Xi verso il XX Congresso del Partito Comunista Cinese
Xiàng

Xi verso il XX Congresso del Partito Comunista Cinese

Staff
21.02.2022

Il 18 gennaio si è tenuta la sesta sessione plenaria della XIX Commissione Centrale per l’Ispezione Disciplinare (CCID). Quest’ultima è la più alta istituzione di controllo interno del Partito Comunista Cinese (PCC), incaricata di farne rispettare le regole e i regolamenti e di combattere la corruzione nel PCC. Trattandosi di un’agenzia del Partito, la CCID non dispone di autorità giudiziaria di per sé. Quando necessario, questa trasmette le prove raccolte agli organi giudiziari, come la Procura Suprema del Popolo (incaricata delle indagini e dell’azione penale), che procede all’accusa di illeciti penali. Poiché generalmente i membri del Partito ricoprono anche la maggior parte degli incarichi all’interno del governo e dell’apparato statale, la commissione è in pratica il massimo organismo anticorruzione in Cina. Il controllo finale dell’agenzia ricade sotto la competenza di Xi Jinping in virtù della sua carica di Segretario Generale, dato che la CCID si rapporta formalmente con il Congresso del Partito, ovvero il più alto organo rappresentativo del Partito stesso.

Durante la sessione è stata rinforzata e promossa per l’anno venturo la campagna anticorruzione che dal 2013, allo slogan di “colpire le tigri, schiacciare le mosche”, opera nel Paese. Per “tigri” si intendono alti funzionari di Partito e, più di recente, grandi imprenditori. Per “mosche” invece si vanno ad indicare i funzionari di Partito di più basso livello e i piccoli e medi imprenditori. Alla Commissione Centrale per l’Ispezione Disciplinare spetta proprio il compito di monitorare le tigri e le mosche che operano nel Partito. Durante la sessione, dunque, sono stati nuovamente discussi i temi legati alla campagna e riesaminati i più recenti casi di corruzione scoperti all’interno del Paese. Si è infatti menzionato l’inizio di indagini per grandi rappresentati del mondo politico e imprenditoriale cinese membri del PCC, nonché l’espulsione di alcuni di questi dal Partito stesso. Il comunicato rilasciato alla fine della sessione plenaria informa, non a caso, del grande lavoro svolto in modo particolare per “colpire le tigri”. Negli ultimi due anni, si è visto un allargamento della cerchia di coloro che possono essere considerati “tigri”. All’interno del perimetro della definizione sono stati infatti aggiunti anche i grandi imprenditori – recente è il caso del gruppo Ant di Jack Ma posto sotto indagine per corruzione – andando così a colpire grandi compagnie tech e finanziarie, che ricoprono un ruolo sempre più centrale all’interno del Paese.

La Commissione Centrale per l’Ispezione Disciplinare è nata con la Repubblica Popolare stessa e, da allora, ha assunto un ruolo estremamente importante nel controllo e monitoraggio delle attività dei membri del Partito. Un ruolo decisivo lo ha però iniziato ad assumere con l’arrivo di Xi Jinping alla Segreteria del PCC. Quest’ultimo, infatti, è stato eletto all’alba di uno dei momenti più critici della storia del Partito, in cui a Chongqing era scoppiato il cosiddetto “caso Bo Xilai”. Bo Xilai era allora il Segretario Generale del PCC a Chongqing, e a marzo 2012, sotto accusa aggravata di corruzione e favoreggiamento, era stato rimosso dall’incarico per poi essere espulso prima dall’ufficio politico del PCC e poi dal Partito stesso. A settembre 2013, dopo l’elezione a Segretario Generale del PCC di Xi Jinping, venne dichiarato colpevole di corruzione e condannato all’ergastolo. Questa vicenda scosse profondamente la scena politica cinese: Bo Xilai era infatti uno dei più influenti uomini politici, estremamente apprezzato dai suoi e prossimo ad essere accolto all’interno del Comitato permanente dell’ufficio politico (Politburo) del Partito, una delle più alte cariche politiche, seconda solo al Segretario Generale. Il suo caso si collega strettamente all’inizio della famosissima campagna anti-corruzione lanciata da Xi Jinping all’indomani della sua elezione a Segretario Generale del PCC e da allora mai abbandonata. La campagna si propone infatti di ripulire le irregolarità all’interno dei ranghi del Partito e sostenerne l’unità. Tra i nomi maggiori colpiti da questa campagna, oltre Bo Xilai, non si possono non citare l’ex membro del Comitato permanente dell’ufficio politico Zhou Yongkang e gli ex vicepresidenti della Commissione militare centrale Xu Caihou e Guo Boxiong. Tale campagna ha permesso dunque di sollevare e superare un tabù presente nella politica cinese dalla fine della Rivoluzione Culturale, che voleva che i membri della Commissione Permanente del Politburo del PCC non potessero essere indagati per azioni criminali. La portata di questa campagna è così vasta da essere presto diventata una caratteristica emblematica dell’azione politica di Xi Jinping.

La campagna anti-corruzione di Xi, infatti, risulta essere molto più di un’azione serrata alla battaglia contro il malaffare all’interno del Partito. Negli anni questa campagna è stata infatti usata dal Segretario Generale del PCC per liberarsi di diversi esponenti del Partito a lui scomodi e rinsaldare così il suo potere. Casi emblematici di questo uso politico della lotta alla corruzione sono proprio i sopracitati casi di Bo Xilai e Zhou Yonkang. I due, infatti, i quali sembra avessero delle strette connessioni tra di loro, furono probabilmente colpiti dalla campagna non tanto per le loro effettive accuse di corruzione, quanto per la loro opposizione politica a Xi. Bo, come precedentemente spiegato, iniziò ad esser posto sotto processo proprio pochi mesi prima dell’elezione di Xi e della sua stessa nomina a membro del Comitato Permanente dell’ufficio politico, incarico grazie al quale avrebbe potuto mettere in difficoltà il neoeletto Segretario Generale Xi. Allo stesso modo Zhou, che all’epoca dell’inizio delle indagini sul suo conto rivestiva l’incarico di Ministro della Pubblica Sicurezza nonché membro del Comitato Permanente dell’ufficio politico, fu posto sotto giudizio tramite questa campagna.

La campagna anti-corruzione, dunque, può essere vista come un’utile strumento nelle mani di Xi Jinping per circondarsi dei suoi fedelissimi e ridimensionare l’opposizione. Quest’arma è tanto più efficace se unita alle molteplici espansioni del potere di Xi Jinping avvenute da marzo 2018, durante il XIII Congresso Nazionale. Non solo è stato eletto per il suo secondo mandato presidenziale, ma sono stati anche aboliti i limiti di tale mandato e una nuova potente agenzia governativa è stata incorporata nella costituzione cinese: la Commissione di vigilanza nazionale. Questa agenzia va ad affiancare la Commissione Centrale per l’Ispezione Disciplinare. Non vincolata dalla legge o dal governo, di rango superiore alla Corte Suprema cinese e responsabile solo nei confronti dei vertici del Partito, infatti, questa nuova autorità anticorruzione è andata a fornire a Xi molta più influenza. Non solo, ma a capo della stessa è stato posto Yang Xiaodu, fidato alleato di Xi.

Come per la rimozione dei limiti di mandato, l’espansione dell’iniziativa anticorruzione di Xi è stata un gioco di potere decisivo. Sin dal suo inizio nel 2012, la campagna ha colpito oltre 1,5 milioni di funzionari governativi colpevoli di una serie di accuse legate alla corruzione.

Altro elemento da considerare, infatti, nel quadro dell’uso estensivo della campagna anti-corruzione, è il ruolo delle fazioni all’interno del Partito. Come è noto, il Partito non è un unico blocco monolitico, ma presenta al suo interno una serie di spinte. Sebbene queste siano molteplici, andando a rappresentare un tabù all’interno del PCC che infatti preferisce definirle “cricche” o “bande”, e vadano spesso a volentieri a sovrapporsi tra di loro non avendo dei confini netti, possono sommariamente essere raggruppate in due macro-gruppi: i “taizidang” (太子党) e i “tuanpai” (团派). Il “taizidang”, che può essere tradotto come “il partito dei principini”, è composto dai discendenti di alti funzionari comunisti, tendenzialmente coloro che hanno compiuto la Lunga Marcia e hanno operato durante l’era di Mao Zedong. I “tuanpai”, termine che può essere letteralmente tradotto come “gruppo politico”, sono una fazione politica informale nel Partito Comunista Cinese, che comprende quadri e funzionari governativi originari della Lega della Gioventù Comunista, quindi privi di discendenze prestigiose. Esempi illustri di entrambe sono Xi Jinping, che appartiene alla fazione dei Taizi, e il Primo Ministro, Li Keqiang, che è esponente invece dei Tuanpai. A partire dalla sua nomina a Segretario Generale, però, Xi sta costruendo intorno a sé un nutrito gruppo di funzionari che possono essere assimilati ad una sorta di “cricca di Xi”. Questi, infatti, non condividono tutti le stesse nobili discendenze, ma hanno collaborato con Xi durante i suoi incarichi precedenti al segretariato. Per costruirsi questa schiera di alleati, Xi pare abbia utilizzato proprio lo strumento della campagna anti-corruzione. Emblematici in tal senso sono i casi, di nuovo, di Zhou Yongkang e Ling Jihua. Il primo fu accusato di star costruendo una sua cricca militare nel Sichuan, mentre il secondo, al tempo Direttore dell’ufficio generale del PCC, fu accusato di aver raccolto una banda di accoliti nello Shanxi. La questione delle fazioni è particolarmente delicata all’interno del PCC, perché la loro esistenza va a minare l’essenza stessa del Partito, il quale viene sempre rappresentato come un’unica realtà composta da fedeli “compagni”. La serietà di questo problema per la dirigenza cinese è confermata anche dal tentativo fatto da Xi nel corso degli ultimi anni di sovrapporre la propria figura a quella del PCC, per cercare di depotenziare ogni possibile fazione concorrente. In questo senso, il parallelismo Xi-Partito, ufficialmente consacrato grazie alla Risoluzione Storica del PCC, è funzionale a rafforzare l’idea che qualsiasi fazione altra o contraria alla linea di Xi sia contraria al Partito in sé e meriti dunque di essere condannata come una potenziale minaccia per la stabilità.

Oltre alla campagna anti-corruzione, Xi Jinping si è servito di un altro strumento per poter aumentare la schiera dei suoi fedeli e indebolire quella dei suoi oppositori, ed è quella del ritiro forzato per sopraggiunto limite d’età. In generale, all’interno del Partito vige la norma del ritiro obbligatorio raggiunti i 65 anni d’età, estendibili al massimo ai 68 per i funzionari con incarichi nel Politburo e nel più ampio Comitato Centrale secondo la regola “七上八下” (qi shang ba xia – letteralmente “7 sopra, 8 sotto”). Ciononostante, esistono casi, sebbene non frequenti, di persone che non si sono ritirate nonostante il limite d’età, lì dove invece altre sono state costrette a farlo. Questo è quanto è accaduto, per esempio, al segretario del Partito dell’Hubei Ying Yong, o al Segretario del Partito del Sichuan Peng Qinghua, o ancora al segretario del Partito del Ningxia Chen Runer, i quali, essendo elementi più o meno vicini al Segretario Generale, hanno tutti mantenuto i loro seggi pur avendo raggiunto o quasi l’età della pensione. Sembra dunque che la norma entri in vigore su casi ad hoc utili a rafforzare la leadership di Xi. L’ulteriore sviluppo di questa prassi potrebbe spianare la strada a Xi, ormai al suo 68esimo anno d’età, al prossimo Congresso e legittimare così ulteriormente la sua rielezione a Segretario Generale del PCC. Quest’anno infatti compirà 69 anni e supererà i limiti di età imposti all’interno del Partito. L’aver eliminato il limite di soli due mandati consecutivi alla presidenza della Repubblica Popolare Cinese lascia intuire che ci sia una buona probabilità che Xi voglia cercare la rielezione ad un terzo mandato anche alla Segreteria Generale del Partito. Per prassi consolidata, infatti, ormai da diversi decenni la carica di Presidente della Repubblica viene ricoperta dal Segretario generale del PCC. La rielezione di Xi al terzo mandato, tuttavia, avverrebbe nonostante il raggiungimento del limite d’età stabilito dal Partito. Questa eccezione non escluderebbe però la possibilità per il leader cinese di continuare a ad utilizzare la clausola del limite d’età per evitare che altri posano sviluppare col tempo una forte base politica contro di lui.

La campagna anti-corruzione, la lotta al fazionalismo e il ritiro forzato per sopraggiunti limiti di età si configurando dunque tutti utili strumenti utilizzarti negli anni da Xi Jinping per rafforzare il suo consenso. La cartina tornasole di questa sua operazione potrebbe però rivelarsi l’uso attento di questi stessi strumenti contro di lui, condizione questa che al momento appare distante, ma non impossibile. Diversi movimenti all’interno del Partito suggeriscono una possibile azione opposta a quella condotta da Xi, come il fatto che al momento il capo della Commissione Centrale per l’Ispezione Disciplinare sia Zhao Leji, membro del Comitato Permanente del Politburo, nonché affiliato alla cricca di Shanghai, famosa cricca del Partito posta sotto la guida dell’ex Segretario Generale Jiang Zemin. Non solo, ma recentemente diversi affiliati di Xi sono stati posti sotto indagine, come Zhou Jiangyong, ex segretario del Partito della capitale provinciale dello Zhejiang, Hangzhou, che è stato posto sotto inchiesta per corruzione lo scorso agosto. Da qui al XX Congresso del PCC, previsto a novembre, potrebbero dunque verificarsi diversi cambi di vertice e ulteriori lotte intra-Partito che potrebbero minare o rafforzare la posizione di Xi.

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