Dieci anni di Boko Haram: da complesso religioso a organizzazione terroristica internazionale
L'Indro

Dieci anni di Boko Haram: da complesso religioso a organizzazione terroristica internazionale

29.07.2019

staz Mohammed Yusuf e 30 luglio 2009 sono un nome e una data che alla maggior parte dei lettori potrebbero risultare sconosciuti, ma che in realtà sono di fondamentale importanza per comprendere la storia recente della Nigeria e i suoi rapporti con le organizzazioni jihadiste.

Era il 30 luglio 2009, infatti, quando il 39enne Ustaz Mohammed Yusuf venne ucciso a Maiduguri, capitale federale dello Stato del Borno, nella Nigeria nord-orientale, mentre era trattenuto in custodia dalla Polizia. L’uccisione di Yusuf fu un atto di giustizia sommaria perpetrato dalle forze dell’ordine, che dal 26 al 30 luglio dovettero scontrarsi con dei fondamentalisti islamici che rifiutavano di obbedire alle autorità governative. Gli scontri, partiti inizialmente da Maiduguri, si espansero poi in tutta l’area centro-nord-orientale del Paese, fino a raggiungere il culmine nella città di Bauchi: alla fine di quei giorni tremendi, l’escalation di violenze generata dal conflitto tra l’Esercito nigeriano ed i rivoltosi causò la morte di oltre 800 persone, la maggior parte civili.

Il leader dei fondamentalisti era proprio Yusuf, originario di Girgir, un villaggio nello Stato di Yobe, che qualche anno prima, nel 2002, aveva stabilito a Maiduguri un complesso religioso, composto da una moschea e una scuola islamica, all’interno del quale predicava la sua versione radicale dell’Islam e guardava con disprezzo alla società occidentale. Con il suo proselitismo impregnato di ideologia jihadista, la setta di Yusuf crebbe sempre di più, coinvolgendo non solo la parte povera della popolazione, ma anche i ceti più alti e gli studenti universitari. Quella organizzazione si chiamava Boko Haram, che in lingua hausa significa ‘l’istruzione occidentale è proibita’.

Uccidendo Yusuf, le autorità governative credevano di sradicare dalle radici il fondamentalismo islamico, ma si sbagliavano. La dipartita del carismatico leader islamista fece cadere la Nigeria in una spirale di violenze che si protrae ancora oggi e che, dal 2009, ha provocato oltre 30.000 vittime e oltre 2 milioni di sfollati.

Dopo la morte di Yusuf, infatti, Boko Haram – conosciuto anche come Gruppo della Gente della Sunna per la propaganda religiosa e la Jihad (JAS) – si è radicalizzato sempre di più sotto la guida di Abubakar Shekau, genero di Yusuf, e la sua zona di influenza ha varcato i confini nigeriani, toccando Ciad, Camerun e Niger.

Il 27 agosto del 2011, Boko Haram salì agli onori della cronaca internazionale dopo aver fatto esplodere un’autobomba di fronte un edificio delle Nazioni Unite ad Abuja, ferendo 75 persone e uccidendone 23.

La notte del 14 aprile del 2014, invece, nella città settentrionale di Chibok, membri dell’organizzazione fecero irruzione in un collegio femminile e rapirono 276 ragazze, provocando una profonda indignazione nell’opinione pubblica occidentale, che coniò all’epoca l’hashtag #BringBackOurGirls. Nei mesi e negli anni successivi, alcune sono riuscite a scappare, altre sono state ritrovate, ma oltre 100 di quelle ragazze mancano ancora all’appello.

Tra il 2013 ed il 2015 l’attività di Boko Haram si fece sempre più imponente. Mentre espanse i suoi territori, prendendo Boma e Gwoza, furono oltre 11.000 le persone uccise dall’organizzazione.

Il 2015, però, rappresenta un anno cruciale per i terroristi nigeriani. Il Governo, infatti, riuscì a riprendere Gwoza, costringendo Boko Haram a spingersi verso nord. Allo stesso tempo, però – forse costretto dalle necessità – Shekau fece atto di sottomissione verso il Califfato islamico di Abu Bakr al-Baghdadi, costituendo l’Islamic State West Africa Province (ISWAP, Stato Islamico dell’Africa Occidentale).  L’efferatezza dei metodi utilizzati da Shekau, però, crearono dei dissidi all’interno dell’organizzazione e non erano visti di buon occhio dai vertici di Daesh, che,nell’agosto del 2016, decisero di affidare la leadership dell’ISWAP ad Abu Musab Al-Barnawi, uno dei figli di Yusuf. La fazione fedele a Shekau, allora, si staccò dall’ISWAP, continuando ad usare la denominazione JAS (Jamāʿat Ahl al-Sunna).

Entrambi i gruppi, comunque,  vengono indicati genericamente con l’originaria denominazione di Boko Haram e perpetrano le loro azioni – sebbene con strategie differenti – ancora oggi nelle regioni nord-orientali della Nigeria e nei territori intorno al Lago Ciad. È di ieri la  notizia che alcuni miliziani avrebbero perpetrato un attacco durante un funerale nel distretto di Nganzai, vicino Maiduguri, uccidendo almeno 65 persone e ferendone circa una decina.

Ovviamente, i dieci anni di violenze perpetuate da Boko Haram hanno segnato profondamente anche l’economia nigeriana. Come riportato dal Council on Foreign Relations, gli afflussi di investimenti diretti esteri nel Paese sono precipitati dal 2011, scendendo da quasi 9 miliardi a  3,5 miliardi di dollari nel 2017. Attacchi e continui rapimenti, inoltre, bloccano la crescita e lo sviluppo delle aree in cui l’organizzazione è più attiva.

Per sconfiggere Boko Haram, quindi, la Nigeria ha cercato il sostegno militari dei Paesi limitrofi e delle potenze occidentali. Così, dal 2015, con la benedizione dell’Unione Africana, Camerun, Ciad e Niger hanno dispiegato migliaia di truppe per combattere i miliziani. Dopo i fatti di Chibok, invece, è aumentata l’assistenza da parte di Francia, Regno Unito e Stati Uniti, con Washington che l’anno scorso ha concluso un accordo di 600 milioni dollari con il Governo di Abuja per vendere dei caccia in funzione antiterroristica.

Per capire meglio le strategie di Boko Haram e i cambiamenti strutturali in cui negli anni è andato incontro, abbiamo contattato Marco Di Liddo, Responsabile dell’Area Geopolitica e Analista responsabile del Desk Africa e del Desk Russia e Balcani presso il Ce.S.I. (Centro Studi Internazionali).

Qual è stato l’evento scatenante che ha fatto sprigionare la forza di Boko Haram nel 2009?

La maggior parte degli osservatori ritiene che l’evento scatenante della campagna d’insorgenza di Boko Haram sia stata la maxi operazione di law enforcement fatta dalle autorità nigeriane nel 2009: un’operazione il cui obiettivo era smantellare l’organizzazione, durante la quale fu arrestato l’allora ledear di Boko Haram, Muhammed Yusuf, che morì nel periodo di custodia. La morte di Yusuf e la brutalità dell’autorità nell’attuare l’operazione, scatenarono la rabbia dei militanti, che decisero allora di evolversi da organizzazione caritatevole-educativa a terroristica. Questa lettura, però, non deve ingannare, perché se è vero che nel 2009 Boko Haram non utilizzava tecniche di lotta politica di tipo terroristico, è anche vero che aveva già al suo interno delle fazioni estremiste, in contatto con la galassia radicale africana, che spingevano per un’azione violenta. La morte del loro leader, quindi, non ha fatto altro che accelerare un processo già in seno all’organizzazione e che ha radici sociali, popolari ed etniche molto antiche risalenti agli anni ’80.

Oggi vi sono due organizzazioni etichettate Boko Haram, JAS e ISWAP. A quale di queste ci si può riferire effettivamente come Boko Haram e quali sono le differenze strategiche tra le due?

Ad oggi, con il termine Boko Haram potremmo riferirci tecnicamente ad entrambe le organizzazione, perché la fazione che ha adottato la sigla ISWAP l’ha fatto per sottolineare la propria affiliazione a Daesh e cercare così di attrarre più simpatizzanti e finanziatori, aumentando di conseguenza i proseliti. Le distinzioni tra Boko Haram delle origini e l’attuale ISWAP sono molto sottili. L’ISWAP segue un’agenda internazionalista all’interno della quale inserisce la ribellione di Boko Haram all’interno del fronte globale del jihad. Gli obiettivi dell’ISWAP, dunque, sono di respiro internazionale, non si fermano esclusivamente al livello nazionale: ogni suo riverbero mediatico si rifà a quello di Daesh. La fazione guidata da Shekau, invece, ha un’agenda più regionale, essendo rivolta quasi esclusivamente contro il Governo nigeriano. L’obiettivo della JAS si rifà a quello delle origini: trasformare la Nigeria, o parte di essa, in un emirato retto da una sharia interpretata secondo i loro canoni. Di conseguenza, i principali bersagli della JAS sono i cristiani, i musulmani apostati e tutta una serie di obiettivi che incarnano con prevalenza l’elemento locale o regionale. Nonostante queste definizioni, i due gruppi si comportano e cercano di agire sul territorio allo stesso modo.

Quali sono i punti di attrito che hanno portato alla divisione del gruppo? Perché Al-Barnawi è stato messo al posto di Shekau?

In questo caso si inseguono voci, alcune confermate, mentre altre sono più teorie. Daesh riteneva che Al-Barnawi potesse essere un leader più affidabile e maggiormente accettato dalla popolazione in virtù della sua genealogia, essendo appunto figlio di Yusuf. In secondo luogo, Al-Barnawi, giudicato più astuto e flessibile, era ritenuto un investimento politico-militare più intelligente. Un terzo aspetto, invece, riguarda la personalità di Shekau, considerato meno controllabile e più imprevedibile, ma soprattutto molto violento. Vi erano, poi, malumori all’interno del gruppo dovuti alle voci riguardo al suo pungo di ferro rivolto non solo ai nemici, ma principalmente verso i network interni. Queste considerazioni hanno spinto Daesh ad accettare il baya’t di Shekau, ma poi a non riconoscerlo come leader dell’organizzazione. A questo, però, si devono sovrapporre le tipiche dinamiche familiari e tribali che caratterizzano il jihadismo africano: il conflitto tra Shekau e Al-Barnawi è una lotta per l’eredità politica di Yusuf.

Nei primi mesi di quest’anno si è sparsa la notizia che Al-Barnawi, più debole dopo l’uccisione di Mamman Nour – vero cervello di Boko Haram – sia stato sostituito come capo dell’ISWAP. È vero?

Boko Haram nasce come setta, quindi, rispetto ad altre organizzazioni, ha un livello di segretezza che la rende quasi impenetrabile. Fin quando tutte le voci riguardo lotte intestine e successioni non vengono confermate attraverso i canali ufficiali restano sostanzialmente delle voci. Questo è dovuto anche al fatto che la struttura di Boko Haram non è piramidale, ma più fluida, e nel contesto in cui si muove le conflittualità etniche sono più accentuate.

Quali relazioni intercorrono, ad oggi, tra Daesh e gruppi locali? Che rapporto c’è, invece, tra ISWAP e ISGS (Islamic State in the Greater Sahara)?

Il rapporto tra Daesh e realtà locali è di tipo cosmetico: sono questi gruppi territoriali che per accreditarsi si rifanno al marchio Daesh, sfruttando ciò che rimane dell’organizzazione. Ricordiamo che Daesh è nata e si è strutturata in Medio Oriente, servendosi di molti foreign fighters, dei quali solo una piccolissima parte era di origine africana-subsahariana. Ben diverse, invece, sono le realtà qaediste, che in Africa sono veramente forti, ed è proprio ad Al-Qaeda che Daesh lancia la sfida, cercando di sponsorizzare nuove cellule: è una sfida, però, che in Africa occidentale e nel Sahel è ancora molto lontana dall’essere vinta.

Per quanto riguarda i rapporti tra ISWAP e ISGS bisogna prima guardare alle etnie che le costituriscono. Boko Haram, infatti, è prevalentemente di etnia kanuri, che solo da pochi anni si è aperta alla partecipazione di membri di etnia fulani, pastori seminomadi che girano nel deserto. L’ISGS, contemporaneamente, è formata da miliziani saharawi e fulani. Le relazioni tra i due gruppi, quindi, possono avvenire grazie agli scambi interetnici tra fulani. Sono contatti di tipo tattico, poiché la dirigenza dell’ISGS ha una proiezione strategica rivolta verso il Sahel, mentre l’ISWAP ha una proiezione regionale. Non si pestano in piedi, ma in alcuni casi la competizione tra i due sorge nel reclutamento dei miliziani negli stessi campi profughi.

È l’ISWAP ad aver maggiormente bisogno di Daesh o al contrario?

In realtà, l’uno ha bisogno dell’altro. Daesh, ora che ha perso la sua dimensione territoriale in Medio Oriente, ha bisogno di organizzazioni che abbiano, nelle rispettive aree, una forte presa territoriale, così da poter continuare a proporsi come Stato: ciò vuol dire controllare territorio, economia e giustizia. Di contro, però, i gruppi locali hanno bisogno del nome Daesh per aumentare la loro rete di contatti e fare nuovi proseliti. È, quindi, un bisogno assolutamente reciproco.

Quanti uomini, in questo momento, appartengono complessivamente a Boko Haram?

Vi è un nucleo centrale fatto di addestratori, ideologi e altre figure, composto da 500/1000 persone. Attorno a questo zoccolo duro bisogna aggiungere i miliziani cooptati dai villaggi e che partecipano a varie operazioni: in questo caso il numero aumenta e va da un minimo di 4.000 ad un massimo di 8.000 unità.

Qual è la loro forza in termini di armamenti?

La zona dove insiste Boko Haram è un crocevia per il traffico di armi. Sono ancora presenti quelle immesse sul mercato nero dai tuareg dopo la caduta di Gheddafi e quelle provenienti dall’Africa centrale. Non bisogna dimenticare, però, che la Nigeria è tristemente famosa per il suo artigianato militare, nel senso che i nigeriani sono particolarmente abili nel fabbricare armi utilizzando vecchi rottami: non saranno tecnologicamente avanzate, ma sono ugualmente letali. Poi, ovviamente, ci sono i machete che sono il tratto distintivo di tutte le attività violente in Africa.

Come si finanziano?

Il finanziamento di Boko Haram deriva da logiche di tipo criminale. Le due organizzazioni si finanziano attraverso la tassazione di attività legali e illegali svolte nei territori sotto il loro controllo: attività che vanno dal commercio di animali alla tassa sulla proprietà fondiaria fino all’obolo che sono costretti a pagare i trafficanti di armi e droga per attraversare il loro territorio. Ci sono, inoltre, attività di supporto o di scorta ai convogli di beni illeciti e il contrabbando di avorio, armi, beni preziosi e di esseri umani. È vero che non si parla più delle studentesse di Chibok, ma ci sono continui rapimenti di donne nel Nord-Est della Nigeria.