Libia, storia di un flop europeo
In Terris

Libia, storia di un flop europeo

13.01.2020

Nel clima di incertezza che accompagna le complicate trattative tra i due nomi cardine del conflitto libico, Fayez al-Serraj e Khalifa Haftar, c’è un dato che si erge come unica certezza: il dossier libico ha assestato all’Europa forse il colpo peggiore sul piano della progressiva perdita di consistenza del Vecchio continente sui grandi temi internazionali. Ha fallito la Francia nel tentativo di mediare in modo autonomo con gli attori principali del teatro di guerra del Nord Africa, ha stentato l’Italia, di fatto unico Paese in grado di mantenere rapporti diplomatici con entrambi i leader, non riuscendo a conciliarne la presenza a Roma nello stesso giorno… Segno evidente di come la mancanza di una politica condivisa e soprattutto unitaria su un tema che riguarda da vicino l’Europa meridionale sembra dirla lunga sulla risposta che Bruxelles sia stata in grado di dare, scontrandosi con difficoltà che ne hanno di fatto precluso la buona riuscita degli sforzi diplomatici per conciliare Tripoli e Tobruk. A imbastire un tavolo di confronto, sia pure fra delegazioni che nemmeno si parlano fra loro, ci riescono due forze operative sul piano militare, una con Serraj (la Turchia), l’altra con Haftar (la Russia): tanto per ribadire come, al momento, più che gli sforzi politici a pesare nell’economia della distensione in Libia sono ancora i supporti militari. In Terris ne ha parlato con il dottor Lorenzo Marinone, responsabile del Desk Medio Oriente e Nord Africa del Ce.S.I.

Dott. Marinone, è a quanto pare nello scenario di Mosca che si sta giocando la prima parte della sfida per la stabilità della Libia. Negoziati complicati, fra parti distanti e con rapporti fra loro ai minimi storici. A che punto siamo con le trattative?
“Si tratta di negoziati molto difficili al punto che le due delegazioni non sono sedute allo stesso tavolo. Ci sono russi e turchi che stanno facendo la spola fra le due delegazioni. Di solito, con una situazione di questo tipo è complicato tracciare un quadro della situazione poiché significa che non c’è nemmeno quel consenso minimo su alcuni punti. È una situazione dove può succedere di tutto: ad esempio che entrambe le parti decidano di investire un po’ su questi negoziati e vedere cosa accadrà nel prossimo grande appuntamento sulla Libia, previsto teoricamente per domenica prossima, la Conferenza di Berlino, tenendosi su una linea conservatrice concedendo il minimo possibile; oppure, potrebbe succedere che di fronte a delle richieste giudicate eccessive, una delle due parti decida di sbattere i pugni sul tavolo e andarsene. Molto probabilmente Serraj, facendo sì che si arenino subito le trattative. Non ci sono elementi che fanno propendere più per l’una che per l’altra soluzione, soprattutto in virtù delle questioni interne alla Libia che davvero dividono Haftar e Serraj”.

Nonostante i considerevoli sforzi diplomatici sostenuti fin qui dall’Italia e la prospettiva di una conferenza a Berlino, al momento le fila dei negoziati le tirano due Paesi operanti nel teatro del conflitto libico come Russia e Turchia. In che ottica va letta una situazione simile?
“Le fazioni libiche si sono riunite per iniziativa della Russia e della Turchia. È impossibile non pensare alle difficoltà che ha avuto l’Italia, l’unico Stato europeo che ha sempre parlato sia con Haftar che con Serraj, nel far solo venire a Roma, nello stesso giorno, entrambi i leader libici. Non ci siamo riusciti nonostante la sua posizione di Paese che notoriamente parla con tutti gli attori principali. Ci sono invece riusciti Turchia e Russia perché, ed è una questione dirimente, entrambe hanno una leva molto più forte rispetto ai Paesi europei poiché, in primis, stanno in modo aperto (la Turchia) e coperto (la Russia) offrendo supporto militare alle parti in conflitto. Questo significa che se rompono o diminuiscono questo appoggio, diventa evidente che né Serraj né Haftar possano vincere questa guerra. Non è tanto l’appoggio politico quello che conta in questa fase, quanto chi fornisce il supporto militare. E, in questo, la Russia assume un ruolo più rilevante di Paesi come gli Emirati Arabi, che hanno da lungo tempo fornito apporto militare ad Haftar – come la copertura aerea –, perché nel momento in cui i mercenari russi sono andati al fronte le forze della Cirenaica sono avanzate, cosa che non erano riuscite a fare prima. È quindi chiaro qual è il vantaggio di avere al fianco le forze russe, e questo lo capisce anche Serraj. Davanti alla prospettiva di un’offensiva ancora più pesante, anche qualcuno che può schierare la Turchia ma che non può aspettarsi un supporto militare dai Paesi europei, capisce che esiste un pericolo esistenziale per il controllo di Tripoli e che quindi conviene si ascolti la posizione russa”.

In sostanza, ora come ora sedersi al tavolo delle trattative sembra convenire più a Serraj che ad Haftar…
“A Serraj conviene perché, diversamente, il rischio è che Tripoli cada. Poiché gli attori dall’altra parte hanno dimostrato di non avere scrupolo ad aumentare l’intensità dell’offensiva e a fornire ad Haftar il supporto necessario per entrare nella capitale”.

E’ evidente che, in questo quadro, chi ne esce malconcia è l’Europa: la sensazione è che dal caso Libia l’Ue abbia perso parecchi punti in termini di rilevanza sui grandi temi internazionali…
“Assolutamente sì. Il dato più rilevante è che l’Europa ha dimostrato di non essere rilevante per quello che accade in Libia. E la sua irrilevanza è qualcosa che si è sviluppata su diverse fasi ma che pone le radici nel fatto che non esiste nemmeno una minima comunità di intenti sul come affrontare il dossier Libia. E non è solo la rivalità fra Italia e Francia ma una mancanza di coordinamento nell’azione esterna europea, la mancanza di obiettivi chiari che si vuole raggiungere come Unione europea e, quindi, la mancanza di una strategia. L’Europa ha fatto finta che sviluppare una politica comune per la Libia non fosse importante e ora ne sta pagando le conseguenze. E aggiungo un’altra cosa…”.

Prego…
“Tanti Paesi si sono mossi, soprattutto la Francia in modo ancora più evidente ma con quale risultato? Se inizialmente sembrava fosse la strada giusta, ora la Francia non è al centro dei negoziati, non sta gestendo le trattative e non ha molta voce in capitolo, non più di quanta possa averne qualsiasi altro Paese europeo. L’Ue si è quindi data la zappa sui piedi credendo che tutto continuasse ad andare bene. Siamo rimasti ad ascoltare l’orchestra mentre la nave stava affondando”.

Haftar e Serraj trattano a Mosca e sono attesi a Berlino ma, alla luce anche del ruolo progressivamente più marginale della diplomazia europea, non c’è il rischio che vengano meno gli sforzi per rispondere alle istanze degli altri attori in orbita attorno a Tripoli? Alla Conferenza ci saranno anche loro?
“A Berlino dovrebbero esserci anche loro. E anche il negoziato di Mosca non è solo fra Haftar e Serraj ma comprende anche il Parlamento di Tobruk, l’ultimo organo eletto, e il Parlamento di Tripoli, l’Alto consiglio di Stato. Dopodiché, da questo punti di vista non è una situazione diversa da prima dell’attacco di Haftar: Russia e Turchia sono attori impegnati a livello diplomatico ma le inimicizie sul campo non sono cambiate. Anzi, si sono aggravate. Non è detto che Mosca e Ankara riescano a trovare un compromesso di descalation serio e duraturo perché non hanno una ricetta in tasca: hanno un ruolo centrale più che altro perché c’è il vuoto cosmico di alternative. Nessun altro attore esterno si può impegnare come loro. Questa iniziativa avviene in un momento in cui gli Stati Uniti non sono minimamente interessati alla Libia e lo sono sempre meno rispetto alle dinamiche del Nord Africa e anche del Sahel. Quindi questo crea un vuoto. Dall’altra parte ci sono i Paesi europei che non hanno una linea comune e non riescono a riempire questo vuoto. Negli interstizi si infilano quegli attori che più di altri riescono a fare politiche flessibili, a rispondere in tempi rapidi e che non hanno tanti problemi a prendere decisione anche scomode pagando il prezzo politico che pagherebbero democrazie mature occidentali. Quindi Russia e Turchia, non solo in Libia, sono gli attori che in questo frangente, con un atteggiamento molto opportunistico, riescono a guadagnare posizioni senza avere soluzioni che assicuri di risolvere la situazione ma sono piazzati meglio di altri per prendersi il centro della scena”.

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