e simpatizzanti di Daesh usano da diversi anni.

Pur non avendo rappresentato una consistente risorsa economica per il gruppo, va tenuto in considerazione che il quasi totale anonimato garantito dalle cripto-valute, la velocità nell’effettuare transazioni e le caratteristiche sempre più user-friendly di questi prodotti potrebbero contribuire ad aumentarne la diffusione e il peso. L’episodio più recente che collega Daesh alle cripto-valute riguarda il sito di informazione affiliato a IS, Akhbar al-Muslimin. Attivo dal 2017 e bloccato dalle autorità poco dopo, è riapparso a gennaio 2019, presentando nuovi banner che invitano i visitatori ad effettuare donazioni via bitcoin.

Dunque, sulla base di queste considerazioni, si evince che Daesh è tuttora in grado di attingere le proprie risorse economiche trasversalmente in diversi ambiti sia legali che illegali, adattandosi alle evoluzioni sul piano geopolitico, territoriale e virtuale. Nel contesto ibrido di Daesh non è più sufficiente “seguire il denaro” ma è necessario un approccio internazionale sincronizzato tra istituzioni e settore privato, senza tralasciare le aree grigie in cui opera il terrorismo che comprendono aspetti culturali, religiosi e la diffusione e mancata regolamentazione delle nuove tecnologie.

Articoli simili